Scoperta l'origine etrusca del termine toscano "serqua" (dozzina)

 

                    di Paolo Campidori *  

                        

 

 

 

 

   

Tutto è cominciato con una intervista che Paolo Campidori ha fatto al Prof. Massimo Pittau, linguista etruscologo. L’intervistatore chiede se il termine toscano “serqua” (dozzina) non derivi dall’etrusco SERQUE. In un primo momento il Prof. Pittau dichiara di non conoscere il vocabolo etrusco e di non poter dare una risposta in merito.

In seguito però invia la lettera che pubblichiamo e che aggiunge un nuovo tassello alla comprensione della lingua etrusca:

 

Il Prof. Pittau

 

 

 

La copertina del Dizionario della lingua etrusca

In una intervista fattami di recente Paolo Campidori mi ha chiesto se il vocabolo
etrusco SERQUE possa essere la base di quello toscano (e soprattutto fiorentino)
serqua «dozzina», riferito a merce venduta, come uova, pani, pere e simili. Dopo
aver dato un’occhiata al mio «Dizionario della Lingua Etrusca» (Sassari 2005,
Libreria Koinè), risposi che non conoscevo il citato vocabolo etrusco, per cui non
potevo dire alcunché su di esso. Però, dato che la connessione etimologica stabilita
dal Campidori mi sembrava allettante, in seguito ho controllato meglio il mio
Dizionario ed ho subito constatato che, se è certo che non esiste un vocabolo
etrusco SERQUE, invece esiste realmente l’altro SERΦ UE (con la ph), per il
quale io avevo già prospettato che derivasse dall’etrusco SAR «dieci». 
La mia prima considerazione sull’argomento è che il Campidori ha letto male il
vocabolo etrusco, ma la sua connessione col toscano serqua è esatta. E in
conseguenza di ciò si può affermare che da un lato si è trovata la esatta etimologia
del vocabolo toscano, dall’altro si è trovato il preciso “significato” di un
vocabolo etrusco, il quale compare addirittura nel più lungo e più difficile testo
della lingua etrusca, il famoso «Libro Linteo della Mummia di Zagabria».  
Fino ad ora tutti i dizionari della lingua italiana – ovviamente quelli che danno
anche l’etimologia od origine dei vocaboli – fanno derivare il toscano serqua
«dozzina» dal lat. siliqua «baccello», che in latino indicava anche una “unità di
misura”. Sennonché, a mio fermo giudizio, questa etimologia va respinta con
decisione, dato che non si vede come dal concetto generico di “unità di misura”
venga fuori anche il concetto specifico di “dozzina” e di “dodici”.
Molto più semplice invece è far derivare il toscano serqua appunto dall’etrusco

SERΦ UE, il quale – come già detto - molto probabilmente deriva dall’etrusco SAR

«dieci». Sul piano fonetico in primo luogo è da rimarcare che nel toscano antico
esisteva anche la forma sarqua (S. Battaglia, Grande Dizionario della Lingua
Italiana, Torino 1961-2002, vol. XVIII 744), la quale si staglia alla perfezione con
l’etr. SAR «dieci». In secondo luogo nella lingua etrusca abbiamo altri esempi di
scambio tra le consonanti aspirate con altre di differente articolazione (vedi M.
Pittau, La Lingua Etrusca –grammatica e lessico, 1997, Libreria Koinè, §§ 31, 32),
per cui non è affatto strano il passaggio SERΦUE > serqua.
Sul piano semantico segnalo che, in base al fatto che nel noto Cippo di Perugia la
locuzione naper sranczl ricorre scritta anche naper XII, io avevo già interpretato
sranczl come «dodici» («napure dodici»), cioè sran-c-zl = «dieci e due» (sar, sra +
zal). E si tratta di un numerale che presenta evidenti connessioni fonetiche e
semantiche col toscano serqua, sarqua «dozzina». 
Presso molti popoli antichi il numero «dodici» aveva un carattere sacrale,
certamente perché 12 sono le lunazioni o cicli della Luna, la quale era
universalmente adorata come una divinità. Questa credenza esisteva di certo anche
fra gli Etruschi, come dimostrano sia la storia del vocabolo serqua, sia e
soprattutto le tre dodecapoli o federazioni di 12 città etrusche, la dodecapoli
tosco-laziale, quella campana e quella padana.
Da questo caso fortunato di etimologia azzeccata possiamo trarre una importante
conclusione generale: i linguisti, ma anche i Toscani di sufficiente cultura
umanistica e linguistica, si debbono convincere che relitti dell’antica lingua
etrusca esistono tuttora nelle parlate della Toscana e del Lazio settentrionale; ad
essi si impone pertanto l’obbligo e anche l’interesse ad andarli a cercare. 

 

© Paolo Campidori

 

 

 
Paolo Campidori, giornalista, scrittore, appassionato di etruscologia ha scritto vari articoli di storia e cultura del territorio mugellano e alto-mugellano, 
avvalendosi anche dell’esperienza acquisita alle dipendenze delle Soprintendenze Beni Culturali  di Firenze e Bologna, dove ha prestato lungo servizio nei musei e
gallerie d’arte delle due città. Ha scritto anche una decina di libri sulla storia e l’arte del Mugello. Recentemente, come giornalista del giornale mugellano “Il
Galletto”, Paolo Campidori ha intervistato il Prof. Massimo Pittau, linguista etruscologo. L’intervista è stata pubblicata integralmente dal giornale “Il
Galletto” sabato 26 gennaio 2008, pag 11, sez. Arte e Cultura.