di Giuseppe Moscatelli

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Il Buen Retiro sui Monti Cimini

   Quell'inverno del 1505 era stato particolarmente freddo. Ora però le margherite imbiancavano i fulgidi prati dei Monti Cimini, come fino a qualche giorno prima facevano gli sprazzi residui dell'ultima neve. Cespugli di pallidi ciclamini già ingentilivano di un fioco vermiglio il limitare dei boschi. Da giorni, ormai, le rondini dispiegavano le loro ampie volute tra i merli del castello, dopo aver ritrovato e occupato i nidi a ridosso dei beccatelli.
   Giulia Farnese, affacciata alla grande finestra che dà sul declivio, verso la valle, guardava lontano: dentro se stessa. Orsino, il marito mai amato, era morto da oltre cinque anni; ma ciò non avrebbe potuto intristirla, se non fosse per il terribile epiteto lasciatole in dote: vedova… Ormai e per tutti lei era soltanto la vedova Orsini. Laura, la sua unica figlia, era da pochi mesi felicemente sposa: un gran matrimonio il suo, con Niccolò della Rovere, il nipote prediletto di papa Giulio II. Giulia ne era fiera, ancora una volta era riuscita a risollevare le sorti del suo casato: la stella dei Farnese era tornata a brillare, ora che avevano ritrovato il favore di un papa. Però, intanto, si era quasi dissanguata per costituirle una dote degna di tanto sponsale.
   E Alessandro? Il card. Alessandro Farnese era a Roma, troppo impegnato a costruire la sua carriera, e non solo quella: il grande palazzo che stava edificando vicino a Campo de Fiori, quello progettato a Caprarola e un altro che aveva in testa di realizzare a Gradoli assorbivano tutte le sue energie, e non solo quelle economiche. E poi le legazioni: aveva perso quella di Viterbo, ma aveva ottenuto quella assai importante della Marca con sede in Ancona… Certo, Alessandro era sempre stato premuroso nei suoi confronti, a volte però aveva l'impressione che la tenesse a distanza; che un po', in fondo, si vergognasse di lei. Come dargli torto? Conosceva bene anche lei le chiacchiere del popolino, le pasquinate: il card. Fregnese, il card. della gonnella, così lo chiamavano. E non c'era certo da stare a chiedersi il motivo. E infine Rodrigo: anche Rodrigo Borgia, papa Alessandro VI, l'unico uomo che forse aveva veramente amato, da qualche anno era morto. 
   Giulia era ormai sola. Dove andare… a Roma? No, troppi ricordi: e soprattutto avrebbe intralciato la carriera del suo adorato fratello Alessandro. A Bassanello? No, quella era la casa di Orsino, e lei l'aveva sempre detestata. A Viterbo? anche lì Alessandro disponeva di un elegante palazzo… No, sarebbe rimasta a Carbognano. Quella rocca era sua: lei l'aveva ottenuta da papa Borgia per suo marito Orsino. Lì avrebbe vissuto. 
   Giulia sentiva che qualcosa dentro di sé era morto: era morta la ragazza ingenua e civettuola che gli uomini tanto ammiravano e desideravano, ma di cui, in fondo, si servivano. Era morta la vittima consenziente, sacrificata sull'altare dell'ascesa familiare. Sentiva però che un'altra Giulia stava nascendo: una donna nuova, più libera, più sicura, più consapevole, più indipendente e determinata. 
Carbognano era il posto giusto. Per morire, e per rinascere.

 

Da Arce a Castello


   Quando Giulia decise di stabilirsi a Carbognano, la rocca - già vecchia di quasi tre secoli- era pressochè fatiscente. Abbiamo indugiato nel descrivere lo spirito e l'animo con cui Giulia si apprestava a diventare "la signora di Carbognano" in quanto ciò appare indispensabile ai fini della comprensione e dell'interpretazione degli eventi che d'ora in poi interesseranno il palazzo. Ma andiamo con ordine.
   La storia della rocca, prima di Giulia, è quella - per così dire - tipica di un'arce medievale: assalti, passaggi di mano, riconquiste, scorrerie, devastazioni, ricostruzioni… 
Il documento più antico in nostro possesso è un atto di sottomissione di Carbognano a Viterbo del 1254: siccome in questo atto si cita espressamente la rocca è presumibile che questa sia stata edificata già nei primi decenni del secolo. A partire dal XIV secolo vi troviamo i prefetti di Vico che nel 1432 passarono la mano a Everso II d'Anguillara. Successivamente, nel 1454, entra in gioco la Camera Apostolica che, seppur contrastata dagli Anguillara che per un breve periodo riuscirono a rientrare in possesso del castello, lo conserverà fino al 1494 quando papa Alessandro VI vi infeudò Orsino Orsini, marito di Giulia. 
   Le ragioni di questa assegnazione si prestano ad una duplice interpretazione: una ufficiale, secondo la quale ciò sarebbe avvenuto per compensare Orsino di servizi militari resi alla Chiesa; l'altra ufficiosa, ma più probabile, e legata alla nota relazione tra Giulia e il papa; senza dimenticare il ruolo svolto da Adriana Mila, madre di Orsino e cugina del Borgia, sponsor della tresca e sempre prodiga nel sollecitare presso il papa favori per il figlio.
Giulia, abituata agli agi e al lusso della corte vaticana, non poteva certo accasarsi in quel ruvido e torvo maniero: decise quindi di trasformarlo, conformemente al suo gusto e alla sua cultura, in una residenza rinascimentale, non troppo dissimile da quelle in cui aveva abitato ai tempi del suo amore con il papa. Stabilì in sostanza di trasformare la rocca in un vero e proprio castello. Non solo: tutto in quella magione avrebbe dovuto parlare di lei, della sua stirpe, della sua discendenza, dei suoi pensieri, del suo essere: quello sarebbe stato per sempre il castello di Giulia. 
   Intraprese quindi lavori di ristrutturazione e di decorazione: non le mancavano i mezzi e le capacità. Alessandro si dimostrò subito entusiasta dell'idea della sorella di "ritirarsi" a Carbognano (e ciò è ben comprensibile) e non fece certo mancare il suo appoggio, anche di tipo economico. Giulia, del resto, ai tempi del suo soggiorno romano era venuta in contatto con tutti i più grandi artisti della sua epoca, da Michelangelo a Raffaello, dal Pinturicchio al Perugino, da Bramante al Sangallo… e quindi era tutt'altro che digiuna nelle cose d'arte. Non furono però questi gli artisti che chiamò a Carbognano. Anche prescindendo da ogni altra considerazione, si tratta di artisti geniali o comunque dalla spiccatissima personalità: ben difficilmente si sarebbero prestati a fare da "pennello" a Giulia. A lei servivano artisti dotati ma docili, disposti a seguire pedissequamente le sue indicazioni; a realizzare in sostanza senza obiezioni quel monumento a sé stessa che era già tutto ben delineato nella sua mente: forme, colori, figure, motti, simbologie. Non è escluso, comunque, che abbia utilizzato artisti di bottega, più precisamente della bottega di Raffaello, come sembrano far intendere le decorazioni a grottesca, come vedremo nello specifico servizio. 
   L'aspetto del castello, come oggi lo vediamo, e i cicli pittorici che ne decorano il piano nobile, sono dunque quelli voluti e realizzati da Giulia; la quale cominciò col fare incidere a chiare lettere il proprio nome su architravi di porte e finestre. Perché doveva essere evidente per tutti che Giulia, figlia di Pier Luigi Farnese, nipote di Ranuccio, sorella del card. Alessandro, discendente di papa Bonifacio VIII Caetani, favorita di papa Alessandro VI e madre di Laura, nipote acquisita di papa Giulio II della Rovere, non andava a Carbognano per nascondersi. 
Giulia ha poco più di trent'anni ed è ancora molto bella: se andava a Carbognano non era per scomparire, ma per diventarne domina et iudex

 

Il Castello oggi


   A differenza di altre rocche edificate o ristrutturate dai Farnese, il palazzo di Carbognano, nonostante la sua imponenza, non domina il borgo da una posizione sopraelevata; come avviene invece a Gradoli, a Capodimonte o a Caprarola. Certo il suo mastio emerge con prepotenza dal profilo dalle case, ma queste sembrano stringerlo in un abbraccio quasi soffocante; costruite, anzi ammucchiate come sono, l'una sull'altra a ridosso delle sue mura. Possiamo tranquillamente affermare che la Rocca costituisce il perno intorno al quale il borgo è nato e si è sviluppato, il fulcro di ogni possibile equilibrio, storico e urbanistico. 
Siamo di fronte all'ingresso principale: un portale, in fin dei conti, modesto; un arco in bugnato di peperino, sovrastato da uno stemma, altrettanto sobrio e in parte deteriorato, con scolpiti in bassorilievo i classici sei gigli Farnese. 
   Entriamo in un cortiletto, l'unico spazio aperto di tutto il fabbricato. Sarà per le ridotte dimensioni dell'ambiente, sarà per il senso claustrofobico che incute su di noi l'incombere del mastio, ci infiliamo subito nell'atrio di accesso che, attraverso una scala, conduce al piano superiore. Questo ambiente, sorta di portoncino di servizio più che scala nobile, ci riserva qualche delusione. Se il palazzo, visto dall'esterno, non denuncia evidenti manomissioni, se non altro per la presenza sui quattro lati delle finestre "dedicate" che fanno presumere la conservazione dell'impianto architettonico originale, vale a dire un quadrilatero irregolare con cortile decentralizzato; qui nel vano scale, come pure in altre parti del castello, i rimaneggiamenti appaiono evidenti: pavimentazione e intonaci più che antichi sono vecchi, come quelli delle case costruite negli anni cinquanta del secolo scorso. Ma ciò è del tutto naturale, considerate le vicissitudini storiche della rocca e il susseguirsi nei secoli dei vari proprietari, ognuno dei quali - Giulia docet - ha cercato di adattare il nobile e vetusto maniero alle proprie necessità e al proprio gusto.
   La scala ci conduce ad una porta, superata la quale ci troviamo negli ambienti del piano nobile. Il primo vano, di piccole dimensioni, è un ingresso o sala di attesa, in cui si aprono altre due porte: quella di destra, chiusa in un'ampia cornice rilegata, è sormontata da uno stemma con i sei gigli Farnese e da un architrave con incisa la scritta IULIA FARNESIA, sovrastato a sua volta da una specie di "gronda" decorata con rilievi. La porta di fronte ci introduce invece negli ambienti residenziali, ai quali si accede dopo aver superato un piccolo corridoio. Ora l'impatto visivo è notevole e ci coglie quasi di sorpresa: davanti a noi, inaspettato, si apre in tutta la sua magnificenza e il suo splendore il salone nobile, l'ambiente più grande di tutto il castello, con i suoi undici metri di lunghezza e sette di larghezza (circa). La nostra attenzione è subito attratta, si direbbe calamitata, dal grandioso soffitto, interamente affrescato con un'infinità di motivi allegorico-naturalistici dalle tonalità calde e tenui. Non solo, ai nostri occhi il soffitto appare come scolpito, contornato com'è in tutto il suo perimetro da vele e lunette. Ma del salone, dei suoi affreschi e della valenza simbolica dei suoi cicli pittorici tratteremo in uno specifico articolo. 
   Dal salone possiamo accedere sulla sinistra verso un salottino o studio in cui uno stemma di Giulia Farnese, su una parete, si impone alla nostra attenzione: si tratta di uno scudo con i sei gigli farnesiani contornato da un festone di fiori e foglie; ai lati dello scudo le lettere I e F celebrano la padrona di casa. Sulla destra, invece, una porta ci immette in un ambiente comunemente indicato come cucina: e tale doveva effettivamente essere, visto che una fitta patina, ormai indurita, dovuta al fumo e ai vapori liberati nell'ambiente, ne ricopre completamente il soffitto, il quale pure era interamente affrescato, rendendo inintelligibili i decori. Dalla cucina, che misura circa sette metri e mezzo in larghezza e cinque in lunghezza, e la cui volta è comunque nobilitata da un contorno di lunette, accediamo infine ad una stanza di superficie pressoché identica, anche se leggermente più larga e meno profonda: si tratta dell'ambiente più ricco di fascino e di suggestione dell'intero edificio, vale a dire la camera da letto di Giulia, il suo nido segreto. Ma anche di questa, come pure della sua enigmatica e per certi aspetti sconcertante decorazione, tratteremo a parte.

 


L'abitato di Carbognano, dominato dal mastio della Rocca
 
La facciata principale della Rocca che dà sulla piazza del Comune
 

Uno scorcio della Rocca, con il camminamento di ronda

 
L'ingresso della Rocca, con lo scudo e i gigli Farnese
 
Lo stemma Farnese che domina il portale bugnato
 
Finestra con iscrizione Iulia Farnesia
 
Architrave della finestra con iscrizione
 
Lo stemma di Giulia Farnese
 
Porta interna con stemma e iscrizione
 
Il soffitto affrescato del salone nobile
 
Lunette affrescate nel salone nobile
 
Lunette ad angolo del salone nobile: center"> Lunette ad angolo del salone nobile