La Madonna del Rosario a Piansano

Stasera non posso, ho un appuntamento con una vecchia amica è molto vecchia, ha trecento anni

di Giuseppe Moscatelli

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La sera del venerdì della Festa

Non credo di aver mai mancato questo appuntamento, negli ultimi cinquant’anni. Sono infatti sicuro che mia madre mi portava anche quando ero in fasce. Ma questo non va a mio vanto né denota un mio particolare attaccamento alle tradizioni. Sono molti a Piansano a poter affermare la stessa cosa. Probabilmente tutti. E se anche uno di noi, per gli eventi non sempre preordinabili della vita, può non esser stato fisicamente presente la sera del venerdì della Festa all’interno del tempio ove da almeno tre secoli assistiamo con gli occhi ammirati e la mente rapita alla magica ascesa della Madonna del Rosario, sicuramente era lì con il cuore e con l’anima.

Non si tratta di una cerimonia famosa, non la troverete nelle guide turistiche. Pochi, fuori Piansano, la conoscono. E se è pur vero che ogni anno, il venerdì della festa, un paio di autobus provenienti da Civitavecchia e Montalto stazionano sul far della sera fuori l’abitato in attesa dei pellegrini che si recano in chiesa per assistervi, ho sempre avuto il dubbio che si tratti di piansanesi emigrati o dei loro discendenti.

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 La Chiesa parrocchiale di Piansano  Il Campanile della chiesa parrocchiale Il Sagrato della chiesa La Madonna esce dalla piccola sacrestia  Il trono processionale ai piedi dell'altare  L'ascesa della Madonna del Rosario  La Madonna si eleva  in alto sull'altare La Madonna sul suo trono processionale Si fissano le travi per il trasporto I portantini pronti per il sollevate         

                                                                     

                                                                                                                LA FESTA DEL MIO PAESE, poesia di Luciano di Michele

Il venerdì della festa è quello che precede la prima domenica d’ottobre, e siccome capita ogni anno in una data diversa, non è possibile definirlo altrimenti.

La festa è naturalmente quella della S.S. Vergine del Rosario: festa importante, non solo a Piansano. Per cui è naturale che quando si dice “Madonna del Rosario” si pensa subito a Pompei e al suo santuario. Ma non a Piansano: per noi non esiste altra Madonna, altro santuario. C’è solo Lei, che ci guarda dalla sommità dell’altare dove magicamente vola quel venerdì sera, e ci assiste tutto il resto dell’anno dalla sua nicchia al centro della navata laterale destra della chiesa parrocchiale, che se anche è dedicata a San Bernardino, patrono del paese, è però la sua chiesa, la sua casa. Qui c’è il suo altare, sorretto da angeli genuflessi in bronzo dorato; e incavata nel muro sotto un arco la sua sede: da qui volgendo verso di noi le sue mani ci offre benedizioni, sorreggendo con la destra il Bambino e con la sinistra un rigoglioso mazzo di rose.

Qui, davanti a Lei, che ci accoglie benigna, ci facciamo fotografare in ogni momento rilevante della nostra vita di cristiani: quando, battezzati, entriamo a pieno titolo nella casa di Cristo; quando, fanciulli, riceviamo trepidanti la prima comunione; il giorno della cresima, ormai ragazzi, e ancor più suoi figli; e dopo aver pronunciato il “sì” che ci unisce in  una nuova famiglia... sempre ricorriamo a Lei, e sempre è con noi, nelle nostre foto di gruppo, come un’amica, una di casa, una di noi. Per cui non c’è meraviglia se la sera del venerdì della festa siamo tutti lì, accalcati tra le mura della chiesa, e anche fuori, impazienti di vederla, incontrarla.

Un certo fermento si avverte per le vie del paese fin dal pomeriggio. Chi si trova a passare a Piansano può notare gruppetti di donne, perlopiù anziane, che a due e a tre, a braccetto e a passo veloce si dirigono in giù, verso la chiesa. Sono le “avanguardie”: si avviano con ore di anticipo per potersi assicurare un posto a sedere. Seguono singoli, coppie, intere famiglie. Una piccola folla si riversa nel paese vecchio, tanto più fitta quanto più l’ora si approssima.

E’ ormai sera e sul sagrato della chiesa è un gran vociare di uomini, donne, bambini. Qui e là stazionano gruppetti di giovani e ragazzi: non entrano in chiesa e un poco snobbano tutto questo fervore; però non si allontanano, stanno lì, tanto le porte del tempio sono spalancate e si vede bene anche da fuori. La piazzetta del resto ha una forma ad anfiteatro, sembra fatta apposta.

I ritardatari non si lasciano scoraggiare dal fatto che la chiesa è stracolma, e in molti si accalcano fin sul portale. Spingono, si scusano, si fanno spazio, cercano di avanzare, nella speranza di trovare un posticino in cui sistemarsi.

La cerimonia non ha un vero e proprio inizio: i fedeli, che a poco a poco si raccolgono nel tempio, recitano spontaneamente ad alta voce il rosario. Una volta due volte... finché il sacerdote e i chierici si uniscono alla preghiera. Intanto intorno all’altare si nota un certo fermento: vengono rimosse le stupende composizioni floreali e la croce, si spostano i grandi candelabri...

         E’ giunto il momento: gli animi, già fortemente eccitati dalla ripetuta recita del rosario, prorompono nel canto liberatorio delle litanie lauretane; e tutti volgono lo guardo lassù, verso l’alto, sulla sommità dell’altare dove è già posizionata la splendida “macchina” che accoglierà la Madonna, un antico e fastoso baldacchino in legno impreziosito da lacche e intarsi  colorati.  

Gli addetti alla macchina intanto proseguono le operazioni: dispongono obliquamente sull’altare due lunghe e resistenti travi di legno che vanno a incastrarsi con quelle che in alto sorreggono il baldacchino. Il popolo accompagna ininterrottamente con il canto la preparazione della struttura su cui la macchina scenderà, fino a posarsi dolcemente a terra. Dopo le litanie è la volta dei canti popolari mariani, un vero giacimento di fede, devozione, cultura e tradizione. Non vi è un ordine preciso: l’organista attacca il motivo e tutti lo seguono. Non vi sono schemi, scalette, testi distribuiti tra i banchi: tutto è assolutamente spontaneo. Il canto che si eleva dal popolo riempie le volte della chiesa e si propaga sul sagrato, ormai affollatissimo. Si invoca la Vergine Madre con le espressioni di fede e poesia che generazioni di musicisti, autori, poeti hanno elaborato e i nostri avi tramandato.

“Andrò a vederla un dì...” intima aspirazione di ricongiungersi a Lei nella pienezza della visione celeste. “Mira il tuo popolo o bella Signora...” invocazione filiale di aiuto, protezione e intercessione. “Madonna del Rosario è dolce esser tuo figlio...” espressione di fiducioso abbandono al materno suo amore. “Bella tu sei qual sole, bianca più della luna...” desiderio di perdersi nella sua abbagliante e candida visione. “O Vergine divina, Vergine tutta santa il popolo ti canta inginocchiato qui...” riconoscimento della sua maestà ultraterrena. E poi il suo inno trionfale, quello che fino a pochi anni fa si evitava di cantare perché troppa era la commozione che induceva nei cuori, troppe le lacrime che muoveva ai suoi figli: “Spunta nel cielo una stella, gioia e conforto sei tu...”.

Ecco la macchina si muove, lentamente inizia la discesa, all’inizio quasi impercettibile: solo il lieve scostarsi dei paramenti liturgici che rivestono la base su cui poggia il trono processionale, solo lo scricchiolio stridente delle corde tese che si distendono rilasciate dagli argani posti dietro l’altare fa intendere che il magico momento si sta rinnovando. Guardiamo assorti con occhi di bambino il ripetersi di un evento che da secoli non cessa di stupirci.

Il tempio è illuminato a giorno, non una delle luci che lo rivestono oggi è spenta: dai grandi lampadari a goccia di cristallo che sovrastano il presbiterio al più modesto dei lumi, foss’anche una semplice bugia devozionale. Tradizionalmente questo è l’unico giorno dell’anno in cui ciò avviene.

Quando la macchina - anch’essa accesa da una fitta teoria di lampadine che ne incorniciano il profilo - si posa lievemente a terra, la cerimonia entra nella sua fase di più intensa partecipazione, non solo spirituale. Una piccola processione di ecclesiastici, guidata dal celebrante e con al seguito sacerdoti e chierici, scende dall’altare e percorrendo la navata centrale si dirige verso una piccola sacrestia situata nei pressi dell’ingresso sinistro del tempio, quello tradizionalmente riservato agli uomini. Il semplice corteo è preceduto dai “sacramenti”, ovvero gli accoliti della confraternita del SS. Sacramento nel loro tradizionale saio bianco legato in vita e mozzetta rossa con scudetto argenteo. Giunti davanti alla sacrestia, facendosi largo tra la ressa degli astanti, “i sacramenti” si dispongono a lato per aprire la strada gli ecclesiastici che, aperta la porta, vi si introducono. Seguono istanti di palpitante attesa. La stanza è aperta, ma nessuno può vedere l’interno, perché tutti siamo posti di lato; solo i confratelli, posti di fronte, hanno questo privilegio: lo vediamo dai loro occhi fissi, sbarrati, carichi di lacrime che non riescono a contrastare. Dalla sacrestia si odono rumori stridenti. La porta è talmente piccola e stretta che la sacra statua per potervi passare deve essere posta a terra e fatta strisciare sul pavimento. Non sono mai entrato in quella stanza, non so cosa vi avviene, immagino che il celebrante incensi il sacro simulacro e con il suo seguito vi reciti una preghiera.  Ma non so...

Mentre il popolo prosegue i suoi canti che ininterrottamente faranno da colonna sonora a tutta la cerimonia, noi che siamo prossimi alla sacrestia scuotiamo i nostri occhi, sempre più languidi, per reprimere le incombenti lacrime. Ecco apparire sulla soglia, tra i montanti e l’architrave, l’abbagliante visione, così come un giorno dovette avvenire a Bernardette e alle sue compagne. Esplode irrefrenabile il grido di giubilo: EVVIVA MARIA! Si trasmette come un moto ondoso di bocca in bocca, di cuore in cuore e i suoi echi si perdono tra le sacre volte. Altre voci, in prossimità dell’altare, lo riprendono e lo rimandano.

La madre celeste ci guarda, anzi volge a noi gli occhi suoi misericordiosi, mentre viene sollevata, vacillando vistosamente, e posta sulle spalle. Ecco il suo amorevole volto, ecco il  suo divino Bambino, ecco le sfavillanti corone auree che cingono la loro testa, il rosseggiante mazzo di rose, la veste preziosa di antichi ricami... Sostenuta dai suoi portantini la Virgo Fidelis quasi ci sfiora, mentre maestosa si immette sulla navata centrale, mostrandoci il celeste manto, fittamente intessuto di filamenti d’oro e riverso sul trono sul quale è assisa. Voglia di affondare il viso nel suo grembo materno, di affidare a lei le nostre ansie, di perdersi nel suo amore divino... Passa in mezzo alla folla, ai suoi figli, che cantano le sue lodi e non distolgono da lei lo sguardo. Elevano le mani per sfiorare il venerato manto, carezzare il glorioso trono, almeno toccare il bordo della veste... come fece lo storpio che Gesù risanò per aver dimostrato la sua fede. In cuor loro pregano, a lei si affidano, presso di lei intercedono, poi nuovamente in una sola voce prorompono: VIVA MARIA!

E’ il grido che costantemente si ripete e accompagna il suo percorso trionfale finché, posta sul baldacchino, inizia la sua magica ascesa. Magica... non ho mai violato questo mistero, non mi sono mai portato dietro l’altare, anche solo per un furtivo sguardo, per scoprire l’ingegnoso e antico meccanismo che da secoli governa la sua ascesa. Mi basta, ci basta, guardarla, cantarla, acclamarla, mentre lieve ed eterea si eleva su di noi; più su, fino a raggiungere la sommità del tempio, in alto, sull’altare.

Solo allora cessano i canti, solo allora il celebrante riconquista la parola e insieme ai fedeli eleva la tradizionale supplica: “Noi ci rivolgiamo a te, Vergine Santa del Rosario. A te affidiamo...”

continua...

Associazione Canino Info Onlus 2010