La conservazione del toponimo di Vulci nel Medio Evo


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di Michele Cilla

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  "In nomine Domini. Imperante domno piissimo perpetuo et a deo coronato Karolo magno imperatore, anno imperj eius VIIII. Seu domno leone summo pontifice et universali papa [...] Ideoque nos faulo clericus et autarius germani, filii cuiusdam armeni et habitatores in mariliano finibus tuscanensibus, a presenti die damus atque cedimus in monasterio [...] omnes res vel substantias nostra atque rationem de aecclesia sancti mamiliani, quem habere videmur in territorio tuscanensi in loco qui vocitatur marilianus, cum casis, curtis, hortis, campis, pratis, vineis, silvis, territoriis arboribus fructuosis vel infructuosis, aquis, aquarumque decursibus, una cum omni accessione atque pertinentia sua. . . " (8)
  La gestione di questo cospicuo patrimonio fondiario situato nel vasto territorio tuscanese, allora una delle città più importanti della Tuscia ed in forte espansione con l'assorbiento dei territori dei vicini insediamenti decaduti, come si evince dal Privilegium di Leone IV (847-855) al vescovo Viribono in cui il papa delimita i confini della estesissima diocesi di Tuscania, spinse i Benedettini alla partecipazione attiva nella zona con la fondazione di un proprio monastero. È da notare che in tali possedimenti era compreso anche il ponte etrusco-romano che scavalca il fiume Fiora, uno dei pochi passaggi obbligati per dirigersi verso Roma. Ma il IX secolo portò anche nuove sciagure che si protrassero ancora durante il X ed i primi anni dell'XI secolo. (9 )
 




Il Castello ed il Ponte di Vulci

  Dal mare arrivarono le scorrerie dei saraceni, e quindi ulteriori devastazioni ed alterazioni in un territorio sempre meno controllabile, tanto che alla foce del Fiora si rese indispensabile la costruzione di una torre costiera d'avvistamento, a difesa degli insediamenti di questa parte del Patrimonio di San Pietro.
  Concluso questo periodo di crisi, i pontefici ripresero la politica di occupazione e gestione del Patrimonio, con l'inquadramento territoriale delle sedi episcopali, come si desume dalla bolla di Leone IX (1049-1054) indirizzata ad Ottone vescovo di Castro del 14 aprile 1053, appena prima che il pontefice si imbarcasse nella disastrosa campagna contro i Normanni. Nel documento, che elenca le proprietà ed i siti sparsi nel territorio sotto la giurisdizione della diocesi di Castro, ricompare il nome di Vulci, a testimoniare la continuità d'insediamento sul pianoro, pur tra mille difficoltà e nonostante le varie vicissitudini.
"Leo episcopus servus servorum dei. Ottoni sancte Castrensis ecclesie episcopo tuisque successoribus in perpetuum [...] concessa vel concedenda sunt, in perpetuum nostre apostolice auctoritatis decreto in tuo venerabili episcopatu confirmaremus, videlicet ecclesiam sancti Pancratii [...] et plebem sancti Petri in Bulxi cum suis pertinentiis, [...] videlicet Ponticulum et Montem altum, [...] plebem in Musignano, [...] abbatiam etiam sancti Mamiliani iuxta pontem positam in integrum, portum de Riga et silvam que vocatur Gavis. . . " (10)


  Le due chiese di Vulci, San Pietro e San Pancrazio con le loro pertinenze, e l'adiacente abbazia benedettina di San Mamiliano al ponte risultano ancora, dopo il Mille, i punti nodali per l'amministrazione del territorio vulcente, che si protende dal pianoro fino al mare, al porto di Riga o Regae, includendo anche Montalto nella diocesi di Castro e non in quella di Tuscania. E di lì a poco i due centri d'entroterra, Viterbo e Tusc­nia, iniziarono le dispute per lo sbocco al mare, per i poni vulcenti controllati poi da Montalto. (11)
  Le tumultuose vicende del Patrimonio però, conteso tra le varie famiglie aristocratiche romane, impoverirono sempre più la regione; basti pensare alla distruzione di Montalto attuata da papa Pasquale II (1099-1118) all'inizio del XII secolo con l'ausilio di truppe normanne. (12)
Per rimediare alla profonda crisi del preesistente schema insediativo un altro papa, Innocenzo II (1130­1143) pochi anni dopo, nel 1140, intervenne a potenziare le istituzioni ecclesiastiche, emanando un privilegio in cui viene ripetuto il nome di Vulci, sottolineando contemporaneamente il singolare fenomeno in atto anche nel contado vulcente, al pari del territorio laziale, dell'incastellamento.
 

  La bolla, indirizzata all'abate Stefano del monastero di San Mamiliano, concesse autonomia dal pote­re secolare e vescovile, ampi poteri e vasti possedimenti all'abbazia:
"lnnocentius episcopus serous servorum Dei dilecto filio Stephano abbati monasterii sancti Mamiliani quod est situm in comitatu Castrensi [...] videlicet Montem Aureum, cellam sancte Lucie de Aliano, cellam sancti Pancracii sitam in loeo qui di­citur Septem fontes, cellam sancte Marie de castro Bulzie; concedimus etiam vobis totam terram illam que sita in loco qui dicitur Planum de fonte Saxi prope monasterium. . . " (13)
"Così Vaccari vide nel castrum l'elemento capace di trasformare la curtis in sistema amministrativo, fun­gendo, in un momento di grave crisi dell'autorità pubblica, da centro di coesione giuridica e sociale e di rinnovamento politico sulla base di un fatto essenzialmente di natura militare." (14)
Ancora nella seconda metà del XIII secolo è testimoniato un abitato a Vulci, in un documento in cui si definiscono i confini di proprietà di alcuni appezzamenti terrieri della zona: ''Aliud petium quod tenet nero bernardi [...] Aliud petium ibi, A primo latere sancti nicolai, A secundo iohannes castaldus de Tarquini [...] Ibi iuxta aliud petium vineae Sanctae Mariae quod fuit libellum petri de bonio et picocci, A primo latere geizo filius celsae, A secundo vinea pagani de bulci, A tertio nepos pincionis, A quarto nero bernardi. .. " (15)




Il Ponte etrusco-romano a Vulci che consente
di oltrepassare il Fiume Fiora

 

  Ma la vita sul pianoro e territorio circostante si faceva sempre più diffi­cile, soprattutto nel corso dell'anarchia del XIV secolo, quando un insediamento presso il Ponte dell'Abbadia venne distrutto e solo parzialmente ricostruito. D'ora in poi la leggenda inizia a prevalere sulla verità, favoleggiando sull'origine e decadenza di questa mitica città, come risulta da una cronaca del tempo:
"Anno Domini Millesimo Tricentesimo sexagesimo sexto 1366. Die prima Augusti, infrascripta est quaedam Cronica exemplata sive transumpta per me presbiterum P.Sigismundi de Canino de quodam originali edito per Venerabilem, ac b.m. Patrem, et Episcopum D. Bernardum de Balneoregio Episcopum Castrensem, super factis Episcopalibus; videlicet quomodo et qualiter translata sit Sedes Episcopalis de Civitate Bulcia in Castrenses. . ." (16)
  La medesima cronaca veniva ancora recuperata un secolo dopo con altre finalità, ma importante è sottolineare la ricorrenza del toponimo di Vulci, a salvarne la memoria, in documenti riguardanti la diocesi di Castro.
"Anno Domini 1467. Millesimo Quatringentesimo sexagesimo septimo [...] quae alio nomine, Bulcia vocabatur, erat in omnia Nobilis et Potentissima, tum in illa regione, ubi erat Sedes Episcopalis, quae nunc est apud Castrenses; quae prae erat quinq; Portubus regionis illius, Cornetano, Montaltensi, Avis Herculis, Ansedoniae, et defendebant totam provinciam illam ab incursu saracenorum, penitus destructa tunc, et desolata." (17)
 




Papa Paolo III Farnese

 

  In pieno Rinascimento infine, quando prendono a rifiorire gli studi archeologici ed umanistici, anche in concomitanza alla scoperta dei Fasti Capitolini, dove è riportata la notizia che la città lucumonica fu conquistata dai Romani nel 280 a.c. assieme a Volsini, un'altra fonte, scritta sempre in ambito castrense, ci tramanda il nome e localizza il sito di Vu1ci:
"Alexander Farnesius senior Cardinalis (ipse est Paulus III Pont. Max. qui summa Dei providentia in Divi petri Apostolorum Principis cathedral tribus usque lustris ampliusque in Urbe sedit) [...] Paulo post Burboniam Urbis direptionem, ad suam maritima olim Sancti Maximiliani Abbatiam, nunc vero arcem Abbatiae ad Pontem vulgo nuncupatam ab ipsa Castrensi civitate quinque passuum millia distantem, et ruinosae Bulciae senis stadiis propinquam summo mane profectus est.." (18 )
  Sulle rovine di Vulci, che distano poco più di sei stadi dall'abbazia di San Mamiliano, trasformata ora in fortezza per una adeguata difesa del territorio e quindi rinomata rocca dell'abbazia al ponte, (19) castello dove il cardinale Alessandro Farnese, poi papa Paolo III, (1534-1549) si recò durante il Sacco di Roma del 1527, cala il velo delle supposizioni, senza una descrizione dettagliata delle sue strutture architettoniche ancora visi­bili che ne avrebbe facilitato il ritrovamento, come invece avvenne più tardi per la distruzione di Castro. Non si parla delle chiese, dei templi, delle costruzioni antiche: di Vulci viene perpetuata solo la memoria: bisognerà aspettare il XIX secolo prima di poterla riscoprire.
 

Articolo tratto dalla rivista Biblioteca e Società, edita dal Consorzio per la gestione delle Biblioteche di Viterbo, Anno XVII, N.3, 1988 - Si ringrazia il Presidente del Consorzio per l'autorizzazione alla pubblicazione.

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Note:
8 U. Balzani, I. Giorgi (a cura di), /I Re­gesto di Farfa, Roma 1879-92, volI. 5, vol.li documento n° 193 pp. 157-158.
9 Ancora "nell'anno 1023 li Saracini [...] scorsero tutto il Patrimonio, et Città mariti me occuporno la Città di Cencelli, et si portorno ad invadere Corneto, che se bene si difese, ricevè gran danni nelle Campagne." M. Po­lidori, Croniche di Cometo, a cura di A. R. Moschetti, Tarquinia 1977, p. 165.
10 P.E Kehr, Papsturkunden in Italien, Città del Vaticano 1977 volI. 6, voI. Il pp. 326-328. La bolla è di rilevante importanza in quanto risolve la con­troversa discussione sull'esistenza o meno della diocesi di Vulci. poi unita a Castro. La diocesi vulcente, menzionata ne I Dialoghi di Gregorio Ma­gno, trova ulteriori conferme in que­sto documento dove si specifica addirittura il nome della concattedrale, San Pancrazio. Si vedano ancora Fiocchi Nicolai, op. cito e V. Burattini, La Santa Chiesa Sovanese. Le origini del vescovato e la traslazione da Statonia a Sovana, Pitigliano. 1997.
11 Tra la fine del XII e la prima metà del XIII secolo le due città, favorite da decreti imperiali, riuscirono ad acquisire diritti sui porti montaltesi; Viter­bo nel 1174 grazie ad un diploma dell'imperatore Federico I Barbarossa (1122-1190); Tuscania nel 1243 grazie ad uno specifico privilegio dell'impe­ratore Federico Il (1194-1250) sul porto delle Murelle, l'antico porto vulcente di Regae.
12 L.A. Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, Vita Paschalis Papae /I di Pandulphi Pisani, Mediolani 1723-51 tomo 11I.
13 Le Liber Censuum de l'Eglise Ro­maine, a cura di P. Fabre e L. Duchesne, Parigi 1905, volI. 3, tomo Il p. 42.
14 A. Sennis, Un territorio da ricom­porre: il Lazio tra i secoli IV e XIV, in M.W. Atlante storico-politico del Lazio, Roma-Bari 1996, p. 45. Per il fenomeno dell'incastellamento si vedano anche P. Toubert, Feudalesimo mediterraneo. /I caso del Lazio medievale, Milano 1980 e P. Vaccari, La territorialità come base dell'ordinamento giu­ridico del contado, Pavia 1921.
15 U. Balzani, I. Giorgi, /I Regesto...op. cito tomo V pp. 265-266 .
16 M. Ghezzi, Breve discorso non men curioso, che bello sopra la salubrità dellAria della Città di Castro: a cui s'aggiunge nel fine la vera e real Cronica della famosa, e antichissima Città di Bulcia, overo Vulcia. Ronciglione 1610, p. 48.
17 M. Ghezzi, Breve... op. cito pp. 48­-49.
18 D. Angeli, De depraedatione Ca­strensium et suae patriae historia, Lugduni Batavorum 1723, riedita a cura di G. Baffioni, Roma 1981 p.22
19 A. Corsini, Vulci. Ceramiche dal butto della torre, 1995