VITERBO ETRUSCA NEL MONDO

 

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di Giuseppe Moscatellli

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Sarcofago da Musarna, Mfa Boston

Viterbo e gli etruschi, un nodo da sciogliere o forse un libro ancora da scrivere. Fate una prova: chiedete ad appassionai e studiosi di cose antiche, a escursionisti esperti o semplici viaggiatori di indicare le più importanti località etrusche; a nessuno, probabilmente, verrà in mente di citare Viterbo. Eppure questa città non ha eguali in Etruria per ricchezza di siti, antichità di insediamenti, tipologia di necropoli e varietà di reperti.

Le ragioni di questa amnesia storica e culturale sono diverse, non ultima una politica turistica miope e di corto respiro che ha preferito promuovere Viterbo nel circuito mediatico come “Città medievale” o “Città dei Papi”, piuttosto che come città etrusca. Oggi, all'estero, quando si parla di etruschi si pensa alla Toscana e non a Viterbo e al viterbese, anche se il nostro patrimonio archeologico è incomparabilmente più ricco. Altro motivo non trascurabile è la stessa importanza in assoluto dei diversi siti dislocati nel territorio viterbese, tale da imporre una loro autonoma considerazione piuttosto che consentire la valorizzazione del legame storico e culturale con la città. Per fare qualche nome: Norchia, Castel d'Asso, Musarna, Acquarossa, Poggio Giudio.

Ma veniamo a chi, invece, questo legame ha cercato di esaltare, anche forzando un po’ la mano. Ci riferiamo al monaco domenicano Giovanni Nanni, meglio conosciuto come Annio da Viterbo (1432-1502), storico e archeologo tra i più illustri di questa terra, troppo frettolosamente liquidato come falsario. Annio fu un collezionista di etruscherie ante litteram, forse il primo della storia. Egli riteneva, come in effetti oggi reputato, che le origini di Viterbo fossero etrusche e che  alla città spettasse il primato tra tutte quelle dell’antica Etruria. Il suo amore per Viterbo lo portò così a concepire teorie generose sulle sue origini e a realizzare addirittura dei falsi per supportare le sue tesi. Famosi in tal senso sono il cosiddetto “Marmo Osiriano”, dedicato alle gesta dell’egizio Osiride, mitico fondatore di Viterbo; nonché il “Decreto di Desiderio”, iscrizione incisa su una lastra marmorea semicircolare attribuita da Annio al re longobardo che avrebbe fortificato con mura l’originaria “tetrapoli” etrusca chiamandola appunto Viterbo. Entrambi i reperti sono oggi conservati presso il Museo Civico. Queste teorie, che a noi possono anche apparire stravaganti, per tre secoli sono state al centro di un acceso confronto tra gli eruditi e tale era la loro suggestione e autorevolezza che la città, fiera delle proprie origini, nel 1588 volle fossero affrescate sulle pareti della Sala Regia del Palazzo dei Priori, oggi sede dell’amministrazione comunale.

Viterbo può anche vantare il primato di essere stata la prima città italiana ad aver allestito una raccolta di antichità etrusche, un vero e proprio piccolo museo, in quello che oggi è il palazzo della prefettura. E’ qui infatti che nel 1494 (oltre mezzo millennio fa!) vennero collocati i sarcofagi che Frate Annio aveva scoperto in località Cipollara (al confine tra Viterbo e Tuscania) e “benedetti” da papa Alessandro VI, presente all’apertura della tomba. Si tratta di quattro sarcofagi con coperchio figurato e iscrizioni che destarono grande ammirazione tra gli eruditi, ma di cui oggi si è persa ogni traccia. Per una singolare coincidenza, due secoli dopo, nel 1694, sempre in località Cipollara e alla presenza di un futuro papa, Innocenzo XIII, una nuova scoperta riaccese gli animi: venne infatti riportata alla luce una tomba a camera con il suo integro corredo di sarcofagi figurati e iscrizioni, vasi, cippi ed altri reperti.

La raccolta di antichità etrusche che così si andava formando, arricchita da donazioni private e reperti provenienti da nuovi scavi, col tempo confluì nell’attuale Palazzo dei Priori, dove nel 1821 trovò sede il Museo e Gabinetto Accademico, vera e propria raccolta museale pubblica. Dopo complesse vicende che portarono alla parziale spoliazione delle collezioni di antichità, nel 1881 nacque, sempre nel Palazzo dei Priori, il Museo Municipale che nel 1912 trovò finalmente la sua nuova sede presso la Chiesa di Santa Maria della Verità.  Qui le raccolte di antichità, incrementate dagli scavi nel frattempo effettuati e arricchite dalla collezione Rossi Danielli, donata dal famoso archeologo viterbese, costituirono il rinnovato Museo Civico. A seguito dei bombardamenti alleati del secondo conflitto mondiale che arrecarono gravi danni al complesso delle collezioni, il museo trovò la sua definitiva sede nei nuovi spazi di chiostro e convento, adiacenti alla chiesa. Il museo poté così essere inaugurato il 3 settembre del 1955.

Una storia così antica e complessa merita senz'altro maggiore attenzione di quanta, ad oggi, le sia stata tributata da cattedratici e studiosi. Non solo, la “distrazione” storica ha fatto si che i principali reperti provenienti da Viterbo abbiano subito una sorta di diaspora (destino comune ad altri centri etruschi) che ne rende problematica una precisa indagine e configurazione storica. Prendiamo ad es. il pezzo più famoso in assoluto, il “galletto” alfabetario in bucchero conservato al Metropolitan Museum di New York. Si tratta con tutta probabilità di un calamaio, come dimostra la cresta-tappo asportabile per consentire di riempire il piccolo vaso con inchiostro. Risale alla seconda metà del VII secolo a.C. ed è universalmente conosciuto da studiosi e appassionati, appunto, come il “Galletto di Viterbo”. Nulla tuttavia sappiamo sulle circostanze del suo ritrovamento: il luogo preciso, il tempo, il suo trasferimento oltreoceano. L'interesse del reperto è notoriamente dato da una iscrizione destrorsa graffita sulla pancia del vasetto e riproducente l'alfabeto etrusco arcaico, di chiara derivazione greca, con le originarie 26 lettere in uso presso le colonie euboiche della Campania. E' assai ben conservato ma risulta mancante della coda, su cui probabilmente poggiava a mò di terzo piede. La presenza di un anello sul dorso del reperto e di fori sul collo e sulla cresta fa presumere l'uso di un cordoncino per il trasporto e per sorreggere il tappo.

Restando negli States, nel Museum of Fine Arts di Boston troviamo un altro reperto viterbese  di elevatissimo pregio: si tratta di una grande kylix a figure rosse degli inizi del V sec. a.C. firmata da Eufronio, il più celebrato ceramista dell'antichità ed anche il più quotato sul florido mercato clandestino. Decorata da un allievo del maestro, il pittore ateniese Onesimos, ha un diametro di quasi 40 centimetri e nel suo interno sono raffigurati due danzatori nudi: uno suona il flauto doppio, l'altro accompagna le sue evoluzioni con un lungo bastone da passeggio. Sul margine del cerchio troviamo la firma dell'autore (EUPHRONIOS EPOIESEN) e la consueta dedica “Il bel fanciullo” (KALOS HO PAIS). La decorazione esterna riporta una processione (KOMOS) di undici uomini ebbri e l'iscrizione “Panaitios è bello” (PANAITIOS KALOS). Il reperto sarebbe stato rinvenuto in data imprecisata da tal Pietro Saveri in un suo fondo a circa tre miglia da Viterbo. Nello stesso museo troviamo un sarcofago di non eccezionale pregio artistico  proveniente da Musarna: è datato  al II secolo a.C. e sul coperchio è rappresentato un uomo recumbente con patera.  A proposito di Musarna c'è da rilevare una vera e propria dispersione di sarcofagi avvenuta in questo sito già a fine ottocento: tutti i sedici sarcofagi scoperti nel 1898 in uno scavo occasionale finirono infatti  oltreoceano. Di questi una metà si trovano tutt'oggi nei depositi dell'università californiana di Berkeley; altri cinque nel campus universitario di Filadelfia ed uno nel museo della città; uno a Boston. L'ultimo sarcofago di questa serie merita una considerazione a parte per la sua insolita vicenda: già conservato presso l'Università di Harvard, è stato ricomprato nel 1997 dal Comune di Viterbo a beneficio delle dotazioni del Museo Civico. Reperti provenienti da Musarna sono segnalati anche nei musei di Toronto, San Pietroburgo e in Vaticano.

Sul vecchio continente facciamo scalo al British Museum di Londra: qui è conservato un bronzetto alto dieci centimetri raffigurante un guerriero con un grande elmo crestato acquisito nel 1824 alle collezioni museali e qualificato nei cataloghi come proveniente da “Viterbo città” (Viterbo town). Sempre al British recensiamo un disegno a matita lumeggiato a biacca firmato dal viaggiatore inglese Samuel James Ainsley e raffigurante la metà sinistra di un frontone rupestre con rilievi di guerrieri in tenuta da combattimento, alcuni dei quali soccorrono un compagno ferito. E' datato Viterbo. Nov 1846” e riproduce, con ogni evidenza, la parte oggi mancante del frontone delle tombe doriche di Norchia, al presente esposta nel Museo Archeologico Nazionale di Firenze, ma allora evidentemente ancora in situ, tanto che l'autore poté copiarla.

Proveniente da Castel d'Asso troviamo a Copenaghen un'anfora attica a figure nere di età arcaica del pittore di Antimenes, attivo ad Atene nell'ultimo quarto del VI secolo a.C.: ha il corpo in vernice nera e il collo decorato con tralci d'uva, satiri danzanti e motivi geometrici. Un gruppo di ceramiche sono infine pervenute, sempre da Castel d'Asso, nelle collezioni del Royal Ontario Museum di Toronto.

                                                         Tutte le immagini sono tratte dai siti ufficiali dei rispettivi musei



 

 

 

Il Galletto del Metropolitan Museum di New York

Il Galletto del Metropolitan Museum di New York

Disegno di frontone di tomba dorica, British Museum
Disegno di frontone di tomba dorica, British Museum
Kylix di Eufronio, esterno, MFA Boston
Kylix di Eufronio, esterno, MFA Boston
Kylix di Eufronio, interno, MFA Boston
Kylix di Eufronio, interno, MFA Boston
Statuina di guerriero in bronzo, British Museum
Statuina di guerriero in bronzo, British Museum
 
 

 

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