L'Eros degli Etruschi

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Parte Prima

di Giuseppe Moscatelli

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I termini del problema  

A differenza di quanto è avvenuto per altre civiltà o popolazioni antiche, l'eros degli etruschi risulta a tutt'oggi pressoché inesplorato.

Esiste in effetti una vasta bibliografia sull'eros in Grecia, a Roma o a Pompei (tanto per restare nel nostro ambito storico-culturale), ma quasi niente per quanto riguarda gli etruschi.

Le ragioni di ciò, a nostro avviso, sono essenzialmente tre.

Anzitutto non si è ancora diradata, intorno agli etruschi, quell'aura di mistero che molto ha contribuito  alla loro fortuna storiografica. E' sembrato quindi più urgente a studiosi, storici e archeologi  cercar di far luce sugli aspetti che di questa civiltà risultano ancora oscuri, a cominciare dalla dibattutissima  questione delle origini, per non dire della lingua, mai pienamente decifrata, piuttosto che approfondire  la conoscenza in ambiti ritenuti meno determinanti.

In secondo luogo occorre rilevare la scarsità delle fonti: quelle di prima mano, vale a dire di diretta provenienza etrusca, sono infatti pressochè esclusivamente di tipo iconografico o plastico (affreschi nelle necropoli, raffigurazioni sulle ceramiche, rilievi dei sarcofagi, reperti vari)  e ci forniscono un quadro necessariamente parziale e disorganico dei costumi sessuali degli etruschi.  Le fonti di altra  provenienza, essenzialmente opere di scrittori greci e latini contenenti riferimenti sul tema,  risultano non sempre pienamente attendibili, essendo spesso condizionate da orientamenti culturali pregiudizievoli.

Taluni, infine, sovrappongono, assimilano o confondono tout court  l'eros etrusco con quello greco, contestando più in generale la specificità della civiltà e della cultura etrusca, o svalutandola fortemente. Basti pensare che uno storico attento e rigoroso come il Mommsen arriva quasi  a disconoscere che gli etruschi siano esistiti!

La questione non è oziosa. Parafrasando il Fraenkel che ricercava  Plautinisches im Plautus (il plautino in Plauto), anche noi potremmo chiederci quanto di autenticamente e genuinamente etrusco ci sia nella cultura e nella civiltà etrusca. Riferendoci al nostro tema, volendo circoscrivere l'orizzonte di questa ricerca, riteniamo di poter affermare, come cercheremo di documentare,  che nessuna confusione è possibile, sia con riferimento ai greci, e sia pure rispetto ai romani.

La mancanza di testi etruschi è un fatto: e questo è un bel problema, un altro dei misteri  che gli etruschi continuano a proporci. La civiltà etrusca ha raggiunto il suo apogeo in quel VI secolo A.C. in cui in Grecia fioriva la poesia lirica, intrisa di eros,  di Saffo, Alceo e Anacreonte. Appare inspiegabile che in Etruria, dove pure si era sviluppata una civiltà per molti aspetti simile, in quello stesso secolo, se non in quegli stessi anni, nessuno si dilettasse di poesia. Tale lacuna sorprende ancora di più se ci spostiamo in avanti nel tempo, e perveniamo al primo secolo A.C. ,  epoca tarda per gli etruschi, ma periodo straordinariamente felice per la poesia, non solo erotica, latina, con Catullo, Ovidio, Orazio.

Semplificando: non conosciamo un Catullo o una Saffo etruschi; nulla ci è pervenuto di una produzione poetica che pur deve esserci stata, e che possiamo comunque presumere, quantomeno nella forma dei carmi conviviali, vista l'importanza del banchetto nella socialità etrusca. Nelle raffigurazioni parietali della necropoli Monterozzi di Tarquinia il banchetto è il motivo iconografico centrale. Suonatori di lira e di flauto accompagnano con la loro musica le danze e i canti.

I  canti,  ovvero  la  modalità  espressiva  più autentica della poesia lirica, celebravano la giovinezza, il vino, l'amore.  Tali composizioni, i cui versi  rispettavano precise regole metriche,  potevano essere di tipo estemporaneo o rispondenti a modelli diffusi per tradizione orale. Di tutto questa produzione, che a buon diritto possiamo presumere, purtroppo non ci è rimasto niente.

Quanto all'esistenza di opere di tipo propriamente letterario disponiamo di qualche elemento in più:  accenni o riferimenti più che occasionali  nelle fonti latine e, soprattutto, un reperto straordinario: il liber linteus zagrebiensis, ovvero il velo di lino che avvolgeva la mummia di Zagabria, e che rappresenta il testo etrusco più lungo ed organico che ci  è pervenuto. In questo caso, come pure in quelli di cui abbiamo indiretta conoscenza tramite le fonti, si tratta però di testi di tipo rituale e religioso, poco a vedere con l'eros. 

Tutto quello che sappiamo sull'eros degli etruschi, dunque, ci proviene dalle tombe e da poche altre testimonianze di seconda mano. Queste sono le nostre fonti.

E' anche evidente che questa ricerca non ha pretese di completezza o di organicità. E' un lavoro che si rivolge all'attenzione precaria di chi naviga in rete, e vuole solo offrire, a chi è interessato, spunti e suggestioni per un personale approfondimento.

 

Il Nudo

  Il nudo per gli etruschi, come del resto per molti popoli antichi, non era un problema. Era piuttosto una condizione quasi naturale. Gli etruschi affatto o poco vestiti si sentivano a loro agio. Non provavano imbarazzi o condizionamenti psicologici. Nelle raffigurazioni sepolcrali, principalmente a Tarquinia ma anche a Vulci (Tomba François) o a Chiusi, personaggi e figuranti vengono spesso rappresentati completamente nudi o precariamente coperti da una fascia annodata sui fianchi o da un variopinto scialle semplicemente appoggiato sulle spalle o sulle braccia; altre volte sono  vestiti  con  una sorta di giubba che copre solo "dalla cintola in su" (tanto per invertire i termini culturali del nostro senso del pudore):  giovani, adulti, fanciulli, coppieri, servitori, cavalieri, lottatori, musici, flautisti,  danzatori, guerrieri, prigionieri,  atleti, astanti, pescatori, aristocratici e gente comune, divinità marine e personaggi mitologici…

  Tutti manifestano grande naturalezza: non c'è morbosità nei servitori completamente nudi,  intenti nelle loro mansioni; nessuno si cura della loro nudità  che è quasi un abito. Non c'è sensualità o malizia nei movimenti rapidi dei danzatori, nei loro manti svolazzanti nel ritmo della danza, piuttosto dinamismo, vitalità, ebbrezza. Che gli atleti siano nudi viene da sé, nessuno mai nell'antichità li ha immaginati  diversamente. E come volete che sia un ragazzo che si tuffa da uno scoglio? i costumi da bagno saranno inventati secoli dopo. Certo i cavalieri uno se li immagina vestiti, anzi bardati, (ed anche i cavalli). Invece no, nudi anche loro. I prigionieri sono nudi, anzi denudati, depredati di tutto, prima di essere uccisi. Questo rientra nelle regole. Ma allora perché sono nudi anche i vincitori, e i carnefici?  Quanto ai personaggi mitologici, per chiudere,  è a tutti evidente che non sarebbero più tali se fossero vestiti.

Insomma, "gli etruschi stavano parecchio nudi" come annotava Lawrence, l'autore di "L'amante di lady Chatterley", ai tempi del suo grand tour in Etruria, nel suo Etruscan Places.

  Recuperando un tono meno ameno, si deve però rilevare, come del resto appare assolutamente evidente negli affreschi di Tarquinia, che la nudità decontestualizzata dal rapporto sessuale è per gli etruschi una prerogativa pressochè  esclusivamente maschile. Le donne, al contrario, sono quasi sempre rappresentate con abiti ricchi e sfarzosi, truccate, ingioiellate, e con tanto di elaborate acconciature. Pur con qualche significativa eccezione, come ad esempio la danzatrice della Tomba delle Leonesse che balla con un partner nudo vestita solo di un velo completamente trasparente,  la donna etrusca non scopre il suo corpo; non assume atteggiamenti provocanti  o marcatamente seduttivi; il suo tratto distintivo è  la femminilità, e una dote di vitalità amministrata con compostezza.

Questo è quanto ci sembra di poter leggere nelle tombe. E poco importa se ciò cozza con la vulgata  storicamente persistente secondo cui le donne etrusche erano libere, anzi libertine. Ma di ciò, come pure delle possibili ragioni di questa palese discrepanza nel modo di sentire e di rappresentare il corpo maschile e quello femminile, parleremo nei capitoli successivi.

Vogliamo riservare l'ultima annotazione di questo capitolo al diverso colore utilizzato negli affreschi  per dipingere i corpi. Il corpo maschile viene costantemente dipinto con un colore rosso o rosso scuro; il corpo femminile  invece con un colore chiaro. Ciò pur rientrando in canoni estetici ampiamente diffusi e condivisi (non è forse "dalle candide braccia" il costante appellativo di Elena nell'Iliade?) e pur rispondendo alla necessità di distinguere "a colpo d'occhio" il maschile dal femminile (nelle scuola si  usa ancora oggi un grembiulino nero per i bambini e uno bianco per le bambine) è, a nostro avviso, qualcosa di più di una semplice convenzione iconografica e al tempo stesso qualcosa di meno di una rappresentazione   con peculiare, se non esclusiva, valenza simbolica (come pure è stato sostenuto). La differenza di colore va probabilmente rapportata a motivazioni di tipo semplicemente naturalistico: al fatto cioè che  trovandosi spesso gli uomini, se non nudi,  poco vestiti  subivano inevitabilmente gli effetti dei raggi del  sole sulla pelle, che assumeva così  il  caratteristico colore rosso o rosso cupo dell'abbronzatura; le donne invece, costantemente  coperte dagli abiti,  venivano preservate, conservando così una carnagione chiara e perlacea.

Anche su questo Lawrence dice la sua e argomenta: quando un ragazzo italiano di oggi va quasi nudo sulla spiaggia diventa di un bel colore rosso brunito.  Proprio come un etrusco.

 

Il tuffatore, tomba della Caccia e della Pesca. Tarquinia

 

Uomo nudo. Tomba dei Giocolieri. Tarquinia

 

Danzatore. Tomba dei Leopardi. Tarquinia

Coppia di danzatori. Tomba delle Leonesse. Tarquinia

 
 

 

 

 

 

 

 

 
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