Le
testimonianze dirette delle vicende storiche che hanno interessato
gli Etruschi sono rare.
Ancora più rare sono le pagine di storia giunte
fino a noi e scritte da loro stessi, gli affreschi della Tomba
François per esempio.
Tutto quello che sappiamo ci è pervenuto dagli
storici romani e greci che, nel raccontare i fatti in cui sono stati
coinvolti gli Etruschi, non avevano certo il dono dell’obbiettività.
Anche in quell’epoca infatti la propaganda rendeva necessario
demonizzare o mitizzare i comportamenti dei popoli vicini per
evidenti motivi di opportunità politica.
Un reperto che ci racconta con certezza di un
evento che ha determinato la prima e decisiva crisi della
talassocrazia etrusca è conservato al British Museum di Londra. Si
tratta di un elmo etrusco in bronzo che riporta l’incisione di una
frase in caratteri greci.
L’iscrizione è così tradotta: “Gerone,
figlio di Deinomene, e i siracusani a Zeus. Preda tirrenia da Cuma”.
Quell’elmo apparteneva a un guerriero etrusco e
fu preso a simbolo della vittoria dei siracusani contro la flotta
etrusca a Cuma nel 474 a.C. Fu ritrovato durante gli scavi di
Olimpia, dove fu probabilmente portato dallo stesso Gerone, tiranno
di Siracusa, che si fregiò della decisiva vittoria che segnò il
definitivo declino della potenza marittima degli Etruschi nel mare
Tirreno.
Ma come si era arrivati alla battaglia di Cuma
e perché gli Etruschi mossero guerra contro questa colonia greca
nella regione campana?
La Magna Grecia era ormai una florida realtà
dell’espansionismo ellenico nel Mediterraneo. La convivenza delle
città della dodecapoli etrusca in Campania con le colonie greche era
sempre più complicata. Il traffico di terra tra l’Etruria e la
Campania era sempre più ostacolato dai popoli latini e rendeva le
vie di mare sempre più strategiche per gli Etruschi che vedevano
proprio nella città di Cuma, con il suo porto ben organizzato, una
seria minaccia per la loro navigazione.
L’attacco prevedeva un assalto via terra e uno
dal mare. Ma i Cumani vennero a conoscenza in anticipo della
strategia etrusca e chiesero aiuto a Gerone, tiranno di Siracusa,
che non esitò a inviare in soccorso dei connazionali la sua intera
flotta.
Proprio quando gli Etruschi stavano iniziando
l’operazione di accerchiamento da terra e dal mare spuntò, inattesa,
la flotta da guerra di Siracusa che gettò nello scompiglio le navi
etrusche che furono costrette a cambiare rotta e a dirigersi verso
il vicino capo Miseno. Qui, ai piedi della scogliera alta 160 metri
a picco sul mare, s’accese una sanguinosa battaglia con un corpo a
corpo tra navi che penalizzava fortemente i legni etruschi, temibili
in mare aperto con i loro rostri, ma inoffensivi nei piccoli spazi.
I siracusani affondarono e catturarono numerose navi, costringendo
alla fuga le poche superstiti. L’esercito di terra, intimorito e
scoraggiato, tolse l’assedio a Cuma e se ne tornò in patria.
Un’altra testimonianza della battaglia, oltre
che dall’elmo con l’iscrizione greca, ci è giunta dal poeta greco
Pindaro che celebra, naturalmente con toni trionfalistici, la
vittoria dei suoi compatrioti. Ecco come, nella sua Prima Ode
Pitica:
“ Ti supplico, Zeus, dammi un cenno: si
tenga tranquillo il grido di guerra fenicio, e ammutolisca quello
dei tirreni! Essi videro la flotta gemente espiare dinanzi a Cuma il
crimine, costretti dal signore di Siracusa, che scagliava dalle navi
veloci il fiore della gioventù guerriera dei tirreni, a liberare l’Ellade
dal giogo di una gravosa servitù”.
Il riferimento ai Fenici fa supporre che nella
battaglia furono impegnate anche navi cartaginesi, alleati degli
Etruschi contro i Greci. Occorre infatti considerare, per meglio
comprendere i giochi delle alleanze, quale fosse lo scacchiere
internazionale nel Mediterraneo del V secolo a.C.
Nella infinita contesa tra Greci e Persiani
questi ultimi potevano contare sull’alleanza con i cartaginesi che
vedevano nella potenza marinara dei Greci, e nella loro espansione
con le colonie italiche, una seria minaccia ai loro traffici
marittimi. Gli interessi commerciali degli Etruschi erano ancor più
minacciati dall’espansionismo greco in Italia meridionale e non è
escluso che anch’essi parteciparono al progetto di guerra che vide
Persiani e Cartaginesi alleati contro l’Ellade.
Si trattò di una gigantesca combinazione
politica che, con una manovra a tenaglia, prevedeva due attacchi
contemporanei, uno a Oriente e l’altro a Occidente. Così, nel 480
a.C. Serse, figlio e successore dell’imperatore persiano Dario,
invase la Grecia col suo esercito appoggiato da una possente flotta.
Amilcare, a capo di una gigantesca armata di trecentomila
cartaginesi invase la Sicilia e puntò verso Imera, avamposto
Occidentale dei Greci nell’isola. Ma gli eventi incredibilmente
precipitarono: A Salamina la flotta persiana subì una durissima
sconfitta e nello stesso giorno l’esercito di Amilcare fu sconfitto
dai Greci guidati da Terone d’Agrigento e dal suo genero Gerone di
Siracusa.
Così molti dei sogni degli alleati Cartaginesi
ed Etruschi vengono infranti, fino a perire miseramente per questi
ultimi sei anni più tardi a Cuma, nelle circostanze che abbiamo
descritto. La Campania etrusca, privata della via di terra come
quella di mare era definitivamente isolata dall’Etruria del nord e
le città costiere di Cere e Tarquinia persero grandi volumi di
traffico commerciale e ne soffrì pesantemente il prestigio e
l’economia di tutto il mondo Etrusco.
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