Il
tipico vaso a fiasco, elemento comune dei corredi delle tombe
rinaldoniane. Ischia di Castro, Museo Civico
Questa civiltà, che prende il nome di una
località situata nel territorio del comune di Montefiascone al
confine con quello di Viterbo dove fu scoperta casualmente, nel
1904, la prima necropoli attribuita a questa
facies culturale. Il
periodo di riferimento è quello dell’eneolitico (III – II millennio
a. C.).
Testimonianze rinaldoniane sono state
scoperte, fino ad ora, tra Arno, Tevere e Mare Tirreno con una
fortissima concentrazione di ritrovamenti lungo la vallata del fiume
Fiora nella Maremma tosco-laziale (Ponte S. Pietro, Selvicciola,
Porcareccia, tutte tra i comuni di Ischia di Castro e Pitigliano).
Qui infatti si addensano le necropoli, uniche testimonianze che ci
sono pervenute di tale cultura. Le tombe venivano ricavate nelle
rupi scavando la roccia tenera (tufo) a grotticelle e a forno. La
porta veniva chiusa da una pietra lastriforme, il cui materiale
variava a seconda della zona, di solito scisto o calcare.
Il
defunto era inumato e sistemato
a corpo rannicchiato con le braccia flesse, le mani presso il viso e
le gambe piegate con le ginocchia al grembo
(inumato in c.d. connessione anatomica);
In moltissimi casi
però sono stati trovati resti di ossa disconnesse ammassate sul
fondo della tomba insieme ad almeno uno scheletro connesso vicino
alla porta. Il che fa pensare a deposizioni in tempi diversi e a
particolari riti che avvenivano alla riapertura dei sepolcri. In
alcuni casi è stata riscontrata la colorazione del cranio con
cinabro. Un ritrovamento interessante è quello della cosiddetta
tomba della Vedova (o Vedovella) rinvenuta nella
necropoli di Ponte S. Pietro sul fiume Fiora, che ha dato il maggior
numero di tombe spesso intatte. In
questa tomba (il cui
contenuto è oggi conservato al museo Pigorini di Roma)
i corpi erano due, un adulto ed una giovane, la cui deposizione
contemporanea è certa: la donna presentava lo sfondamento del cranio
nella regione temporale destra;
ciò fa
supporre il seppellimento rituale della vedova che veniva uccisa
presso il corpo del marito, che in questo caso doveva essere
personaggio importante sia per il ricco corredo che per la presenza
dello scheletro di un cane presso la porta del forno sepolcrale.
In quasi tutte le
tombe rinaldoniane è stato rinvenuto un corredo ceramico,
talvolta accompagnato ad armi ed ornamenti vari.
L’elemento distintivo e più diffuso del
corredo della tomba è il vaso a fiasco in alcuni casi associato ad
una ciotola o scodella.
La frequenza con cui
il vaso a fiasco ricorre all’interno delle tombe rinaldoniane,
sempre associato a inumati in connessione anatomica di entrambi i
sessi e di tutte le fasce d’età, porta a supporre che avesse una
funzione precisa collegata al rituale di deposizione.
È’ probabile che venisse
posto all’interno della cella insieme all’ultima deposizione in
connessione anatomica, come elemento di corredo che doveva
accompagnare il defunto nel suo “viaggio” fino al momento successivo
del rituale funerario, costituito dalla manipolazione e spostamento
dei resti scheletrici. Del corredo funerario facevano spesso parte
teste di mazza e asce. Pugnali e punte di freccia erano invece di
selce. Infine, nelle tombe degli uomini di più alte rango si sono
trovati elementi in metallo (asce piccole e piatte e corti aghi a
sezione quadrangolare, di rame puro), e pezzi di antimonio: perle a
barilotto e forme allungate,
forse tubolari per collane.
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La tomba della vedova di
Ponte S. Pietro. Museo Pigorini, Roma
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Asce
a martello, Ischia di Castro, Museo Civico |
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Punte
di frecce, Ischia di Castro Museo Civico |
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Ascia
a martello, museo Pigorini, Roma |
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