Le enfiteusi dello Stato di Castro
L'VIII volume della collana "Biblioteca di Studi Viterbesi" presenta l'opera del gesuita Gonzalo Adorno Hinijosa in cui si illustra la riforma voluta da Pio VI sul finire del XVIII sec. Anzio Risi, nell'ampio saggio introduttivo, ripercorre la genesi di questa vicenda.


 

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di Romualdo Luzi

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  Tra i libri di pregio conservati nella Biblioteca degli Ardenti di Viterbo va compreso un singolare volume (edito a Roma nel 1795, per la nota tipografia di Giovanni Zempel) dal titolo Dell'importanza e dé pregi delle emfiteusi sostituite all'appalto Camerale dello Stato di Castro, e Ducato di Ronciglione.
  Il saggio, che appare anonimo, si deve ascrivere alla penna del gesuita Gonzalo Adorno Hinijosa (secondo la lettura dello storico dell'ordine C. Sommervogel, mentre la Bibliografia Nazionale lo cita come Adorno Hinojosa Gonzalo), cui la Camera Apostolica, dopo l'abbandono degli appalti dei beni camerali appartenenti al territorio dell'ex ducato farnesiano di Castro e Ronciglione, aveva concesso in enfiteusi il territorio di Pescia Romana. Da ciò si comprende come queste concessioni in enfiteusi da parte della Camera Apostolica, fossero salutate con accenti di singolare approvazione dallo stesso Adorno, e delle quali si magnificavano gli sviluppi favorevoli in senso economico per la stessa Camera concedente.
  Quanto avvenne delle terre ex farnesiane del castrense e dell'area cimina, all'indomani della demolizione di Castro e del recupero di quel territorio da parte della Camera Apostolica (1649), costituisce una pagina poco nota della storia di questa provincia 



 

poiché studi specifici non se ne conoscono, salvi riferimenti a carattere generale apparsi in vari studi, e una tesi inedita, discussa presso l'Università di Roma, nel lontano anno accademico 1975/1976, da Francesco Stefanini (giovane studioso, scomparso prematuramente), dal titolo L'appalto dei beni camerali dello Stato di Castro e Ronciglione (1650-1791), che meritò al suo autore il massimo dei voti e la lode. Di questa tesi ne ha parlato, in termini di ammirazione e illustrandola in modo sufficientemente ampio e documentato il nostro prof. Bruno Barbini in Biblioteca e Società, la rivista del Consorzio, da lui diretta (anno XIV, fasc. 1-4, 1995, p. 25-29).
Il saggio dell'Adorno, in sostanza, segue cronologicamente il contenuto della tesi e per questo sono grato ad Anzio Risi che, qualche tempo fa, mi fece partecipe del suo studio specificatamente dedicato all'illustrazione dell'opera conservata nella biblioteca viterbese.
  L'ampio saggio del Risi, con la prevista ristampa anastatica del volume dell'Adorno, è stata la proposta che il Consiglio di Amministrazione del Consorzio, ha ritenuto meritevole di pubblicazione quale VIII volume della nostra collana intitolata "Biblioteca di Studi Viterbesi".
 




Le enfiteusi dello Stato di Castro al 1792

  Nel frattempo si verificava un'altra singolare e favorevole circostanza. Sul mercato antiquario appariva in vendita, oltre al saggio dell'Adorno, un altro libro - di cui il ricordato Sommervogel faceva cenno nei suoi studi - costituito dallo scritto di un anonimo "Statista Castrese" (finora non ritrovato in altra biblioteca) dal titolo Lettera al Sig. Abbate Consalvo Adorno sopra la nullità, ed i vizj delle enfiteusi Sostituite all'Appalto Camerale dello Stato di Castro e Ducato di Ronciglione.
Un'opera quindi completamente in antitesi con lo scritto dell'Adorno, di cui si minano le affermazioni proprio alla radice, tacciandole anche di falso e accusando lo stesso Adorno ed altri enfiteuti addirittura di contrabbandare il grano nel vicino Granducato di Toscana!
La singolarità di questa Lettera… è quella di essere stata stampata "alla macchia" (quindi anonima e priva di qualsiasi nota tipografica), per cui non ne conosciamo l'autore salvo l'affermazione - come abbiano detto - di essere opera uno "Statista Castrese", sicuramente una persona coinvolta nei meccanismi conseguenti alla cessazione degli appalti e quindi all'uso negativo delle nuove enfiteusi.
 
  Lo scritto potrebbe essere stato dato alle stampe immediatamente dopo l'apparizione del libro dell'Adorno (1795) in quanto un riferimento temporale (a p. 12 della Lettera…) consente attendibile una simile affermazione poiché vi si precisa che dall'inizio dei contratti delle enfiteusi (1792) sono trascorsi tre anni.
Tra l'altro il piccolo volume (di appena 58 pagine) presenta una particolarità. Sul frontespizio, prima dell'ultima riga, appare evidentemente cancellata, con un fregio singolarmente corposo, una parola. Attraverso la tecnica digitale si è riusciti a leggere con quasi matematica certezza che la parola sottostante corrisponde a "COSMOROLI". Ciò, purtroppo, non ci ha svelato nulla di più su questa misteriosa edizione "fuorilegge", quindi apparso senza il prescritto "imprimatur". Naturalmente l'autore temeva le ritorsioni di quanti, da lui apertamente fatti oggetto di pesanti accuse, e quindi si è ben guardato di palesarsi in qualche modo.
  L'augurio è che attraverso la pubblicazione di questo libro, si possano suscitare altri studi sull'argomento e, perché no, di trovare la soluzione a questo "piccolo giallo" che si apre ogni qualvolta un'opera è pubblicata, come comunemente si dice, "alla macchia".




La Tenuta di Pescia in una cartografia del 1872
 


 

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