Il Monumento a Giuseppe-Luciano Bonaparte
|
Joseph-Charles Marin: un’ipotesi per l’attribuzione del monumento
a Giuseppe Luciano Bonaparte
|
|
Vai a Parte:
2^ |
Parte Prima |
 |
di
Giulia Item |
 |
|

Il Monumento a Giuseppe
Luciano Bonaparte
|
Joseph-Charles Marin, artista francese, durante il suo lungo
soggiorno romano fu ‘reclutato’ dall’entourage del senatore: già
nel 1804, quando Bonaparte arrivò in Italia, Marin prese spesso
parte alle rappresentazioni teatrali che si tenevano a palazzo
Lancillotti, entrando in confidenza con la famiglia dell’allora
senatore. Inoltre i due ebbero modo anche di frequentarsi
all’interno dell’Accademia, in quanto entrambi, grossomodo nello
stesso periodo, divennero membri della prestigiosa istituzione
romana. L’arte di Marin dovette senza dubbio conquistare Luciano
che, anche nei momenti di difficoltà, non rinunciò a
commissionargli opere, diventando ben presto uno dei maggiori
collezionisti delle opere dell’artista. Accanto ai numerosi
ritratti dei componenti della famiglia Bonaparte, infatti,
figurava anche un Cupido in marmo annoverato tra i pezzi della
collezione di Luciano che furono messi all’asta a Londra nel
1815.
Inoltre, la statua di Igea, una delle opere che furono riportate
alla luce nel corso degli scavi al Tuscolo, fu completata con la
testa-ritratto di Lolotte - figlia di primo letto di Luciano -
proprio da Marin nel 1809, come testimonia nel suo diario
Pacetti. [nota1] La gran parte della letteratura artistica che si è
occupata del periodo non manca di citare, a proposito di Marin,
la committenza di Bonaparte. Guattani [nota2], nel II tomo delle sue
Memorie Enciclopediche, cita la realizzazione dei busti della
famiglia di Luciano, che nel 1805 furono esposti all’Accademia
di Francia. Nel catalogo della mostra ‘The Age of Neoclassicism’
[nota3] , tenutasi a Londra nel 1972, Marin è citato come l’artista
che servì maggiormente Bonaparte nel periodo italiano. Infine,
anche all’interno della pubblicazione di M.S. Lilli, troviamo
una nota biografica dedicata a Marin, all’interno della quale è
dato gran risalto alla committenza Bonaparte.
|
|
Un sodalizio prolifico, dunque, quello che si instaurò tra Bonaparte e
l’artista che fa pensare al fatto che Luciano abbia potuto
commissionare proprio a questo scultore l’opera di Canino. Nel
dizionario di Lamì si può leggere, riferito alle opere che l’autore
attribuisce allo scultore: “Tombeau d’un jeune enfant, destiné a l’eglise
des Capucins(...) prés de Frascati”. Una simile affermazione porta
naturalmente a pensare che, anche se non sono specificati né l’anno,
né il personaggio a cui è dedicato il monumento, che l’autore si sia
riferito proprio al monumento a Giuseppe-Luciano Bonaparte. Come
conferma anche Réau, le opere dedicate ai familiari scomparsi di
Luciano Bonaparte, furono conservate originariamente a Frascati. Per
confermare un’ipotesi attributiva che vuole Marin l’autore di questo
monumento, naturalmente, avremmo bisogno di acquisire ulteriori
notizie da rintracciare all’interno della carriera artistica dello
scultore francese.
La lastra scolpita che accompagna il monumento è occupata da due
figure fondamentali: un genio che indica la via del cielo ad un
bambino che giace disteso sul letto di morte. Lo sfondo si presenta
assolutamente liscio e privo di qualsiasi decorazione.
Il genio funerario, posto sulla parte superiore del bassorilievo, ha
le sembianze di un adolescente dalle cui spalle si diparte un paio
di ali; sulla spalla sinistra è adagiato un drappo che ondeggia
seguendo il movimento del corpo. Più in basso il piccolo defunto è
steso su un lettino di foggia neoclassica, ricoperto da un lenzuolo
che lascia intravedere la parte finale del mobile. Questo può essere
visto già come una citazione vera e propria dello stile di Canova:
nell’opera di Canino possiamo riconoscere un tentativo di riprendere
il senso della prospettiva presente nelle opere canoviane, fatto
apposta per dare profondità ad una scena priva di altri riferimenti
spaziali, nel passaggio da un rilievo minimo con cui lo scultore
realizzò il genio ad una lavorazione quasi a tutto tondo
dell’infante e del letto che lo ospita.
Accostando il ritratto di quest’ultimo ai busti in bronzo che
ritraggono i figli di Luciano Bonaparte, che risultano attribuiti a
Marin, possiamo notare una lavorazione comune dei passaggi dei piani
del viso: in particolare, il primo ritratto da sinistra presenta
un’analogia nella forma delle guance - fortemente sviluppate
rispetto agli occhi, alla bocca e al naso - proprio come nel viso di
Giuseppe-Luciano caratterizzato dalla stessa particolarità.
Esistono tutta una serie di sculture, di epoca Augusta, che
presentano la medesima impostazione iconologica, riferita anche a
soggetti adulti, ma più frequenti sono gli esempi che riprendono
defunti bambini. In realtà esse sono tutte espressioni di una comune
idea, tramandata dall’Oriente e arrivata alla cultura romana
attraverso quella greca, secondo cui i defunti appaiono sotto la non
azione del sonno eterno.
|
Il monumento a Giuseppe Luciano Bonaparte rappresenta un episodio
isolato all’interno della produzione di monumenti funebri nella
prima metà del XIX sec. Infatti, cercando tra le altre opere che
hanno come soggetto la scomparsa di un fanciullo, non si ritrovano
che alcuni particolari comuni.
Per quanto, infatti, ritornino alcuni elementi soprattutto di tipo
iconografico, questo tipo di scene si evolveranno soprattutto in
senso sentimentale e puristico, con un diretto riferimento
all’aspetto religioso.
|

Particolare del Monumento
|
|
|
Il monumento Bonaparte, attraverso il confronto con le opere
coeve che hanno il medesimo soggetto – la morte di un bimbo -,
appare lavoro di impostazione nettamente ‘pagana’: il genio
funerario sembra suggerito dalle influenze dell’arte classica e non
ha niente a che fare con gli angeli vestitissimi e con tanto di
aureola delle sculture successive; non sono citati genitori
scarmigliati e disperati, soprattutto il bimbo non ha ancora
acquistato quelle fattezze da putto rinascimentale che si
svilupperanno a partire dagli anni Venti dell’Ottocento.
Nel monumento di Canino l’unica concessione che l’autore fa al
sentimento cristiano è, probabilmente, l’iscrizione che appare sul
gradino dove poggia il lettino, quasi a voler sembrare un augurio di
ciò che troverà laddove lo invita a seguirlo il genio, verso la vita
dopo la morte, ed è per questo motivo che può essere giustificata la
sua presenza su un supporto dello stesso colore della scultura,
differenziandola così dall’iscrizione dedicatoria, inserita più in
basso su marmo grigio.
Nel Monumento a Giuseppe-Luciano Bonaparte si può intravedere un
tentativo di ritrovare quella dignità e quella serenità dei
sentimenti tipica dei monumenti di Canova. Anche se le figure non
riprendono pienamente le proporzioni perfette dello scultore veneto,
sembrano adeguarsi comunque ad un linguaggio comune negli anni della
creazione. Ed è proprio qui il nodo fondamentale attorno a cui gira
la questione dell’attribuzione dell’opera: essa sembra realizzata da
qualcuno che si adeguò ad uno stile, ma soprattutto ad una poetica
diffusissima - quella canoviana - lasciando però venire fuori anche
quegli elementi personali che rendono particolare l’opera.
|
In precedenza si è parlato di Marin come di un artista che non
seppe mai rinunciare all’ispirazione personale, ma che spesso si
sottomise ai principi neoclassici, soprattutto nel caso di
committenze di un certo livello.
Ci sono alcuni particolari, nell’opera conservata nella Cappella
Bonaparte, che fanno pensare al fatto che l’autore abbia voluto a
tutti i costi aderire ad uno stile, forse anche su suggerimento del
committente, non ancora pienamente acquisito; per questo la
vicinanza così accentuata con le opere di Canova appare giustificata
dal fatto che quest’ultimo dovette apparire come una sorta di
abecedario della lingua neoclassica da cui trarre spunto.
L’identificare l’autore del Monumento a Giuseppe-Luciano Bonaparte con lo
scultore Marin risulta un’operazione che si basa sul fatto che,
paragonando l’opera di Canino con quelle del periodo ‘accademico’
dell’artista, vengono analizzati alcuni elementi - prevalentemente
di natura stilistica - che risultano a favore di quest’ipotesi. In
aggiunta, appaiono evidenziati tutta una serie di particolari frutto
di un’assimilazione di varie influenze che l’artista ha subito
durante la sua permanenza a Roma e che ritornano frequentemente nel
suo repertorio.
Non ultimo, poi, il così stretto rapporto, di lavoro e non, che lo
legò a Luciano Bonaparte negli stessi anni in cui il Senatore ebbe
bisogno di commissionare un’opera per un evento così tragico.
Per tutti questi motivi, approfonditi nelle pagine del capitolo, è
apparso giusto concludere la ricerca con l’affermazione, per certi
versi inedita, che potrebbe aprire la via a nuove ricerche e,
soprattutto, far luce su un altro aspetto dell’arte di Marin
scaturito dallo studio di un’opera che con molta probabilità si va
ad aggiungere al suo repertorio, opera maturata nell’ambito dal
mecenatismo di Luciano Bonaparte.
|
|
Vai a Parte:
2^ |
 |
|
Note:
1 - V. Pacetti, Il Giornale di Vincenzo Pacetti, 20 sett.1809,
f.44; M.Natoli, cit., pag. 60.
2 - “Sei busti in marmo rappresentanti il Sig. Senatore Luciano
Bonaparte, la sua Sposa, e quattro suoi figli, due maschi e due
femmine, del sig. Marin.” Cfr. G.Guattani, cit., t. II, pag.121.
3 - The Age of Neoclassicism, cat. mostra, Londra 1972, pagg. 260,
261. |
|