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Le Terme di Vulci |

Copertina
della Relazione del 1778 sulla bonifica della palude del
Paglieto
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Sul finire dell’estate
2016 Canino ha visto la realizzazione di un sogno che sembrava
impossibile: l’apertura di una piscina termale. Questo non è che
l’incipit verso la creazione di un centro balneo terapico che
possa sfruttare le qualità uniche delle acque calde che si
trovano in abbondanza sul territorio.
Il progetto del centro termale e la
realizzazione della piscina si debbono all’intuizione ed alla
caparbietà di alcuni giovani imprenditori che attraverso la
società Acque di Vulci srl hanno affrontato un percorso lungo
oltre un decennio, da quando nel maggio 2004 la Regione Lazio
rilasciò l’autorizzazione ad esplorare i terreni che si trovano
in località Paglieto – Riminino alla ricerca di acque termo
minerali.
La zona dove oggi sorge la piscina termale si
trova a circa nove chilometri in linea d’aria dal centro abitato
di Canino in direzione Sud Ovest, ed è delimitata a Nord dai
Monti Canino ed ancora verso Ovest dal Fiume Fiora. L’area
presenta una morfologia pressoché pianeggiante a circa 104 metri
sul livello del mare. Dal punto di vista geologico l’intera
piana di Riminino è costituita da un vasto plateau di travertini
di spessore a volte notevole che consente a questo complesso
l’assorbimento delle acque meteoriche che lungo le numerose
faglie e fratture tettoniche risalgono calde e mineralizzate.
L’acqua rinvenuta ha natura ipertermale (42°C), naturalmente
gassata, ricca di sali minerali (bicarbonato, solfata, calciaca,
magnesiaca, fluorata, ferruginosa, acidula) e
microbiologicamente pura ed è particolarmente indicata nel
trattamento delle malattie artroreumatiche, nelle malattie
dermatologiche e per le flebopatie.
Le piscine ed il futuro centro termale, sono
inseriti in un ambiente di altissimo valore naturalistico e
paesaggistico al confine tra Lazio e Toscana, ai piedi del
complesso dei Monti di Canino e di Montauto in cui dominano i
boschi di cerro e vaste aree di macchia mediterranea con i
bellissimi corbezzoli. Ma è l’agricoltura a farla da padrona,
con le distese di oliveti che producono il famoso Olio di
Canino, le colture di asparagi e di ogni qualità di ortaggi, ma
anche colture più tradizionali come grano e foraggere.
E pensare che questa zona è stata per tanto
tempo paludosa e soltanto con la bonifica operata
dall’Ente Maremma nei primi anni ’50 del XX secolo,
riconquistata all’agricoltura ed alle attività ad essa connesse.
I tentativi di bonifica furono numerosi e ripetuti nei secoli
passati, ma sempre la natura aveva ripreso il sopravvento e si
deve anche a questo se per tanto tempo la città e le necropoli vulcenti, limitrofe a questo territorio, furono dimenticate e
riscoperte soltanto nei primi decenni dell’800.
Una interessante Relazione seguita alle opere di bonifica
ordinate da papa Pio VI, realizzate tra il dicembre 1776 ed il
maggio 1778, fu redatta da due famosi ingegneri idraulici
dell’epoca: Pio Fantoni e Pietro Paolo Qualeatti (Relazione
del già eseguito disseccamento dell’antica palude denominata il
Paglieto posta nel territorio del Piano dell’Abbadia Stato di
Castro, Roma, 1778) e ci mostra
come quel territorio fosse estremamente selvaggio ed inospitale.
Essi tentarono con
numerosi sforzi d’inoltrarsi in questi terreni, ma “…
ci è
forza di confessare che al primo aspetto di esso rimanemmo
alquanto sorpresi; impercioccé presentossi al nostro sguardo un
vasto piano tutto coperto di alte canne, tutto inondato, ed
impraticabile da ogni lato.
Quantunque fosse il
Paglieto un copioso nido di Cignali, avevano però costoro un
certo determinato lor confine, di là dal quale non era possibile
che s’inoltrassero essi medesimi senza pericolo di lasciarvi
immediatamente la vita.”
Le successive indagini portarono i due ingegneri a ritenere che
la Palude “…
unicamente nascesse da un sotterraneo lago
sgorgante in numerose polle…
[che] sgorgano da terra cotanto calde, che la mano
immersa non può lungamente resistervi. Quelle stesse esaminate
il giorno 11 di Maggio [1777]
col termometro di Farenzio, lo fecero
salire al grado 88, quando il calore dell’atmosfera in quel
giorno, ed in quell’ora non giugnea che al grado 64. Tentate
poscia collo spirito di vitriolo, coll’oglio di tartaro, e collo
sciroppo di viole, ed altresì colla infusione di polvere di
galla, diedero tutti gl’indizi che regni nel loro seno un sale
alkali, ed una terra calcaria.”
Ed oggi possiamo dire che quelle stesse
polle da cui esce
l’acqua calda trovano un territorio completamente trasformato,
non più sinonimo di sofferenza e malattie ma di benessere.
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