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Antonio e
Luigi Banzo, padre e figlio, sono due affermati incisori romani titolari di
calcografie censite a vari indirizzi nel corso del XIX secolo. Antonio, nato nel
1777 morì nel 1859; il figlio Luigi, venuto alla luce nel 1805 morì nel 1877.
Nelle fonti, a onor del vero, c’è anche chi li qualifica come fratelli, ma i
ventotto anni di differenza che li separano ben depongono per un più realistico
rapporto di filiazione. Antonio, come apprendiamo dalle sue stesse incisioni, fu
operativo a Roma in Via Pozzo delle Cornacchie 16 nonché in Via Campomarzo 85. A
quest’ultimo indirizzo troviamo anche Luigi, come riportato in numerose sue
opere, a dimostrazione di uno stretto rapporto di condivisione e collaborazione
artistica. Nel 1830, come documenta un catalogo d’arte edito in quello stesso
anno, la ditta risulta attiva nella ben più prestigiosa e centrale sede di Via
del Corso 454, segno di una positiva evoluzione e crescita dell’attività di
famiglia, con significativo ampliamento dell’offerta commerciale che ora
affianca alla tradizionale calcografia anche una stamperia,
con produzione e vendita di libri d’arte, itinerari e stampe.
Gli anni
che seguono sono quelli del successo e dei maggiori impegni editoriali. Dal 1840
al 1844 vede la luce un’opera monumentale in quattro volumi che è un po' la
summa di tutto il lavoro svolto dai due incisori fino ad allora: “Compendio di
vite preso da varii autori con le relative immagini de’ santi per tutti i giorni
dell’anno incise da Antonio e Luigi Banzo”,
ben 366 tavole su
pagina intera corredate da agiografia e vita del santo del giorno. Questa
pubblicazione, che incontrò un certo favore tanto che nel 1846 fu stampata una
seconda edizione, si presta tuttavia a un piccolo giallo: sul frontespizio di
ogni volume è riportata, a fondo pagina, l’indicazione degli editori e tra
questi, oltre Antonio e Luigi, compare anche un certo Giuseppe Banzo. Chi era
costui? Se le notizie su padre e figlio risultano scarse su Giuseppe sono
addirittura nulle. Possiamo presumere che si tratti di un figlio di Luigi,
ovvero la terza generazione della dinastia, che comunque all’epoca doveva essere
ancora piuttosto giovane; oppure di un altro figlio di Antonio, chi può saperlo.
Ma torniamo a Luigi, l’autore dell’incisione della nostra Madonna del Rosario.
Da numerosi lavori da lui firmati e databili alla prima metà degli anni quaranta
dell’ottocento veniamo a conoscenza di una sua bottega in Via Santa Chiara 47/A,
mentre un’acquaforte a lui attribuibile sembra estendere fino al 1862 la sua
permanenza in questo luogo, in contemporanea
quindi con la “sede di rappresentanza” di Via del Corso. E’ quindi
probabile che Luigi, pur partecipando all’impresa di famiglia, disponesse di un
suo personale laboratorio ove mettere a punto i suoi lavori. Quello che è certo
è che dopo la morte del pater familias Antonio, esponente di
maggior spicco della dinastia, inizia per il nostro la fase calante. La
stamperia e rivendita di Via del Corso viene chiusa, risultando probabilmente
sovradimensionata per la residua attività e chiude i battenti anche il
laboratorio in Santa Chiara. Nel 1864 ritroviamo infatti Luigi in una nuova
calcografia in Via della Sapienza 67,
dove opererà almeno fino al 1869,
secondo quando pubblicato in repertori coevi, ma probabilmente per il resto
della sua vita.
Abbiamo ora tutti gli elementi per chiederci come e quando è nata l’incisione
devozionale della nostra Madonna del Rosario. L’incrocio di date ed eventi certi
ci consente di fornire risposte
precise. L’opera appartiene con ogni evidenza all’ultima fase della produzione
artistica di Luigi Banzo: fu realizzata infatti in occasione dell’Incoronazione
della sacra statua, avvenuta il 4 ottobre 1863, regnante Pio IX, su concessione
del Capitolo Vaticano. Nella solenne processione di quell’anno di grazia il
simulacro della Vergine, coronato d’oro, per la prima volta sfilò per le vie del
paese addobbate di arazzi e archi trionfali nella sua nuova “macchina”, vale a
dire il magnifico trono processionale che proprio in quell’occasione fu
inaugurato. La datazione dell’incisione appare certa per il fatto che nella
raffigurazione la Santa Vergine indossa la sua splendida corona ed è seduta in
trono all’interno della “macchina” che riproduce esattamente quella attuale.
L’immagine non può quindi risalire ad anni anteriori, per la semplice ragione
che quegli specifici attributi, ovvero corona e trono, in precedenza non c’erano
e va quindi correttamente datata al 1863-1864. L’unica perplessità è per
l’abito, riccamente ricamato di rose seminate, di cui la statua è rivestita e
che non sembra corrispondere ad alcuno di quelli di cui si ha memoria.
Chiediamoci anche chi può aver commissionato questa riproduzione che,
certamente, avrà avuto un costo non irrilevante, vista la notorietà dell’autore.
Non disponiamo di elementi per appurarlo, ma ritengo che non possa che trattarsi
del parroco di allora, il vicario foraneo don Vincenzo Fabrizi che tanto si era
prodigato per ottenere l’onore dell’aurea corona. Questi sarà stato senz’altro
indirizzato verso la bottega del Banzo da qualche alto prelato della curia
vaticana che magari aveva già usufruito dei servizi della medesima. Azzardo un
nome, consapevole che si tratta di una mera congettura: il card. Nicola
Parracciani Clarelli, che ben conosceva la devozione dei piansanesi verso la
Madonna del Rosario, essendo stato vescovo di Montefiascone fino al 1844 e che
era pure stato tra i più autorevoli promotori dell’incoronazione.
C’è da presumere che, a seguito dell’incarico, il Banzo sia venuto presso la
nostra parrocchiale per prendere visione del lavoro da svolgere; mi sembra meno
probabile che abbia usufruito a tal fine di una accurata riproduzione
fotografica. Avrà fatto degli schizzi, preso appunti e misure per poi incidere
la lastra di zinco con funzione di matrice calcografica da cui ricavare le
stampe. Chissà se questi materiali sono ancora custoditi da qualche parte, anche
se il secolo e mezzo intercorso non depone certo a favore di questa possibilità.
Mi sono anche chiesto se il nostro Autore abbia avuto altri committenti nella
Tuscia o se invece la”trasferta” piansanese sia stato un “unicum” nella sua
produzione. Per quanto mi risulta ho trovato una sola ulteriore incisione a suo
nome di soggetto viterbese, dedicata al “Beato Crispino da Viterbo. C.” dove
l’ultima lettera sta per “Cappuccino”, senza indicazione di data e luogo.
L’ultima riflessione vorrei dedicarla alla “fortuna” di questa storica
raffigurazione della Vergine: in proposito non vi è alcun dubbio che sia rimasta
nel cuore dei piansanesi, vista la sua ampia diffusione. Certo oggi non è più
reperibile la stampa originale, quella che nel 1863-64 uscì dal torchio della
calcografia di Via della Sapienza 67, ma nel corso del secolo scorso sono state
realizzate varie ristampe anastatiche del soggetto. Una, negli anni settanta, in
carta patinata bianca presso la tipografia Gigli di Grotte di Castro con
l’iscrizione edificante riportata in calce: “Non bestemmiare. Offendi Dio –
Offendi me”. Ed è proprio questa quella incorniciata nel quadretto della nonna
che mi ha offerto lo spunto per questo articolo. Con un pizzico di delusione
invero, perché ricordavo che ne esisteva una più antica, risalente alla fine
degli anni cinquanta su cartoncino rigido opaco. Ma come in ogni bella storia
che si rispetti non poteva mancare la sorpresa finale e il lieto fine: mentre
infatti mi accingevo a rimuovere dal quadretto cornice, vetro e materiali di
riempimento per meglio ripulire il tutto, ecco riemergere al di sotto della
riproduzione suddetta, tra un foglio di carta velina e un cartoncino di
supporto, la stampa originale degli anni cinquanta! ...che
evidentemente la nonna si era limitata a ricoprire con quella più recente
piuttosto che a sostituire. E’ impolverata e sgualcita ma integra. Identica
all’altra anche nelle dimensioni, è stata probabilmente usata come matrice per
la sua riproduzione. Uniche differenze, oltre il supporto cartaceo rigido e il
color seppia, una lievissima cornice costituita da due righe parallele sui
quattro lati con fogliolina stilizzata ai vertici e la scritta in calce
“Immagine della Vergine SS. del Rosario venerata nella chiesa parrocchiale di
Piansano”, il tutto “firmato” dalla Premiata Tipografia Vulcente di Canino.
Quest’ultima riproduzione, per completezza di informazione, è stato riproposta,
seppur in minor formato e in tinta fortemente satura, dalla Classe 1960
in occasione della Festa del 2010, allorché
le poste concessero uno speciale annullo riproducente la Vergine con il
Bambino.