L'oro degli Etruschi
 

GLi etruschi sono stati considerati dai popoli antichi come dediti al lusso. In assenza di fonti letterarie dirette non si può che fare riferimento ai ritrovamenti archeologici. Se consideriamo il periodo che va dal IX al VII secolo a.C. con le tombe "principesche" rinvenute a Cerveteri, Palestrina (Praeneste), Pontecagnano e Vetulonia dovremmo effettivamente credere che l'ostentazione della ricchezza era una pratica diffusa nella ricca nobiltà etrusca che evidentemente poteva permettersi un vasto ceto dipendente e di conseguenza un notevole surplus economico che veniva tesaurizzato con oggetti d'ornamento personale.

Questa esibizione di ricchezza tende a diminuire notevolmente verso la fine del VII secolo a.C. per concentrarsi solamente in quelle zone dell'Etruria interna dove lo sviluppo avvenne più in ritardo, in seguito alla crisi dei commerci marittimi del Tirreno. Dopo questo periodo l'ostentazione degli oggetti ricavati col prezioso metallo sembra riservata all'autorità politica e a cerimonie pubbliche. In questo periodo si assiste quindi a una divaricazione tra il consumo pubblico della ricchezza, delegato in gran parte ai santuari, e quello privato, che subisce un forte ridimensionamento. Tutta la decorazione dei massimi templi cittadini dell'Etruria Meridionale, che data verso la fine del VI secolo, diviene la sede simbolica della collettività e svolge la funzione di grande deposito di ricchezza.    

La tecnica di lavorazione dell'oro era ispirata sia ai prodotti che arrivano in Etruria attraverso gli scambi commerciali con il mondo orientale, in particolare fenicio greco, sia alla lezione degli orefici delle colonie greche del golfo di Napoli installatisi anche in Etruria.

A differenza dei metalli in genere, per l’oro gli Etruschi non disponevano di risorse locali.

 

di Giacomo Mazzuoli   

 

Le principali miniere d’oro dell’antichità si trovavano infatti in Grecia (Macedonia e Tracia), in Spagna, in Africa (Nubia), in Siberia e in misura ridotta nell’Italia settentrionale: sotto forma di pagliuzze nel Po o di minerale nel territorio di Vercelli.
Come si è detto l’esibizione della ricchezza attraverso gli oggetti d’oro da parte degli aristocratici etruschi raggiunse le sue punte più alte nel VII secolo, come è attestato dai ritrovamenti delle favolose tombe di Cerveteri e Vetulonia in Etruria, Palestrina (Preneste) nel Lazio e Pontecagnano presso Salerno.
In questo periodo la tecnica di lavorazione arriva alla sua massima raffinatezza e gli artigiani Etruschi mostrano di aver acquisito dal mondo orientale la tecnica della granulazione (peraltro già conosciuta anche nel mondo egizio e miceneo), che consiste nella saldatura di minuscole sfere (grani) su un fondo di lamina secondo un disegno prestabilito. Si ipotizza che il metodo di preparazione dei grani in antico fosse il seguente: si ritagliava una sottile lamina in tanti piccoli quadratini di uguale superficie e si mettono in un crogiuolo, provvisto di coperchio, mescolati a polvere di carbone in modo che non si tocchino tra loro. Il crogiuolo veniva riscaldato fino al punto di fusione delle particelle d’oro, che si scioglievano formando delle sferette isolate nella polvere di carbone. Per la successiva saldatura dei granuli alla lamina si usava sale di rame e collante organico.