Il 27 febbraio 1808, a Roma, davanti al notaio camerale
Nicola Nardi, assente il senatore Luciano Bonaparte, si trovarono
il suo procuratore avvocato Pietro Benotti e il Tesoriere della
Camera Apostolica per stipulare il contratto di vendita dei beni
camerali (1) nella Comunità di Canino. La necessità di vendere tali
proprietà fu dovuta, stando a quanto riportato nell’atto, per “supplire
alle inevitabili spese per la fornitura delle truppe francesi”,
e questo perché già dal 2 febbraio 1808 le truppe del generale
Miollis erano entrate a Roma ed avevano iniziato a smantellare
l’amministrazione pontificia.
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Affresco inizio
sec. XIX raffigurante la città di Canino (Roma, Palazzo
Farnese) |
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La vendita delle proprietà camerali nei territori dell’ex Stato di Castro,
costituiva l’atto finale di un processo iniziato nel 1790 nel
momento in cui Pio VI decise di sostituire all’Appalto Generale dei
beni camerali una serie di enfiteusi la cui estensione
corrispondeva al territorio delle diverse Comunità. Questo nuovo
sistema doveva favorire da un lato l’aumento delle rendite camerali
e, dall’altro, l’aumento della produzione agricola e del benessere
dei sudditi pontifici. Fu così che i beni Camerali nella Comunità
di Canino furono enfeuticati a Luca Antonio Castiglioni
(2) per un
canone di 8500 scudi all’anno. Tra il Castiglioni e la Camera
Apostolica sorsero subito dei problemi legati al fatto che
l’enfiteuta si lamentava della gravosità del canone in relazione
alle scarse rendite che riusciva a ritrarre dai fondi, perciò
corrispondeva il canone parzialmente e con forti ritardi. Nel 1802
la speciale Congregazione Enfiteutica, istituita nel 1797 da Pio
VI, prendendo spunto dalla insanabilità di questo contenzioso,
decise di annullare il contratto con il Castiglioni per stipularlo
con il Conte Domenico Lavaggi. Nel 1807 il Lavaggi chiese ed
ottenne dalla Camera Apostolica la rescissione del contratto
enfiteutico (3), ed in attesa di una sistemazione definitiva della
proprietà, questa fu affittata temporaneamente a Francesco Parri di
Piansano.
I continui cambi di gestione e la conseguente incertezza nella
riscossione del canone preoccupavano molto gli amministratori
camerali, anche perché dovevano far fronte all’enorme massa di
debiti da rimborsare che gravava sulle finanze pontificie. Già dal
1803 Pio VII aveva orientato la politica economica verso la vendita
del patrimonio delle Comunità (4) e Camerale, come ultima “ratio” nella
ricerca di mezzi finanziari per rimborsare i “luoghi di monte” del
debito pubblico e dei prestiti accesi presso numerosi banchieri.
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Note
1) ASRo, Segretari e Cancellieri della R.C.A., notaio Nicola Nardi,
27 febbraio 1808, vol. 1336.
2) ASRo, Segretari e Cancellieri della R.C.A., notaio Nicola
Fatigati, 1 febbraio 1790, vol. 678
3) La rescissione del contratto enfiteutico tra la R.C.A. e Lavaggi
fu sancita con rescritto di Pio VII del 30 maggio 1807 (ASRo,
Segretari e Cancellieri della R.C.A., notaio Gioacchino Farinetti,
Esibita di memoriale per Sua Eccellenza il Principe di Canino
Luciano Bonaparte, 3 dicembre 1821, vol. 644, f. 568)
4) Con il Motu Proprio del 14 luglio 1803, fu decretata la “vendita
di tutti i beni delle Comunità dello Stato”, ASRo, Camerale I,
Chirografi pontifici, Reg. 208
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