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di Giacomo
Mazzuoli |
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Acquarossa |
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Come si arriva
Da Viterbo si prende la SP n.5 Teverina, dopo aver superato il bivio per
Ferento, si percorrono poche centinaia di metri si gira a destra seguendo
le indicazioni. A breve distanza occorre parcheggiare ed avviarsi a
piedi. Oggi è visibile, protetta da una copertura, solo la cosiddetta
zona F |
L'area archeologica
di Acquarossa è straordinariamente importante ai fini dello studio
dell’architettura urbana e domestica etrusca. Si dice solitamente che
degli etruschi ci sono pervenute le necropoli, vale a dire le città
dei morti, ma quasi niente ci resta di quelle dei vivi. Acquarossa
rappresenta una felice eccezione: qui infatti dal 1966 al 1975,
grazie agli scavi condotti dall'Istituto Svedese di Studi Classici, è
stato riportato alla luce un autentico abitato etrusco arcaico,
risalente all’VIII secolo a. C. Agli scavi partecipò in prima persona
re Gustavo Adolfo di Svezia, il re archeologo: molti ricordano ancora
l’esile figura di quest’uomo, non più giovane, piegato sotto il sole
a esaminare reperti tra la polvere dello scavo. E forse più di uno si
chiese come ci fosse capitato quell’algido aristocratico nordico su
un pianoro tufaceo stretto tra due fossi nella campagna viterbese. Il
sito di Acquarossa era già noto agli studiosi, essendo stato
individuato all’inizio del secolo scorso dall’archeologo viterbese
Luigi Rossi Danielli. E del resto in tutta la zona si rilevano tracce
copiose di insediamenti umani fin dal neolitico: qui fiorì la cultura
di Rinaldone e trovò casa quella villanoviana. Qui gli etruschi
vissero in pace per circa due secoli - la città era priva di mura
difensive - finché un evento traumatico non li costrinse ad
abbandonare per sempre le loro case: la città fu infatti attaccata da
genti nemiche, distrutta e data alla fiamme. Ad opera di chi?
scartando l’ipotesi dei Romani, non resta che pensare ad una città
rivale: forse la stessa Surina, come suggerisce il Giannini, vale a
dire il centro etrusco fiorito sul colle del Duomo e da cui avrà
origine Viterbo. I motivi di contrasto non mancavano, in primis il
controllo delle vie commerciali che insistevano a valle. L’assalto fu
particolarmente brutale e cruento, e dovette persisterne la memoria,
se è vero che l’altopiano non fu più occupato nelle epoche
successive.
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Veduta aerea degli scavi di Acquarossa
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La
città etrusca doveva chiamarsi Frontac o più probabilmente Ferenth:
nome, quest’ultimo, che evoca inevitabilmente la città di Ferento, il
centro romano che in epoca medievale fu a sua volta raso al suolo da
Viterbo, come in un inesorabile corso e ricorso storico. In effetti
coloro che sfuggirono alla devastazione di Acquarossa si trasferirono
nel vicino colle di Pianicara, distante non più di un km. a nord,
dove già esisteva un piccolo abitato alle dipendenze di Acquarossa,
dando così origine a quella che sarà la Ferento romana.
Gli scavi condotti
dall'Istituto Svedese di Studi Classici, gli unici di tipo
sistematico in tutta la zona, hanno riguardato numerosi edifici, per
lo più abitazioni, ma anche strade, spiazzi e un grande palazzo
monumentale. Le fondazioni delle case sono costituite da blocchi
squadrati di tufo che poggiano sul suolo anch’esso tufaceo della
collina. Le pareti erano realizzate per lo più in graticcio, con pali
perimetrali saldamente infissi e raccordati da aste trasversali, con
riempimento in canne e rami e rivestimento in argilla. Non mancano
muri in pietra o in mattoni crudi.
I tetti, a doppio
spiovente con travatura in legno, erano ricoperti da grandi tegole
piane e coppi fittili e arricchiti di elementi decorativi, quali
acroteri e antefisse in terracotta dipinta. La tipologia delle
abitazioni è abbastanza uniforme e riproduce, o più probabilmente
anticipa, l’architettura sacra e sepolcrale. Troviamo tre (talvolta
due) stanze affiancate con o senza portico: vale a dire cucina,
camera e deposito. L’edificio più maestoso e importante di
Acquarossa si trova nella parte nord-occidentale della collina, nella
cosiddetta zona F, attualmente al riparo di tettoie. Si tratta di un
complesso monumentale risalente al VI secolo a.C. e ritenuto dapprima
tempio, poi più realisticamente residenza del sovrano e sede
amministrativa della comunità: oggi si reputa che potesse assolvere
ad entrambe le funzioni. Vi era un grande cortile centrale delimitato
a nord e ad est da edifici porticati con colonnato in legno
sormontato da capitelli in peperino. Sul cortile si affacciavano due
serie di vani affiancati e disposti ad angolo retto. L'edificio
appariva in origine riccamente decorato: notevoli le lastre fittili
di rivestimento delle travi del tetto, realizzate con stampi, e
variamente raffigurate in bassorilievo. Si alternano soggetti
mitologici - Ercole che affronta il toro di Creta o il leone nemeo -
a scene conviviali e di ebbrezza dionisiaca. Quest’ultime in
particolare spiccano per originalità e vivacità compositiva: si fa
notare una sorta di saltimbanco itifallico nudo a testa in giù.
Nonostante l’assoluta
importanza del sito, per molti aspetti unico in tutta l’Etruria, il
visitatore non particolarmente motivato rimarrebbe deluso da una
visita agli scavi. Quello che emerge oggi in situ non ha carattere di
monumentalità né si presta ad una immediata comprensione. Vale invece
la pena visitare il Museo Archeologico Nazionale di Viterbo, in
piazza della Rocca, dove tutti i reperti provenienti da Acquarossa
sono stati conservati e allestiti in un organico percorso museale. Di
estremo interesse la ricostruzione delle case, decorate con le tegole
e i fregi originali: un vero salto indietro nel tempo.
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Decorazione in terracotta dell'edificio di
culto (Museo Archeologico di Viterbo) |
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Resti del complesso monumentale di Acquarossa |
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