L’Idolo in bronzo ritrovato al Peglio di Firenzuola (Firenze)
La presenza etrusca nell'Appennino tosco-emiliano-romagnolo, tra ritrovamenti archeologici e simbologia

 


 

 

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di Paolo Campidori

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Mi diceva, tempo fa, un noto archeologo toscano che nell’Appennino Tosco-Emiliano e
Romagnolo, non sono stati ritrovati, al momento, segni “tangibili” della presenza
etrusca, se si eccettua il rinvenimento al Peglio (Firenzuola) di un idoletto in
bronzo che si trova (e chissà perché) al Museo di Cortona. Questo idoletto in bronzo
fu donato al Museo di Cortona sel sec. XVIII e faceva parte di una donazione
composta da reperti provenienti da diverse parti dell’Etruria. Non esistono notizie
precise in merito a questa statuetta. Si sa solo che essa fu ritrovata nella zona
del Peglio, zona in cui era attivo un “vulcanello”, detto altrimenti “fuoco di
legno”,che emetteva esalazioni di metano, le quali, al contatto con l’aria,
prendevano fuoco illuminando la zona con un bagliore sinistro. La zona, per il suo
interesse scientifico, fu visitata, allora, anche da un illustre scienziato
italiano, inventore della pila: Alessandro Volta. Fu probabilmente in occasione di
tali ricerche scientifiche che venne alla luce tale statuetta, della quale non
sappiamo con esattezza chi fu il ritrovatore. Si tratta di una statuetta fusa in
bronzo, di un dio, molto probabilmente Tinia, raffigurato secondo l’iconologia
etrusca e, cioè: un giovane atletico nudo, imberbe, che tiene serrato nella mano un
oggetto che potrebbe rappresentare un fulmine o uno scettro.
Pochissime sono le notizie che il Museo di Cortona mette a disposizione degli
studiosi, e cioè: che si tratta di una divinità, uno Zeus (Tinia per gli Etruschi),
che proviene dal Peglio di Firenzuola (Firenze), che è stato ritrovato in un
santuario (tempio? edicola? pozzo?) e fa parte di una importante collezione. Tutto
qui. Ho provato a chiedere informazioni alla Soprintendenza Archeologica di Firenze
e alla Direzione del Museo di Cortona, ma purtroppo mi hanno detto che non esistono
altre informazioni riguardo all’idoletto in bronzo.
Molti, specie gli addetti ai lavori, negano che la zona dell’Alto Mugello (o
Appennino Tosco-Romagnolo), sia zana etrusca, in quanto, al momento, non
esiterebbero risultanze tali da ammettere la presenza di villaggi etruschi, anche
se rinvenimenti (oltre all’idoletto) ce ne sono stati in abbondanza. Nella prima
metà dello scorso secolo, fu trovato un altro idoletto (andato disperso?) sempre
nella zona del Firenzuolino, presso Frena, una località in cui passava una
derivazione di una importante strada che portava in Emilia Romagna. Ma non è tutto
fra queste due strade, quella montana del Peglio, che si dirigeva verso Marzabotto
(Misa), e quella a mezza costa, lungo il fiume Santerno, esisteva un’altra strada di
fondo valle che conduceva nella Valle dell’Idice e a Monterenzio dirigendosi verso
Claterna. Proprio in quest’ultime due località sono stati ritrovati importantissimi
reperti etruschi nel sito di Monte Bibele, reperti che si trovano attualmente nel
locale museo di Monterenzio. Altri “risultanze” etrusche sono affiorate nel
palazzuolese, i cui scavi sono tuttora in corso sotto la direzione del Dr. Luca
Fedeli della Soprintendenza Archeologica di Firenze.

 

Idolo in bronzo raffigurante probabilmente il dio etrusco Tinia. Cortona, Museo Archeologico

 

 



 

Tutti questi ritrovamenti, a sud e a nord dell’Appennino Tosco-Emiliano-Romagnolo,
sono qualcosa di tangibile e che non fanno pensare a oggetti lasciati casualmente da
commercianti etruschi durante i viaggi verso il nord (Emilia-Romagna) o dal nord
verso il sud delle città dellEtruria meridionale. Ciò può anche essere vero, ma in
parte. L’ipotesi più probabile è che la zona appenninica fra Senio (Palazzuolo),
Santerno (Firenzuola), Monterenzio (Idice), Reno (Marzabotto), doveva essere ben più
popolata da genti etrusche di quanto si è finora creduto. Lo testimonierebbero oltre
ai rinvenimenti, i toponimi di derivazione etrusca e, non ultimo, la simbologia.
La “tangibilità” della presenza etrusca, via via che passa il tempo e che si
approfondiscono gli studi, diventa sempre più marcata, se si tiene conto anche del
simbolismo, fortemente diffuso, in quei luoghi. Il simbolo, da sempre, presso tutte
le civiltà antiche, è stato il segno, o meglio, il sigillo o la figura
rappresentativa di un’idea, di un concetto, ma anche della qualità delle cose, o del
rango sociale di un personaggio. Possiamo tranquillamente affermare che il
simbolismo ha preceduto la scrittura (che pure è autentico simbolismo), ha
convissuto con essa per secoli, forse millenni. I simboli hanno avuto sempre grande
considerazione presso le popolazioni antiche, le quali, hanno pensato ad essi come
“portatori” di valenza magica, esoterica e religiosa. Basti pensare alle “rune”
celtiche, ai segni della cabala, ai segni zodiacali, all’astronomia, e, non ultima,
l’alchimia. Il Medioevo, in particolare, per far riferimento a un’epoca non troppo
lontana da noi, ha tenuto molto in considerazione la simbologia, dei colori, dei
numeri, ecc. Basta recarsi in una delle nostre belle chiese romaniche italiane (o
francesi) per trovare nelle icone, negli affreschi, nelle sculture e
nell’architettura una sovrabbondanza di simboli laici e religiosi, che l’uomo
moderno, superficiale, fa fatica a comprendere.
La simbologia è stata da sempre un riferimento, una regola fissa, ma, talvolta,
anche una necessità. Dobbiamo tornare per questo al tempo dei primi cristiani e al
diffuso simbolismo delle Catacombe, dove il Cristo veniva presentato con il simbolo
del pesce, per indicare la lettera greca, iniziale del Cristo, oppure con l’Alfa e
l’Omega, due lettere greche indicanti l’inizio e la fine , cioè la vita e la morte,
oppure nella forma rovesciata, morte-vita per indicare il fine escatologico
dell’essere vivente e, ancora, per indicare il Dio, l’Essere supremo e superiore,
insomma “Colui-che-è”.
Il Rinascimento, periodo caratterizzato dalla riscoperta dei valori dell’uomo e del
suo mondo, dalla riscoperta della classicità e del paganesimo, ma anche periodo di
forti contrasti materialistico-religiosi metterà in second’ordine (per usare un
eufemismo) il simbolismo, sostituendolo con l’allegoria paganeggiante, che è
tutt’altra cosa.
A Frassineta di Piedimonte presso Palazzuolo (Firenze), in un antico resedio rurale,
su una finestra arcaica, è raffigurato un personaggio, una donna che lancia in aria
una ruota, entro la quale è iscritta una croce polare. La ruota, secondo l’antica
simbologia, rappresenterebbe il cielo o l’universo, mentre la croce polare l’unione
di due principi, cioè il cielo (principio attivo) e la terra (principio passivo).
Questo simbolismo, che forse però è anche una allegoria (simbolismo e allegoria, pur
nella loro definizione concettuale ben precisa, sono concetti astratti, e molte
volte si fondono l’uno nell’altro: il simbolismo nell’allegoria e viceversa),
starebbero a significare che la donna (principio passivo), regge nelle sue mani la
terra (ancora principio passivo) e il genere umano (principio attivo e passivo). La
donna è anche simbolo della spiritualità sacerdotale, colei che ha generato il
genere umano: la fattrice, la Madre. Questa simbologia donna-ruota (terra) è
comunissima nell’antichità e, in particolare, la donna che lancia in aria la ruota
si ritrova su vasi attici e nella simbologia etrusca. Ciò non vuol dire però che ci
sia un legame diretto fra la raffigurazione di Frassineta di Piedimonte di
Palazzuolo e i Greci o gli Etruschi. In altre parole, non è detto che per via di
quella raffigurazione di Frassineta (che è una derivazione diretta della cultura
greco-etrusca), o per altre risultanze simili, si possa affermare con sicurezza
assoluta che gli etruschi abbiano abitato massicciamente, con numerosi villaggi,
queste zone montane fra Toscana e Emilia-Romagna. Anche se scavi abbastanza recenti,
condotti dalla Soprintendenza Archeologica per l’Emilia Romagna, hanno accertato la
“presenza” di insediamenti etruschi a Monte Bibele (Idice), che non dista molto da
Frassineta di Piedimonte. Un altro esempio di come attraverso la simbologia presente
nellAppennino, nelle sue forme più svariate, si possono fare ipotesi circa la
discendenza di quelle popolazioni da una civiltà piuttosto che da un’altra.

©Copyright Paolo Campidori

Il palazzo sede del Museo Archeologico di Cortona

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

 
 
 

 


 

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