Chi,
la mattina del 9 novembre 1925, si era svegliato alle prime luci
dell'alba per intraprendere una nuova settimana di lavoro e
fatica, considerava certamente quel lunedì un lunedì qualunque,
identico ad altri infiniti lunedì passati e futuri.
Eppure
un qualcosa di nuovo stava
per accadere nella piccola e
antica città di Canino: in piazza Valentini erano arrivati
alcuni carri stracolmi di casse, valigie, cappelliere, bauli,
scenari, fondali, elmi, spade...
Da
quei carri, erano scese delle persone, ancora più indecifrabili
degli oggetti che portavano con sé: il loro aspetto era
elegante, si potrebbe dire cittadino, e il loro modo di parlare
così privo di inflessioni dialettali da risultare quasi
stridente.
Sbarcati sulla piazza, si erano
messi a parlare a voce alta, movendosi con naturalezza, quasi
fossero degli habitué di quel luogo; eppure nessuno li
aveva mai visti prima. Le donne di quella strana combriccola
osavano
addirittura trattare con gli uomini
come fossero loro pari: si rivolgevano gli uni agli altri
con insolita familiarità, ma
poi utilizzavano un aristocratico “voi”.
Ecco
che le passanti si sono fermate a guardarli: li osservano con un
misto di curiosità e soggezione;
avrebbero voglia di chieder
loro chi mai siano e
da dove vengano, ma poi non hanno il
coraggio neppure di avvicinarli. Li scrutano da lontano.
La
prima ad essere notata è
una signora piccola e
corpulenta, sulla cinquantina, che si muove come un generale nel
campo di battaglia: detta ordini, impartisce raccomandazioni,
distribuisce oggetti e
ammonimenti e tutti sembrano
obbedirle già prima che lei parli. Ha i capelli folti, ben
piegati, quasi uscisse dallo studio di un parrucchiere; sulle
labbra un rossetto color carminio e le gote di un rosa antico.
"Tutta questa cura a cosa le servirà",
si chiedono mormorando le curiose
spettatrici. Ma il fatto che più le indigna è che quella donna —
pare chiamarsi Giuseppina — non sembra curarsi minimamente dei
loro sguardi indiscreti, quasi non li notasse o addirittura non
ne fosse affatto intimidita. A farle da cornice altre due donne,
molto diverse fra loro. Una, poco più giovane della prima, la
richiama però molto nel viso e nel portamento, così come nel
colore corvino dei capelli e nel cipiglio. Forse sono sorelle! E'
vestita alla moda, con raffinati guanti in raso nero e una lunga
collana di perle, davvero troppo lunga. Ha un portamento
signorile, con movimenti studiati e composti. L'altra, la più
giovane del gruppo, è Leonilda:
tutti la trattano con affetto e si preoccupano di lei. E’ una
ragazza sui vent'anni, un po' impacciata, dal viso dolce
e diafano, lievemente malinconico. Se ne sta sola, schiacciata
tra le due matrone che per un verso sembrano proteggerla e per
un altro asfissiarla con le loro premure. |

Canino,
Piazza Vittorio Emanuele in una cartolina d'epoca |

Ritratto di Giuseppina Nistri,
inizio '900. Collezione privata Mauro Ballerini |
Ma anche
gli uomini non sono passati inosservati allo sguardo indagatore
delle passanti: sono vestiti di chiaro, con abiti cuciti da
sarti esperti. Hanno il collo dritto, altezzoso, e la loro pelle
è insolitamente bianca, levigata, nient'affatto increspata dal
sole e dal sudore. E i loro capelli paiono scolpiti tanto sono
impomatati.
Uno di
loro, che senza dubbio ha passato i cinquant'anni, non sembra
neppure italiano: è di un biondo quasi trasparente e i suoi
occhi così azzurri da rendere il suo sguardo indecifrabile e
raggelante. Si rivolge ai garzoni — chiamati lì a raccolta per
aiutarlo nel trasporto di tutti quei bagagli — con un fare
scortese e sprezzante; è lui quello che gestisce l'economia del
gruppo e quel maneggiar denaro lo rende ancora più
insopportabile. Noncurante del da farsi, fuma elegantemente il
suo sigaro un bel tipo dalla corporatura imponente e una gran
voce roboante, a cui tutti si rivolgono col titolo onorifico di
"cavalier Angelucci". Quando gli occhi delle paesane si fermano
per qualche attimo su quell'uomo tanto affascinante subito si
abbassano, quasi fossero vittime di una muliebre pudicizia o,
forse, di un inconfessabile pensiero: quelle onorate signore
sanno fin troppo bene che non è lecito peccare neppure con la
fantasia.
Nel
frattempo i bauli sono stati scaricati dal carro e lentamente
quegli strani personaggi si avviano verso gli stretti vicoli del
paese, fino a dileguarsi tra il groviglio di strade e
stradicciole.
Ma chi è quella gente? Da dove viene?
Cosa ci fa qui? Queste e altre le domande che si ripeterono e
moltiplicarono di bocca in bocca per tutto quel lunedì 9
novembre 1925, fino poi a dileguarsi alla sera nell'intimità
delle case.
Ma ecco
comparire all'indomani — quando il sonno sembrava aver riportato
tutto alla più assoluta normalità — delle insolite affissioni
sui muri del paese: dei manifesti più o meno grandi, con vivaci
colori pastello, che annunciavano per il giorno giovedì 12
novembre l'imminente debutto della Drammatica Compagnia Nistri,
che avrà l'onore di inscenare come "prima recita" L'Ombra
di Niccodemi, magistralmente interpretata dalla prima attrice
signora Giuseppina Nistri. A seguire, L’elenco degli
attori: Pia Cresseri, Leonilde Nistri, Nina Berti, cav. Umberto
Angelucci, Arturo Nistri, Egisto Berti, Giulio Andreotti. |
D'un
tratto un raggio di luce sembrò dissolvere la nebbia del giorno
precedente: che quegli strani individui, arrivati il
dì innanzi in piazza Valentini, fossero quelli
del teatro? La curiosità accrebbe l'attesa di quella tanto
annunziata "prima recita".
La sera del 12 novembre il teatro
comunale di Canino era gremito di aristocratici e popolino:
tutti, senza distinzione, più che aspettare la messa in scena
del dramma, attendevano di riconoscere sul palcoscenico —
nascosti dietro il trucco, le parrucche e le barbe finte , quei
volti scrutati con tanta attenzione pochi giorni addietro. Ore
21 precise: lo spettacolo finalmente ha inizio. Il pubblico,
sulle prime, è tutto preso a dare un nome ai singoli attori.
Ecco, quella che impersona Berta, la protagonista, è Giuseppina
Nistri "il generale"; il ruolo di Gerarrfo, marito di Berta, è
invece interpretato dal "cavalier Angelucci", il primo attore.
E di seguito il pubblico riconosce la signora con la lunga
collana di perle, Pia Cresseri, nel ruolo di Elena, e la
timida Leonilda che impersona la ancor più timida cameriera.
Si dice che quelle due donne siano rispettivamente la
sorella e la figlia della prima attrice. Per ultimo, la gente
individua l'uomo biondo e mefistofelico: è Arturo Nistri,
capocomico e marito della prima attrice, che per quella sera
interpreterà Michele, l'amico di Berta.
Una
volta accertati i ruoli e le identità dei singoli attori, il
pubblico inizia a interessarsi allo spettacolo con maggior
attenzione. La trama del dramma è di una suggestione davvero
insolita.
Una
donna (Berta) è costretta da una paralisi a vivere inchiodata
per anni su una poltrona, ridotta ad essere un'ombra più
che una donna. Di contro a questa sua disumana condizione, si
erge invece suo marito Gerardo, giovane e apprezzato artista,
che dalla vita può ancora molto pretendere e molto ottenere. Un
uomo che, pur essendole dedito nelle cure e attenzioni
quotidiane, ha cercato in un'altra donna (Elena), amica di
Berta, la propria felicità e da lei ha segretamente avuto un
figlio. Ma un giorno ecco accadere l'impensabile: Berta, contro
ogni previsione medica, sente rifluire nuovo vigore nei propri
arti che, lentamente, paiono riprendere vita e movimento. E una
gioia traboccante, tanto inesprimibile quanto inattesa. Il male
l'ha di colpo abbandonata e lei potrà finalmente riprendersi ciò
che la vita le aveva sottratto per troppi lunghi anni, in
special modo l'amore di Gerardo. Ma la sua rinnovata felicità si
tramuta presto nella più funesta delle rivelazioni: in un
susseguirsi convulso di scene, Berta scopre l'infedeltà
dell'uomo amato, il tradimento dell'amica e la presenza di un
bimbo tenero e innocente... Il dolore lancinante, che la
incatenava fino a poche ore prima su quella miserabile poltrona,
le appare ora un nonnulla rispetto a quello che prova adesso di
fronte al naufragio di tutte le proprie certezze, attese e
speranze. Eppure, nella sua forza di donna provata dalla vita e
nel suo amore irrobustito dalla pietà, Berta trova lo
straordinario coraggio di compiere il gesto più estremo:
fingere, fingere che in lei la malattia non sia mai venuta meno;
rassegnarsi a tornare niente più che un'ombra, quell'ombra sotto
la quale Gerardo potrà tornare in ogni momento a ristorarsi
dalle proprie angustie; quell'ombra che se ne starà muta nel suo
cantuccio, fingendo di non sapere, non vedere: eternamente
crocifissa alla sua sedia e al suo perduto amore.
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Locandina de
L'Ombra al teatro Comunale di Canino - Archivio storico
comunale Tarquinia |

Il Teatro Comunale di Canino |
Alla
fine del III atto, nell'ultimo monologo di Berta, il pubblico
sembrava davvero incontenibile: quella vicenda intessuta d'amore
e di martirio, di sacrificio di sé in nome di un gesto tanto
generoso quanto gratuito, aveva lasciato turbati uomini e donne,
piccoli e adulti.
Ma soprattutto ad aver incantato la platea era stata la bravura
della prima attrice. Giuseppina Nistri, così assolutamente
"vera" in quella sua parte, da aver confuso e disorientato il
pubblico. Nel I atto, sulla sua sedia da paralitica, la Nistri
sembrava di pietra tanto era immobile; solo impercettibili
smorfie di dolore le traversavano il viso e la sua voce ne
risultava a tratti interrotta e incupita. Alla fine della scena
V del I atto,
eccola invece rianimarsi, riprendere colore,
energia: tutto in lei sembra come miracolosamente rifiorito e
rinnovato. Il pubblico non sa più se sta assistendo ad una
guarigione fittizia o reale. Ne è incantato. Ed infine ecco
sopraggiungere l'ultima scena (la VII) dell'ultimo atto (il III),
quello della sua volontaria autocondanna, pronunciata con parole
così tenere verso l'uomo amato, da farcene dimenticare persine
la colpa. Mentre gliele sussurra, gli accarezza il capo, e poi
lo stringe tra le sue braccia e lo attorciglia, lo rigira, la
stropiccia, sensuale e materna, vittima e padrona del suo
straordinario sentimento. Il palco è completamente riempito
dall'arte della Nistri che, per recitare quell'ultimo atto è
avanzata sul proscenio, inondata dalle luci della
ribalta: e il pubblico non vede e non sente che lei, già
completamente irretito in quell'illusone gioco che è il teatro.
E di
sera in sera, l'emozione cresce e aumenta anche perché la
Compagnia Nistri ha la generosità di inscenare nel piccolo
Teatro Comunale di Canino opere che, in quegli stessi anni,
venivano rappresentate nei più grandi teatri d'Italia e
d'Europa.
Drammi
dei più prolifici geni nostrani quali Bario Niccodemi
(L'Ombra, La Nemica, La Maestrina, Il Titano, L'Alba, il giorno
e la notte), Gabriele D'Annunzio (La figlia di Jorio,
La fiaccola sotto il moggio, Gioconda), Sem Benelli (La
cena delle beffe), Carlo Marenco (La Pia de’ Tolomei);
opere del più famoso drammaturgo francese Victorien Sardou
(La Tosca, La Fedora, La
Fernanda); tragedie del più grande dei tragici inglesi William
Shakespeare (Otello, Amleto); e poi ancora Spettri
di Ibsen, Lo signora delle camelie di Alexandre
Dumas fils, Il padrone delle ferriere di Georges Ohnet,
Il Ladro di Henri Bernstein, Non amarmi così
di Arnaldo Fraccaroli, La Piccola Fonte di Roberto
Bracco, Il Passerotto di Sabatino Lopez...
Insomma, le più recitate, interpretate
e applaudite opere del teatro otto-novecentesco venivano — di
sera in sera — riproposte con maestria e cura artistica di
fronte agli occhi ammirati e talvolta estasiati del pubblico
caninese.
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