Vulci ed il suo territorio prima del IV secolo d.C |
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di Roberto Brunotti |
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Carta degli insediamenti nella valle del Fiora al III secolo a.C. Carta degli insediamenti nella valle del Fiora al II secolo d.C. |
Relazione di G. Colonna al X Convegno di Grosseto sugli
studi etruschi ed italici del 1975
Città di Vulci
Sono sicuramente documentati quattro sepolcreti della prima età del ferro, con tombe a pozzo e a fossa, distinti topograficamente e riferibili ad altrettanti villaggi. Ciascuno di essi corrisponde ad una delle regioni principali delle grandi necropoli di età storica, di cui costituisce a quanto pare il nucleo originario. Sulla destra del Fiora in corrispondenza della necropoli nord, vi è il sepolcreto dell'Osteria, scavato nel secolo scorso, poi dal Bendinelli nel 1922, e poi nel dopoguerra. Sulla sinistra del Fiora, a nord-est della città, si trova il sepolcreto del Mandriane di Cavalupo, parzialmente esplorato dallo Gsell e poi ancora rovistato nel dopoguerra. Ad est della città nella zona della Cuccumella o di Ponte Rotto, vi è l'omonimo sepolcreto, pure esplorato dallo Gsell. A sud-est infine si trova il sepolcreto della Polledrara, di cui si ha solo una notizia del Helbig. Tombe villanoviane sono segnalate anche a sud del fosso Timone, nella località Campomorto. In età orientalizzante si nota un progressivo incremento delle aree di frammenti fittili, che alla fine del VII secolo a.C. sono distribuite con intensità notevole in tutti i settori. Nel pieno del VI secolo l'intero pianoro mostra grande concentrazione di materiali spesso riferibili ad edifici. E' questo il momento del massimo sviluppo della città che si protrae ancora nel secolo V. Nel pieno IV secolo è evidente una concentrazione dell'area abitata attestata dalla rarefazione di frammenti fittili; il fenomeno dovette incrementarsi nel III secolo fino a che nel II risulta attuato l'abbandono di gran parte della città che si riduce ad un ristretto nucleo lungo il decumano. Il nucleo citato sopravvive senza sostanziali variazioni nella prima età imperiale, in questo momento ad esso si aggiungono alcuni nuclei isolati nella zona sud sud - est della città imperiale ed edifici riccamente decorati ed indizi di impianti termali che restano in uso fino a tutto il III secolo d.C.. al medesimo periodo sembrano databili le strutture murarie lungo l'asse est-ovest. Dalla bibliografia è possibile inoltre attestare fasi di età medievale (A.Carandini, La romanizzazione dell'Etruria, Il territorio di Vulci, Milano , 1985). Vulci nel periodo precedente la romanizzazione Considerando che Vulci è il cuore della zona presa in esame appare interessante riportare il quadro della situazione vulcente nel periodo che precede la conquista romana. La carenza di notizie può essere qualche volta compensata dagli abbondanti studi archeologici. Nel IV secolo a.C. Vulci, a seguito della sconfitta subita all'inizio del V a Cuma da parte dei Siracusani, aveva subito un lento declino dei commerci marittimi ed una conseguente recessione economica, ritrova un nuovo equilibrio grazie ad una aristocrazia terriera che tenta la rivitalizzazione del territorio seguendo una politica di ripresa agraria. A tale netta ripresa, che ha piena fioritura nel IV secolo, corrisponde la nascita di nuovi centri (Cellere, Tessennano) e il ripopolamento di altri precedentemente abbandonati (Sovana, Sorano). Fioriscono nuovi insediamenti agricoli e piccole fattorie popolano il territorio. Nel centro urbano nel IV secolo a.C. si assiste alla realizzazione di un imponente cinta muraria un opera quadrata (Taglieri 1959), limitata ai punti di più facile accesso e strategicamente difendibili (Barroccini 1960), nella quale si aprivano quattro o cinque porte (Massabò 1979) corrispondenti ad altrettanti assi viari di collegamento con i centri del territorio. Strettamente connessa con questo impianto sembra la fitta rete viaria che si dirama su tutto il pianoro. La città di Vulci e il suo territorio dopo la romanizzazione Scarsi sono i dati bibliografici dopo la comparsa delle armi romane sul territorio (280 a.C.), anche se molto è stato scritto su Vulci nel suo complesso. Il periodo della romanizzazione, appena sfiorato nella bibliografia, viene invece considerato con maggiore attenzione in occasione delle mostre allestite nel 1985 nell'ambito del "Progetto Etruschi". L'esplorazione della città antica ha restituito un gruppo di abitazioni ellenistiche, una domus tardo-repubblicana (la casa del criptoportico), un mitreo annesso ad una delle abitazioni ellenistiche, un tempio ellenistico, un sacello dedicato ad Ercole di età ellenistica, tracce di un edificio termale del II secolo d.C., una chiesa altomedievale sorta sui resti romani. Senz'altro a partire dal III secolo a.C. compaiono accanto alle famiglie aristocratiche vulcenti (Saties, Tarnas, etc.) gentes romane stanziatesi nel territorio e nelle città come testimoniano dalle iscrizioni e forme latine nelle necropoli. All'inizio del I secolo a.C. Vulci diviene municipio romano e, secondo la politica augustea di ripristino dei centri etruschi, vede un periodo di rivitalizzazione. Interessanti sono la domus tardo-repubblicana del Criptoportico e l'annesso santuario mitraico. Gli scavi condotti nella zona della necropoli hanno portato alla luce tombe di particolare interesse e divenute famose, come la tomba Francois, appartenuta alla famiglia etrusca Satie, con pianta tipica degli ipogei gentilizi del IV secolo a.C., articolata in più ambienti, o ancora la tomba dei Tarna e la tomba dei Tute e quella dei Tetnie. Nel pianoro di Ponte Rotto (ponte romano del I secolo a.C., lungo circa 80 metri, d'accesso alla città attraverso la porta est) sorge la Cuccumella, tumulo di 65 metri di diametro, costituito da un grande ambiente centrale, oltre che di due piccole celle e due camere sepolcrali, il complesso è circondato da gallerie che proseguono anche al di sotto, creando un complicato intreccio, e rivela inoltre nella parte superiore resti di una torre da riferire al periodo medievale. Accanto all'altro famoso ponte gettato arditamente sul Fiora, il ponte dell'Abbadia (sicuramente etrusco, restaurato in età imperiale e nel medioevo, consolidato nel 1930, con la sua arcata di 20 metri di luce si innalza a più di 30 metri dal letto del fiume; sulla spalletta destra si appoggia il canale di un acquedotto medievale sorto su di un precedente acquedotto romano), sorge il castello dell'Abbadia, di periodo medievale con aggiunte cinquecentesche, che fu anche sede della dogana pontificia presso il confine con il Granducato di Toscana, è dal 1975 museo nazionale vulcente
Il testo e le immagini di questo servizio sono tratte dalla tesi di laurea dell'arch. Roberto Brunotti. L'opera completa è consultabile all'indirizzo: http://www.robertobrunotti.it/index.php?option=com_content&task=section&id=4&Itemid=34 |
Carta degli insediamenti nella valle del Fiora al IV secolo a.C. |