Alessandro Farnese Jr., che non divenne papa

Il “gran cardinale”
 


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Parte Prima

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di Giuseppe Moscatelli

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  Di papi “grandi” (che si sono cioè meritati l’appellativo di “Magno”) ce ne sono stati diversi, da ultimo il “grande” pontefice Giovanni Paolo II. Ma di “Gran Cardinale” nella storia della Chiesa c’è soltanto lui: Alessandro Farnese jr., figlio dello scelleratissimo Pier Luigi Farnese e della piissima Gerolama Orsini dei conti di Pitigliano, ma soprattutto nipote di papa Paolo III.
Nato a Valentano il 27 settembre del 1520, secondo di cinque fratelli, fu destinato dalla famiglia - ça va sans dire - alla carriera ecclesiastica (non per niente si chiamava Alessandro come il nonno…) e si formò in teologia, lettere antiche e diritto a Parma e presso il collegio “Ancarano” di Bologna. Quando Alessandro jr. ebbe la porpora cardinalizia (grazioso omaggio del nonno papa) era poco più che un bambino: aveva infatti appena 14 anni e Paolo III - che non perdeva tempo - sedeva sul soglio di Pietro solo da qualche settimana.
Alessandro si trovò presto a suo agio nel suo ruolo naturale di “cardinal nepote”, anche se la sua sfolgorante carriera ecclesiastica lo espose a non poche invidie, soprattutto per il tornaconto economico che ne derivava: era infatti chiaro a tutti che il “Santo Padre” o forse sarebbe meglio dire il “santo nonno”, non si sarebbe fermato lì sulla strada dei benefici parentali. Se il buongiorno si vede dal mattino, c’era da aspettarsi un autentico diluvio. E così fu, come vedremo.

 



Il Card. Alessandro Farnese jr. in un dipinto di Tiziano

 
 



Veduta di Valentano con il Palazzo Farnese
 

 
 
Consapevole che grandi non si nasce ma si diventa, Il card. Farnese coltivò da subito grandi idee e soprattutto grandi ambizioni. Volle però il destino che, in meno di due secoli, di “Card. Farnese” dal cilindro della storia ne uscissero almeno sei, con il rischio - tutt’altro che ipotetico - di una vera e propria “inflazione porporizia”, tale da generare confusioni e amnesie storiche. Anche il nome non l’aiutò molto: si chiamava Alessandro, come il nonno paterno, che però diventò papa – appunto Paolo III – assicurandosi così, già solo per questo, precedenza e considerazione storica. Al “povero” Alessandro non restò che accontentarsi dell’attributo di Junior per distinguersi dal nonno e districarsi tra la concorrenza, e tentare così l’assalto ad un posticino nella memoria storica collettiva.
Non gli mancavano certo le qualità o i mezzi. Intanto era ricchissimo. A Palazzo Farnese – per comune considerazione “il più bel palazzo di Roma” – viveva da re, attorniato da una corte principesca: oltre trecento persone che non desideravano altro che servirlo e riverirlo. Un vero e proprio esercito di camerieri, inservienti, segretari, scrivani, staffieri, cucinieri, cocchieri, servitori, balie, fantesche, gentildonne, cortigiani, precettori, prelati e clientes di ogni specie e risma pronti ad assecondare ogni suo volere, a soddisfare ogni suo desiderio.
 
 
 
Non sorprenda la presenza di balie e fantesche. Il Gran Cardinale, uomo di mondo, aveva una figlia, la bellissima Clelia: “la prima cosa bella”, come amava definirla, che gli diede però più di un grattacapo per il suo spirito di indipendenza e per la scarsa propensione ad adeguarsi prontamente ai voleri del padre. Educata dalla zia Vittoria, Duchessa di Urbino, a soli 14 anni fu data in moglie all’anziano aristocratico Giovanni Cesarini, che naturalmente Clelia non amava ma da cui ebbe il figlio Giuliano. Dopo la morte del marito il padre le ingiunse un nuovo matrimonio con il giovanissimo (venti anni) ma già scapestrato Marco Pio di Savoia, Duca di Sassuolo, vincendo la sua tenace resistenza (pare fosse diventata l’amante del card. Ferdinando dei Medici). Il matrimonio tuttavia non fu coronato da fortuna: nel 1598, infatti, Marco fu assassinato e Clelia, nuovamente vedova, non potè che ritornare a Roma.
 



Clelia Farnese, dipinto di Jacopo Zucchi


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