Quando il Sipario calerà

Cronaca di una vicenda tragica il cui epilogo si consumò a Canino nel 1925 (prima parte)


seconda parte - terza parte

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di Mauro Ballerini

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Chi, la mattina del 9 novembre 1925, si era svegliato alle prime luci dell'alba per intraprendere una nuova settimana di lavoro e fatica, considerava certamente quel lunedì un lunedì qualunque, identico ad altri infiniti lunedì passati e futuri.

Eppure un qualcosa di nuovo stava per accadere nella piccola e antica città di Canino: in piazza Valentini erano arrivati alcuni carri stracolmi di casse, valigie, cappelliere, bauli, scenari, fondali, elmi, spade...

Da quei carri, erano scese delle persone, ancora più indecifrabili degli oggetti che portavano con sé: il loro aspetto era elegante, si potrebbe dire cittadino, e il loro modo di parlare così privo di inflessioni dialettali da risultare quasi stridente.

Sbarcati sulla piazza, si erano messi a parlare a voce alta, movendosi con naturalezza, quasi fossero degli habitué di quel luogo; eppure nessuno li aveva mai visti prima. Le donne di quella strana combriccola osavano addirittura trattare con gli uomini come fossero loro pari: si rivolgevano gli uni agli altri con insolita familiarità, ma poi utilizzavano un aristocratico “voi”.

Ecco che le passanti si sono fermate a guardarli: li osservano con un misto di curiosità e soggezione; avrebbero voglia di chieder loro chi mai siano e da dove vengano, ma poi non hanno il coraggio neppure di avvicinarli. Li scrutano da lontano.

La prima ad essere notata è una signora piccola e corpulenta, sulla cinquantina, che si muove come un generale nel campo di battaglia: detta ordini, impartisce raccomandazioni, distribuisce oggetti e ammonimenti e tutti sembrano obbedirle già pri­ma che lei parli. Ha i capelli folti, ben piegati, quasi uscisse dallo studio di un parrucchiere; sulle labbra un rossetto color carminio e le gote di un rosa antico. "Tutta questa cura a cosa le servirà", si chiedono mormorando le curiose spettatrici. Ma il fatto che più le indigna è che quella donna — pare chiamarsi Giuseppina — non sembra curarsi minimamente dei loro sguardi indiscreti, quasi non li notasse o addirittura non ne fosse affatto intimidita. A farle da cornice altre due donne, molto diverse fra loro. Una, poco più giovane della prima, la richiama però molto nel viso e nel portamento, così come nel colore corvino dei capelli e nel cipiglio. Forse sono sorelle! E' vestita alla moda, con raffinati guanti in raso nero e una lunga collana di perle, davvero troppo lunga. Ha un portamento signorile, con movimenti studiati e composti. L'altra, la più giovane del gruppo, è Leonilda: tutti la trattano con affetto e si preoccupano di lei. E’ una ragazza sui vent'anni, un po' impacciata, dal viso dolce e diafano, lievemente malinconico. Se ne sta sola, schiacciata tra le due matrone che per un verso sembrano proteggerla e per un altro asfissiarla con le loro premure.

Canino, Piazza Vittorio Emanuele in una cartolina d'epoca

Ritratto di Giuseppina Nistri, inizio '900. Collezione privata Mauro Ballerini

 

Ma anche gli uomini non sono passati inosservati allo sguardo indagatore delle passanti: sono vestiti di chiaro, con abiti cuciti da sarti esperti. Hanno il collo dritto, altezzoso, e la loro pelle è insolitamente bianca, levigata, nient'affatto increspata dal sole e dal sudore. E i loro capelli paiono scolpiti tanto sono impomatati.

Uno di loro, che senza dubbio ha passato i cinquant'anni, non sembra neppure italiano: è di un biondo quasi trasparente e i suoi occhi così azzurri da rendere il suo sguardo indecifrabile e raggelante. Si rivolge ai garzoni — chiamati lì a raccolta per aiutarlo nel trasporto di tutti quei bagagli — con un fare scortese e sprezzante; è lui quello che gestisce l'economia del gruppo e quel maneggiar denaro lo rende ancora più insopportabile. Noncurante del da farsi, fuma elegantemente il suo sigaro un bel tipo dalla corporatura imponente e una gran voce roboante, a cui tutti si rivolgono col titolo onorifico di "cavalier Angelucci". Quando gli occhi delle paesane si fermano per qualche attimo su quell'uomo tanto affascinante subito si abbassano, quasi fossero vittime di una muliebre pudicizia o, forse, di un inconfessabile pensiero: quelle onorate signore sanno fin troppo bene che non è lecito peccare neppure con la fantasia.

Nel frattempo i bauli sono stati scaricati dal carro e lentamente quegli strani personaggi si avviano verso gli stretti vicoli del paese, fino a dileguarsi tra il groviglio di strade e stradicciole.

 

Ma chi è quella gente? Da dove viene? Cosa ci fa qui? Queste e altre le domande che si ripeterono e moltiplicarono di bocca in bocca per tutto quel lunedì 9 novembre 1925, fino poi a dileguarsi alla sera nell'intimità delle case.

 

Ma ecco comparire all'indomani — quando il sonno sembrava aver riportato tutto alla più assoluta normalità — delle insolite affissioni sui muri del paese: dei manifesti più o meno grandi, con vivaci colori pastello, che annunciavano per il giorno giovedì 12 novembre l'imminente debutto della Drammatica Compagnia Nistri, che avrà l'onore di inscenare come "prima recita" L'Ombra di Niccodemi, magistralmente interpretata dalla prima attrice signora Giuseppina Nistri. A seguire, L’elenco degli attori: Pia Cresseri, Leonilde Nistri, Nina Berti, cav. Umberto Angelucci, Arturo Nistri, Egisto Berti, Giulio Andreotti.

 

D'un tratto un raggio di luce sembrò dissolvere la nebbia del giorno precedente: che quegli strani   individui,   arrivati   il   dì   innanzi   in   piazza   Valentini,   fossero   quelli   del   teatro? La curiosità accrebbe l'attesa di quella tanto annunziata "prima recita".

La sera del 12 novembre il teatro comunale di Canino era gremito di aristocratici e popolino: tutti, senza distinzione, più che aspettare la messa in scena del dramma, attendevano di riconoscere sul palcoscenico — nascosti dietro il trucco, le parrucche e le barbe finte , quei volti scrutati con tanta attenzione pochi giorni addietro. Ore 21 precise: lo spettacolo finalmente ha inizio. Il pubblico, sulle prime, è tutto preso a dare un nome ai singoli attori. Ecco, quella che impersona Berta, la protagonista, è Giuseppina Nistri "il generale"; il ruolo di Gerarrfo, marito di Berta, è invece interpretato dal "cavalier Angelucci", il primo attore. E di seguito il pubblico riconosce la signora con la lunga collana di perle, Pia Cresseri, nel ruolo di Elena, e la timida Leonilda che impersona la ancor più timida cameriera. Si dice che quelle due donne siano rispettivamente la sorella e la figlia della prima attrice. Per ultimo, la gente individua l'uomo biondo e mefistofelico: è Arturo Nistri, capocomico e marito della prima attrice, che per quella sera interpreterà Michele, l'amico di Berta.

 

Una volta accertati i ruoli e le identità dei singoli attori, il pubblico inizia a interessarsi allo spettacolo con maggior attenzione. La trama del dramma è di una suggestione davvero insolita.

 

Una donna (Berta) è costretta da una paralisi a vivere inchiodata per anni su una poltrona, ridotta ad essere un'ombra più che una donna. Di contro a questa sua disumana condizione, si erge invece suo marito Gerardo, giovane e apprezzato artista, che dalla vita può ancora molto pretendere e molto ottenere. Un uomo che, pur essendole dedito nelle cure e attenzioni quotidiane, ha cercato in un'altra donna (Elena), amica di Berta, la propria felicità e da lei ha segretamente avuto un figlio. Ma un giorno ecco accadere l'impensabile: Berta, contro ogni previsione medica, sente rifluire nuovo vigore nei propri arti che, lentamente, paiono riprendere vita e movimento. E una gioia traboccante, tanto inesprimibile quanto inattesa. Il male l'ha di colpo abbandonata e lei potrà finalmente riprendersi ciò che la vita le aveva sottratto per troppi lunghi anni, in special modo l'amore di Gerardo. Ma la sua rinnovata felicità si tramuta presto nella più funesta delle rivelazioni: in un susseguirsi convulso di scene, Berta scopre l'infedeltà dell'uomo amato, il tradimento dell'amica e la presenza di un bimbo tenero e innocente... Il dolore lancinante, che la incatenava fino a poche ore prima su quella miserabile poltrona, le appare ora un nonnulla rispetto a quello che prova adesso di fronte al naufragio di tutte le proprie certezze, attese e speranze. Eppure, nella sua forza di donna provata dalla vita e nel suo amore irrobustito dalla pietà, Berta trova lo straordinario coraggio di compiere il gesto più estremo: fingere, fingere che in lei la malattia non sia mai venuta meno; rassegnarsi a tornare niente più che un'ombra, quell'ombra sotto la quale Gerardo potrà tornare in ogni momento a ristorarsi dalle proprie angustie; quell'ombra che se ne starà muta nel suo cantuccio, fingendo di non sapere, non vedere: eternamente crocifissa alla sua sedia e al suo perduto amore.

 

Locandina de L'Ombra al teatro Comunale di Canino - Archivio storico comunale Tarquinia

Il Teatro Comunale di Canino

Alla fine del III atto, nell'ultimo monologo di Berta, il pubblico sembrava davvero incontenibile: quella vicenda intessuta d'amore e di martirio, di sacrificio di sé in nome di un gesto tanto generoso quanto gratuito, aveva lasciato turbati uomini e donne, piccoli e adulti.

Ma soprattutto ad aver incantato la platea era stata la bravura della prima attrice. Giuseppina Nistri, così assolutamente "vera" in quella sua parte, da aver confuso e disorientato il pubblico. Nel I atto, sulla sua sedia da paralitica, la Nistri sembrava di pietra tanto era immobile; solo impercettibili smorfie di dolore le traversavano il viso e la sua voce ne risultava a tratti interrotta e incupita. Alla fine della scena V del I atto, eccola invece rianimarsi, riprendere colore, energia: tutto in lei sembra come miracolosamente rifiorito e rinnovato. Il pubblico non sa più se sta assistendo ad una guarigione fittizia o reale. Ne è incantato. Ed infine ecco sopraggiungere l'ultima scena (la VII) dell'ultimo atto (il III), quello della sua volontaria autocondanna, pronunciata con parole così tenere verso l'uomo amato, da farcene dimenticare persine la colpa. Mentre gliele sussurra, gli accarezza il capo, e poi lo stringe tra le sue braccia e lo attorciglia, lo rigira, la stropiccia, sensuale e materna, vittima e padrona del suo straordinario sentimento. Il palco è completamente riempito dall'arte della Nistri che, per recitare quell'ultimo atto è avanzata sul proscenio, inondata dalle luci della ribalta: e il pubblico non vede e non sente che lei, già completamente irretito in quell'illusone gioco che è il teatro.

E di sera in sera, l'emozione cresce e aumenta anche perché la Compagnia Nistri ha la generosità di inscenare nel piccolo Teatro Comunale di Canino opere che, in quegli stessi anni, venivano rappresentate nei più grandi teatri d'Italia e d'Europa.

Drammi dei più prolifici geni nostrani quali Bario Niccodemi (L'Ombra, La Nemica, La Maestrina, Il Titano, L'Alba, il giorno e la notte), Gabriele D'Annunzio (La figlia di Jorio, La fiaccola sotto il moggio, Gioconda), Sem Benelli (La cena delle beffe), Carlo Marenco (La Pia de’ Tolomei); opere del più famoso drammaturgo francese Victorien Sardou (La Tosca, La Fedora, La Fernanda); tragedie del più grande dei tragici inglesi William Shakespeare (Otello, Amleto); e poi ancora Spettri di Ibsen, Lo signora delle camelie di Alexandre Dumas fils, Il padrone delle ferriere di Georges Ohnet, Il Ladro di Henri Bernstein, Non amarmi così di Arnaldo Fraccaroli, La Piccola Fonte di Roberto Bracco, Il Passerotto di Sabatino Lopez...

Insomma, le più recitate, interpretate e applaudite opere del teatro otto-novecentesco venivano — di sera in sera — riproposte con maestria e cura artistica di fronte agli occhi ammirati e talvolta estasiati del pubblico caninese.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 
 
 

 

 
                             

                                                                                 

 

 
  
 

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