Palazzi, Rocche, intere Città, innumerevoli Paesi e miriadi di
monumenti testimoniano, ancora oggi, la splendida signoria dei
Farnese e ci tramandano la memoria di eventi storici particolarmente
rilevanti che hanno registrato il momento culminante nell’elezione
di Alessandro a Pontefice con il nome di Paolo III.
Ripercorrere le tappe dell’avventura farnesiana», le mille vicende e
le tante storie dal Medioevo al Rinascimento, la distruzione di
Castro del 1649 e quindi l’aulico possesso del Ducato di Parma e
Piacenza fino alla “regale” estinzione della Famiglia, avvenuta con
il matrimonio di Elisabetta Farnese, sposa di Filippo V, Re di
Spagna, vuol anche essere un momento di recupero di eventi che
emblemi, armi, e ritratti -dipinti nella ceramica-ci hanno
conservato. Oggi noi possiamo rileggere questa storia singolare
nelle primitive forme e decorazioni del Trecento, nei manufatti a «zaffera»
del secolo seguente, nelle splendide creazioni turchine e policrome
-anche istoriate- del Cinquecento, nella essenzialità dello stile
compendiario.
Nel 1322 Orvieto scrive una delle pagine più significative della sua
storia: viene consacrato lo splendido Duomo, realizzato per
contenere il Corporale segnato dal sangue del miracolo di Bolsena
del 1263.
vescovo della città Guido Farnese, rappresentante di una famiglia che
proprio ad Orvieto registrò una consistente presenza fin dal 1100
circa, epoca in cui si parla di un Pietro Farnese, forse padre di un
Prudenzio, console della città nel 1154, e avo di un altro Pietro.
La storiografia antica e recente sui Farnese non ha
trovato ancora prove consistenti sulle loro origini anche se la
provenienza da Farnese, l’antica terra di
Farnetum,
viene ormai accettata da tutti gli storici anche perché questa
ipotesi non contrasta poi molto con quelle origini longobarde cui si
riferiscono sia lo storico di Latera Flaminio Annibali (studio edito
nel 1817-1818) che Emilio Nasalli Rocca, un altro profondo
conoscitore delle vicende farnesiane.
Quest’ultimo, in particolare, nell’opera «I Farnese»
(1969), considera che «non vi
è
dubbio che mescolanze di famiglie autoctone con quelle di sangue
longobardo -poi franco- nell’Italia centrale... non potevano
mancare».
Chi ha conoscenza della documentazione esistente per
la storia dell’Alto Viterbese (soprattutto quella conservata a Siena
e costituita da carteggi dell’Abbazia di San Salvatore sul Monte
Amiata) non può non ricordare l’attestata presenza, sul nostro
territorio, della
gens
longobarda stabilitasi in quest’area, venuta a contatto con le
popolazioni indigene e che con esse ha popolato i primi centri
abitati altomedievali.
Di Farnese o Farneto non si hanno notizie che molto
tarde (circa 1210) ma si conosce l’antica presenza di
Sala,
centro di certa origine longobarda, e si sa che il territorio
farnesano, nel 1168, è compreso in un feudo, la «Terra Guiniccesca»,
posto sotto la protezione di Orvieto. Si può allora comprendere come
questi personaggi della famiglia, in evidenza nel territorio di
Farnese, facessero di Orvieto, città particolarmente insigne in quel
periodo, il loro punto di riferimento e come qui potessero essere
conosciuti e appellati come i signori «de Farneto».
La presenza famesiana nella cittadina orvietana è
ampiamente attestata e documentata. Ricordiamo soltanto qualche
personaggio. Pepone di Pietro e Ranuccio sono presenti alla Pace di
Venezia del 1177 in rappresentanza di Orvieto; Pietro di Ranuccio,
già
rector et
defensor
di questa città comanda la guerra del 1320-1321 combattuta contro
Corneto, l’attuale Tarquinia; Guido (Guitto), il vescovo, ricopre
questa carica insigne fin dal 1302.
Ci piace credere che sia stato
proprio Guido l’artefice del ritorno dei Farnese nelle terre avite.
Possiamo immaginare con quale animo ammirasse la conca del lago di
Bolsena nella sua discesa dai colli verso la cittadina lacuale,
compresa nella sua diocesi; con quali sentimenti potesse ricordare
la terra di Farnese, posta oltre i Colli Vulsini, ove si scorgevano,
familiari, le sagome dei paesi di Valentano e Gradoli.
I Farnese tornarono nella Tuscia
nel 1319. In quell’anno sono attestati come Signori di Farnese,
Ischia, il Castello di Sala, ora diruto, e quello di San Savino,
presso Tuscania.
Sarà poi Valentano, nel 1354,
l’altra terra concessa a Puccio, Pietro e Ranuccio Farnese dal card.
Egidio Albornoz in segno di gratitudine del pontefice per l’aiuto
militare ricevuto nell’opera di recupero delle terre e dei castelli
preda di signorotti locali all’epoca del papato di Avignone.
Con l’Albornoz, nel 1367,
i Farnese erano certamente presenti a ricevere, nel porto di Corneto,
la flotta pontificia per il ritorno a Roma di Urbano V e, l’anno
seguente, fu Nicolò Farnese, con altri armati guelfi, a portare in
salvo lo stesso pontefice dapprima nella Rocca di Viterbo e, quindi
in quella di Montefiascone dopo l’assalto del Prefetto Giovanni di
Vico.
La fedeltà verso il papato venne premiata con la conferma dei
Farnese nel possesso dei vari castelli ormai posti sotto il loro
dominio e, soprattutto, con la possibilità di vantare verso Roma una
serie di privilegi che permisero alla famiglia di mettere in atto la
«politica dei matrimoni» così da imparentarsi con molte e nobili
famiglie di quel tempo come gli Orsini, i Savelli, i Colonna, i
Monaldeschi, gli Sforza di Santa Fiora e instaurare rapporti
diplomatici con le Signorie di importanti città, come Siena, e
quindi proporre l’immagine di una famiglia emergente, padrona
dell’area altolaziale.
(1) Dal Libro "Nel segno del giglio, Ceramiche per i Farnese". FAUL edizioni
artistiche Viterbo 1993. (2) Foto G.Mazzuoli
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