Quando,
verso la prima metà del XIX secolo, il croato Mihail de
Brariæ portò in patria una mummia come trofeo del suo
viaggio in Egitto, non poteva certo immaginare di avere con
sè quello che ancora oggi è il più lungo testo conosciuto in
lingua etrusca. Qualche tempo dopo ci si accorse che le
bende del reperto erano coperte da un testo scritto con
l'inchiostro nero. Solo nel 1892 questo testo, di oltre 1200
parole, venne studiato dall'egittologo Brugsch e
identificato come etrusco. Si trattava di un libro di lino,
appartenuto probabilmente ad un aruspice etrusco che in
seguito fu riciclato e ridotto in strisce per fasciare la
mummia. Nonostante l’evidente scarsa considerazione per la
“letteratura” etrusca da parte dell’egiziano che utilizzò il
libro per ricoprire la mummia, la provenienza della benda
iscritta è quantomeno una riprova degli stretti rapporti tra
le due civiltà. Dal 1947 il reperto, ormai universalmente
conosciuto come la Mummia di Zagabria, si trova conservato
nel museo della capitale croata. Il contenuto del libro si
riferisce ad un calendario rituale che specifica le
cerimonie da compiere nei giorni prestabiliti in onore di
varie divinità. Le prescrizioni di carattere religioso sono
tipiche dell'area tra Perugia, Cortona e Lago Trasimeno. La
scrittura, molto precisa e accurata, è quella in uso nell'Etruria
settentrionale tra il III e il lI secolo a. C.
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