I
termini del
problema
A differenza di quanto è avvenuto per altre civiltà o
popolazioni antiche, l'eros degli etruschi risulta a tutt'oggi
pressoché inesplorato.
Esiste in effetti una vasta
bibliografia sull'eros in Grecia, a Roma o a Pompei (tanto per
restare nel nostro ambito storico-culturale), ma quasi niente
per quanto riguarda gli etruschi.
Le ragioni di ciò, a nostro
avviso, sono essenzialmente tre.
Anzitutto non si è ancora
diradata, intorno agli etruschi, quell'aura di mistero che molto
ha contribuito alla
loro fortuna storiografica. E' sembrato quindi più urgente a
studiosi, storici e archeologi
cercar di far luce sugli aspetti che di questa civiltà
risultano ancora oscuri, a cominciare dalla dibattutissima
questione delle origini, per non dire della lingua, mai
pienamente decifrata, piuttosto che approfondire
la conoscenza in ambiti ritenuti meno determinanti.
In secondo luogo occorre
rilevare la scarsità delle fonti: quelle di prima mano, vale a
dire di diretta provenienza etrusca, sono infatti pressochè
esclusivamente di tipo iconografico o plastico (affreschi nelle
necropoli, raffigurazioni sulle ceramiche, rilievi dei
sarcofagi, reperti vari) e
ci forniscono un quadro necessariamente parziale e disorganico
dei costumi sessuali degli etruschi.
Le fonti di altra provenienza, essenzialmente opere di scrittori greci e latini
contenenti riferimenti sul tema,
risultano non sempre pienamente attendibili, essendo
spesso condizionate da orientamenti culturali pregiudizievoli.
Taluni, infine,
sovrappongono, assimilano o confondono tout
court l'eros etrusco con quello greco, contestando più in generale
la specificità della civiltà e della cultura etrusca, o
svalutandola fortemente. Basti pensare che uno storico attento e
rigoroso come il
Mommsen
arriva quasi a
disconoscere che gli etruschi siano esistiti!
La questione non è oziosa. Parafrasando il Fraenkel
che
ricercava Plautinisches im Plautus (il plautino in Plauto), anche
noi potremmo chiederci quanto di autenticamente e genuinamente etrusco ci sia
nella cultura e nella civiltà etrusca. Riferendoci al nostro tema, volendo
circoscrivere l'orizzonte di questa ricerca, riteniamo di poter affermare, come
cercheremo di documentare, che
nessuna confusione è possibile, sia con riferimento ai greci, e sia pure
rispetto ai romani.
La mancanza
di testi etruschi è un fatto: e questo è un bel problema, un
altro dei misteri che
gli etruschi continuano a proporci. La civiltà etrusca ha
raggiunto il suo apogeo in quel VI secolo A.C. in cui in Grecia
fioriva la poesia lirica, intrisa di eros,
di Saffo, Alceo e Anacreonte. Appare
inspiegabile che in Etruria, dove pure si era sviluppata una
civiltà per molti aspetti simile, in quello stesso secolo, se non
in quegli stessi anni, nessuno si dilettasse di poesia. Tale
lacuna sorprende ancora di più se ci spostiamo in avanti nel
tempo, e perveniamo al primo secolo A.C. ,
epoca tarda per gli etruschi, ma periodo straordinariamente
felice per la poesia, non solo erotica, latina, con Catullo,
Ovidio, Orazio.
Semplificando: non conosciamo
un Catullo o una Saffo etruschi; nulla ci è
pervenuto di una produzione poetica che pur deve esserci stata, e
che possiamo comunque presumere, quantomeno nella forma dei carmi
conviviali, vista l'importanza del banchetto nella socialità
etrusca. Nelle raffigurazioni parietali della necropoli Monterozzi
di Tarquinia il banchetto è il motivo iconografico centrale.
Suonatori di lira e di flauto accompagnano con la loro musica le
danze e i canti.
I canti,
ovvero la
modalità espressiva
più autentica della poesia lirica, celebravano la
giovinezza, il vino, l'amore.
Tali composizioni, i cui versi
rispettavano precise regole metriche,
potevano essere di tipo estemporaneo o rispondenti a
modelli diffusi per tradizione orale. Di tutto questa produzione,
che a buon diritto possiamo presumere, purtroppo non ci è rimasto
niente.
Quanto all'esistenza di opere
di tipo propriamente letterario disponiamo di qualche elemento in
più: accenni o
riferimenti più che occasionali
nelle fonti latine e, soprattutto, un reperto
straordinario: il liber linteus zagrebiensis, ovvero il velo di lino che avvolgeva la
mummia di Zagabria, e che rappresenta il testo etrusco più lungo
ed organico che ci è
pervenuto. In questo caso, come pure in quelli di cui abbiamo
indiretta conoscenza tramite le fonti, si tratta però di testi di
tipo rituale e religioso, poco a vedere con l'eros.
Tutto quello che sappiamo sull'eros degli etruschi, dunque,
ci proviene dalle tombe e da poche altre testimonianze di seconda
mano. Queste sono le nostre fonti.
E' anche evidente che questa
ricerca non ha pretese di completezza o di organicità. E' un
lavoro che si rivolge all'attenzione precaria di chi naviga in
rete, e vuole solo offrire, a chi è interessato, spunti e
suggestioni per un personale approfondimento.
Il Nudo
Il
nudo per gli etruschi, come del resto per molti popoli antichi,
non era un problema. Era piuttosto una condizione quasi naturale.
Gli etruschi affatto o poco vestiti si sentivano a loro agio. Non
provavano imbarazzi o condizionamenti psicologici. Nelle
raffigurazioni sepolcrali, principalmente a Tarquinia ma anche a
Vulci (Tomba François) o a Chiusi, personaggi e figuranti vengono
spesso rappresentati completamente nudi o precariamente coperti da
una fascia annodata sui fianchi o da un variopinto scialle
semplicemente appoggiato sulle spalle o sulle braccia; altre volte
sono vestiti
con una sorta di giubba che copre solo "dalla cintola in
su" (tanto per invertire i termini culturali del nostro senso
del pudore): giovani,
adulti, fanciulli, coppieri, servitori, cavalieri, lottatori,
musici, flautisti, danzatori, guerrieri, prigionieri, atleti, astanti, pescatori, aristocratici e gente comune,
divinità marine e personaggi mitologici…
Tutti manifestano grande
naturalezza: non c'è morbosità nei servitori completamente nudi,
intenti nelle loro mansioni; nessuno si cura della loro
nudità che è quasi
un abito. Non c'è sensualità o malizia nei movimenti rapidi dei
danzatori, nei loro manti svolazzanti nel ritmo della danza,
piuttosto dinamismo, vitalità, ebbrezza. Che gli atleti siano
nudi viene da sé, nessuno mai nell'antichità li ha immaginati
diversamente. E come volete che sia un ragazzo che si tuffa
da uno scoglio? i costumi da bagno saranno inventati secoli dopo.
Certo i cavalieri uno se li immagina vestiti, anzi bardati, (ed
anche i cavalli). Invece no, nudi anche loro. I prigionieri sono
nudi, anzi denudati, depredati di tutto, prima di essere uccisi.
Questo rientra nelle regole. Ma allora perché sono nudi anche i
vincitori, e i carnefici? Quanto
ai personaggi mitologici, per chiudere, è
a tutti evidente che non sarebbero più tali se fossero vestiti.
Insomma, "gli etruschi
stavano parecchio nudi" come annotava Lawrence,
l'autore di "L'amante di lady Chatterley", ai tempi del
suo grand tour in
Etruria, nel suo
Etruscan
Places.
Recuperando un tono meno ameno,
si deve però rilevare, come del resto appare assolutamente
evidente negli affreschi di Tarquinia, che la nudità
decontestualizzata dal rapporto sessuale è per gli etruschi una
prerogativa pressochè esclusivamente
maschile. Le donne, al contrario, sono quasi sempre rappresentate
con abiti ricchi e sfarzosi, truccate, ingioiellate, e con tanto
di elaborate acconciature. Pur con qualche significativa
eccezione, come ad esempio la danzatrice della Tomba delle
Leonesse che balla con un partner nudo vestita solo di un velo
completamente trasparente, la
donna etrusca non scopre il suo corpo; non assume atteggiamenti
provocanti o
marcatamente seduttivi; il suo tratto distintivo è
la femminilità, e una dote di vitalità amministrata con
compostezza.
Questo è quanto ci sembra di poter leggere nelle tombe. E
poco importa se ciò cozza con la vulgata storicamente persistente
secondo cui le donne etrusche erano libere, anzi libertine. Ma
di ciò, come pure delle possibili ragioni di questa palese
discrepanza nel modo di sentire e di rappresentare il corpo
maschile e quello femminile, parleremo nei capitoli successivi.
Vogliamo
riservare l'ultima annotazione di questo capitolo al diverso
colore utilizzato negli affreschi
per dipingere i corpi. Il corpo maschile viene
costantemente dipinto con un colore rosso o rosso scuro; il corpo
femminile invece con un colore chiaro. Ciò pur rientrando in canoni
estetici ampiamente diffusi e condivisi (non è forse "dalle
candide braccia" il costante appellativo di Elena
nell'Iliade?) e pur rispondendo alla necessità di distinguere
"a colpo d'occhio" il maschile dal femminile (nelle
scuola si usa ancora
oggi un grembiulino nero per i bambini e uno bianco per le
bambine) è, a nostro avviso, qualcosa di più di una semplice
convenzione iconografica e al tempo stesso qualcosa di meno di una
rappresentazione con peculiare, se non esclusiva, valenza simbolica
(come pure è stato sostenuto). La differenza di colore va
probabilmente rapportata a motivazioni di tipo semplicemente
naturalistico: al fatto cioè che trovandosi
spesso gli uomini, se non nudi,
poco vestiti subivano
inevitabilmente gli effetti dei raggi del
sole sulla pelle, che assumeva così
il caratteristico
colore rosso o rosso cupo dell'abbronzatura; le donne invece,
costantemente coperte dagli abiti, venivano
preservate, conservando così una carnagione chiara e perlacea.
Anche su questo Lawrence
dice la sua e argomenta: quando un ragazzo italiano di oggi va
quasi nudo sulla spiaggia diventa di un bel colore rosso brunito.
Proprio come un etrusco.
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