AMICIZIA E AMORE IN ETRURIA di Giuseppe Moscatelli
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Serpente a tre teste. Sarteano, Tomba della Quadriga infernale
Coppia di uomini sdraiati. Sarteano, Tomba della Quadriga infernale
Il "demone rosso". Sarteano, Tomba della Quadriga infernale |
Sarteano, un centro che non raggiunge i cinquemila abitanti in provincia di Siena, sarebbe certamente rimasto sconosciuto ai più se un evento di straordinario interesse archeologico non l’avesse reso famoso almeno presso una particolare categoria di persone, vale a dire studiosi e appassionati di etruscologia. Così oggi in molti potranno sempre affermare di non sapere di cosa si tratti, ma i seguaci di Tinia e di Uni (archeologicamente parlando) prima o poi certamente metteranno in agenda una visita alla sua necropoli. E il motivo è semplice: a Sarteano è avvenuta una delle più entusiasmanti scoperte degli ultimi vent’anni. Nell’autunno del 2003 nella necropoli delle Pianacce, qualche chilometro a sud del paese, è emersa una tomba etrusca dipinta di eccezionale rilievo e suggestione, dal soggetto non nuovo ma a tratti inquietante. E’ stata denominata in vari modi: “tomba della quadriga infernale” o “tomba del demone rosso” e risale agli ultimi decenni del IV secolo a.C. Si tratta di un’epoca tarda per la civiltà etrusca, l’età della decadenza, ma questo non può che accrescere la singolarità del ritrovamento: gli etruschi non cessano mai di stupirci! Per renderci conto di ciò dobbiamo considerare che la più “recente” scoperta di una tomba etrusca dipinta di consimile valore risale al 1985, allorché appena fuori il recinto della necropoli Monterozzi di Tarquinia – in senso letterale, visto che intendiamo riferirci a un ipogeo che si trova proprio sotto l’asfalto della strada provinciale che per un tratto fiancheggia la necropoli – venne alla luce la “tomba dei demoni azzurri” (sempre demoni!). Come dire: simili scoperte si fanno solo ogni vent’anni. La tomba in questione inerisce ad un sepolcreto che ricomprende tre monumenti funebri, di probabile appartenenza alla stessa stirpe famigliare, ed è situata in posizione centrale rispetto agli altri due. Ma ciò che ha attratto l’attenzione degli studiosi, e la nostra in particolare che ci occupiamo del mistero di Eros e delle molteplici forme in cui può manifestarsi in una civiltà già di per sé misteriosa come quella etrusca, è il suo ciclo pittorico, per altro conservato solo in parte seppur in buone condizioni. Si tratta di affreschi che presentano caratteri di spiccata originalità, e non tanto con riferimento ai soggetti, che sono quelli tradizionali della pittura funeraria, quanto alla loro peculiare iconografia. Nella parete di fondo è dipinto un timpano sotto il cui spiovente sinistro ci accoglie un grande ippocampo dai vivaci colori. Di fianco un orrido serpente attorcigliato ci punta le sue tre teste barbate e crestate di rosso digrignando minacciosamente i suoi denti aguzzi. A guardia della camera, verso l’ingresso, un personaggio maschile in piedi e a figura intera solleva con la mano destra una sorta di colino da cucina. E’ legittimo pensare che si tratti di un servitore: ma allora perché ha un portamento così solenne ed è bardato in una tunica orlata, che certo non si addice ad un lavapiatti? Anche l’espressione, il contegno e la bionda chioma curata ci suggeriscono un più elevato rango. Ed ecco finalmente l’affresco di maggior interesse, dal nostro punto di vista, dell’intero ciclo, quello di più elevata intensità emotiva. Due uomini nudi, sdraiati sulla stessa kline, sono legati in un tenero abbraccio. Un candido lenzuolo li ricopre dalla cintola in giù, come a non violare la loro intimità. La figura sulla destra, un uomo maturo dalla carnagione chiara, ha una mano abbandonata sulla spalla dell’amico e l’espressione prostrata: la testa bassa, lo sguardo perso, le labbra tirate in una sorta di smorfia. Sul volto la fissità della morte. Ci colpisce un particolare di crudo realismo e pressoché inedito nella pittura sepolcrale, dove gli uomini sono sempre raffigurati barbuti o con il volto glabro: il nostro personaggio ha la barba lunga e incolta, tratteggiata con fitti segni scuri sul volto roseo. Si tratta forse del defunto: il colore più chiaro della pelle potrebbe alludere al pallore della morte e la barba incolta al particolare macabro della ricrescita nel cadavere. Di fronte a lui si protende sereno e sorridente l’altro uomo, assai più giovane, addirittura imberbe, e con l’incarnato di un rosso ben più vivido. Con la mano sinistra stringe teneramente la mano del compagno abbandonata sul lenzuolo, mentre avvicina delicatamente la mano destra alle sue gote ispide per fargli una carezza. Forse è un amico o un parente del defunto. Comunque sia tenerezze così manifeste tra uomini sono assolutamente inedite nella pittura etrusca, che pure non manca di raffigurazioni brutalmente erotiche di rapporti omosessuali. L’abbraccio potrebbe quindi ben essere ricondotto in un ambito amicale, piuttosto che omoerotico: l’amicizia virile, non aliena da momenti di espansività affettiva, che legava i due uomini in vita viene rievocata sulle pareti del sepolcro. Certo, una componente omosessuale non può essere esclusa: le due figure richiamano in qualche modo la scena del banchetto nella tomba del Tuffatore di Paestum, questa sì di contenuto esplicitamente omoerotico; non solo, nell’ipogeo non compare il coniuge del defunto (il ciclo pittorico tuttavia si è conservato solo in parte) ed anche la restante raffigurazione può fornire qualche spunto in tal senso. Veniamo così al soggetto più originale, controverso e inquietante di tutto il ciclo, quello che ha dato il nome alla tomba, detta anche “del demone rosso”. Alla guida di una quadriga trainata da due leoni e due grifoni c’è un demone dai tratti iconografici assolutamente insoliti. Capelli rosso fuoco scossi dal vento, carnagione perlacea come si addice alle figure femminili, secondo la convenzione iconografica tipica della pittura sepolcrale etrusca, labbra e ciglia bistrate di rosso, come pure le pieghe del collo. Rossa è anche la mantiglia del demone, conservata solo in parte. Altro elemento pittorico in grande evidenza è l’ombra nera, una specie di nuvola, che affianca il suo volto, ma che non corrisponde ai tratti del suo viso. Qualcuno lo ha identificato con Charun, ma noi ci sentiamo di escluderlo. Il suo aspetto non ha nulla a che fare con quello del demone alato munito di martello: orrido, il naso deforme, gli occhi cisposi. Si tratta piuttosto di una figura dagli evidenti tratti femminili (ma non Vanth, per analoghi motivi) o che forse sarebbe meglio definire androgina. Ecco, questo ci appare come il punto di raccordo con l’affresco dell’abbraccio virile. Un demone in cui sembra si riuniscano le caratteristiche maschili e femminili sovrintende a un affetto eterodosso: due uomini, proseguendo nell’aldilà quella che forse era una consuetudine di vita, si atteggiano come se fossero marito e moglie. E’ quindi una storia d’amore che vince la morte quella raffigurata sulla parete della tomba della quadriga infernale di Sarteano. O forse semplicemente una storia d’amicizia. |