Quante volte ci è capitato di
notare sugli scaffali dei supermercati bottiglie di olio spacciato
per extravergine magari anche italiano a prezzi di 3-4 euro al
litro?
Vivendo in un paese come
Canino e conoscendo bene la filiera di questo nostro prodotto di
eccellenza, sappiamo bene che un prezzo del genere non consente di
garantire un prodotto di qualità ottenuto dalla prima spremitura di
olive italiane entro poche ore dalla raccolta.
Ci è venuto quindi da
pensare che quell’olio potrebbe non essere extravergine, oppure
potrebbe essere una miscela di olii proveniente da vari paesi e
spacciato per nazionale.
Ma tutto ciò sarebbe
lecito?
In questi giorni è apparsa
su repubblica.it una interessante inchiesta in proposito che
dimostra come esista una notevole truppa di cosiddetti “furbetti del
frantoio” favoriti da leggi a tutela della qualità siano a dir poco
lacunose.
I boss
internazionali dell'olio fanno incetta di miscele straniere a meno
di 25 centesimi al chilo. Poi le trattano, le mescolano, le
deodorano e le mettono sul mercato a prezzi ribassati, due/quattro
euro al chilo, ma sempre con ricarichi importanti e con informazioni
al cliente sostanzialmente false.
In
base al regolamento comunitario 182 del 6 marzo 2009, indicare la
provenienza delle miscele ("di diversa origine") impiegate sarebbe
obbligatorio. In realtà, in nove bottiglie su dieci le scritte che
dovrebbero essere riportate — "miscele di oli di oliva comunitari",
"miscele di oli d’oliva non comunitari",
"miscele di oli di oliva comunitari e non comunitari" — sono
illeggibili. I caratteri sono talmente piccoli, e stampati in
posizioni quasi nascoste, che per scorgerli bisognerebbe avere la
lente d'ingrandimento
Poi anche se lo fossero
non è che direbbero un granchè. Se una miscela di olio di oliva è
comunitaria potrebbe non contenere nemmeno un centilitro di olio
italiano.
C’è poi una
parolina magica — "trasformazione" — di cui si è esteso il
significato. In modo strumentale. Un tempo per trasformazione si
intendeva la frangitura, la molitura: insomma il passaggio
dall’oliva all’olio. Oggi se i boss internazionali dell’olio dicono
che trasformano, può significare che ce la stanno facendo sotto il
naso. Fanno incetta di olio spagnolo e tunisino. Lo pagano meno di
25 centesimi al chilo. In Italia lo miscelano, anzi, lo
"trasformano", che è un termine più igienico, anche rassicurante. A
volte la trasformazione è semplicemente l’imbottigliamento. In altri
casi prevede degli innesti. Magari minimi. O il processo di
deodorazione: si interviene con il vapore per eliminare i difetti
(morchia, rancido, muffa, riscaldo, lubrificanti).
La prima
indagine nazionale sulla qualità dell’olio d’oliva in vendita nei
supermercati italiani ha dato esiti disastrosi. Su dodici campioni
(delle marche più vendute) prelevati dagli scaffali e analizzati in
laboratorio, quasi la metà sapeva di muffa. Le analisi
organolettiche hanno evidenziato difetti gravi come il rancido e il
riscaldo. "Un olio per poter essere considerato extravergine deve
essere privo di difetti organolettici".
Per il momento, se il consumatore
vuole assicurarsi un prodotto genuino, deve affidarsi agli olii
forniti di marchio DOP (DENOMINAZIONE
D’ORIGINE PROTETTA)
I prodotti
agroalimentari riconosciuti dalla UE come prodotti DOP sono
caratterizzati da un legame piuttosto forte con il territorio di
produzione. Tutte le fasi del ciclo produttivo, dalla materia prima,
alla trasformazione,
all’elaborazione, al confezionamento, devono avvenire nel territorio
di origine ( è questo il caso del nostro olio extra vergine di
Canino)
I prodotti agroalimentari
riconosciuti dalla UE come prodotti IGP, invece, presentano
un legame con il territorio meno forte. Solo uno degli stadi della
lavorazione (o la produzione, o la trasformazione, o l’elaborazione)
deve avvenire in un determinato territorio d’origine.
Nel caso dei prodotti
agroalimentari riconosciuti dalla UE come
prodotti STG,
non è possibile fare riferimento ad un'origine geografica. La forma
di tutela è praticamente quella di valorizzare le peculiarità del
prodotto determinate esclusivamente dall’applicazione di un
particolare processo di produzione tradizionale attraverso l’impiego
di materie tradizionali.
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