Noi che viviamo nella terra d’origine dei Farnese, nei paesi
dove la nobile famiglia vide e consolidò le sue prime fortune,
spesso dimentichiamo o forse non riflettiamo abbastanza sul
fatto che, dopo la conquista del soglio di Pietro, gli eredi di
Paolo III per quasi due secoli prosperarono in terra padana,
dove ressero il Ducato di Parma e Piacenza dal 1545, anno della
sua erezione, fino all’estinzione della dinastia avvenuta nel
1731.
E’ altrettanto vero che tale “amnesia” storica può essere
imputata anche ai nostri “cugini” padani che, analogamente, non
danno gran peso alle vicende farnesiane e alle problematiche
storiche delle origini. Noi e loro produciamo una quantità di
pubblicazioni, studi, saggi, articoli, tutti rigorosamente di
carattere e impostazione campanilistica... senza che tra questi
due mondi si instauri un auspicabile momento di sintesi.
Queste riflessioni ci vengono suggerite dalla pubblicazione ad
opera della Banca di Piacenza di un interessantissimo volume
curato da Aldo G. Ricci intitolato “Gli atti del procedimento
in morte di Pier Luigi Farnese. Un’istruttoria non chiusa”. Come
il titolo ben lascia intendere si tratta di una accurata
indagine documentale sulle ultime ore del primo duca di Castro e
di Parma e Piacenza (tanto per sottolineare il legame con cui
abbiamo aperto questo articolo), figlio di Paolo III e
continuatore della stirpe, assassinato nella cittadella di
Piacenza il 10 settembre 1547 in seguito ad una congiura ordita
da nobili piacentini con la complicità del governatore di Milano
Ferrante Gonzaga e il benestare dell’imperatore Carlo V.
Ebbene, questo volume, fondamentale per gli studi di una figura
così ambigua e controversa come quella di Pier Luigi Farnese
jr., lo abbiamo scoperto quasi per caso, pescando nel mare
magnum di internet. Evidentemente gli echi della sua
pubblicazione, come in tanti altri casi, non avevano superato le
brume della bassa padana.
Ma veniamo al volume. Esemplare il periodo con cui il curatore
apre il suo saggio introduttivo: “Questa è la storia di una
congiura di nobili per un’esecuzione condotta con tecniche di
bassa macelleria, portata a termine per interessi privati
concretissimi e condizionamenti politici internazionali
fortissimi, e spacciata invece per un tirannicidio in nome della
libertà...”. Un giudizio netto, perentorio, inequivoco.
Un’affermazione che ha come esclusivo fondamento l’evidenza
storica al di là di ideologismi e campanilismi di sorta, con
buona pace di quanti, sul solco della vulgata storiografica,
vedono nel duca Pier Luigi soltanto un mostro di crudeltà e
tirannide.
Il libro si fa soprattutto apprezzare per il suo straordinario
valore documentario: vi sono infatti trascritti in edizione
critica i verbali dell’inchiesta, in ampia parte inediti, che fu
condotta a Roma e a Parma in seguito alla morte del Duca. Un
primo gruppo di documenti proviene dall’Istituto Prati di Forlì:
si tratta di testimonianze raccolte tramite notai da ufficiali
del Duca, suoi stretti collaboratori, sulla dinamica degli
eventi. Non mancano le discordanze: in effetti erano sorti
dissidi tra i capitani Muzio Muti e Alessandro Tommasoni,
addetti alla sicurezza della cittadella, sul modo di affrontare
l’emergenza. Il primo incitava all’attacco, l’altro - dopo un
tentativo fallito – si mostrava rinunciatario, ritirando
addirittura i suoi armigeri. Ognuno dei due, attraverso i
testimoni, cerca di avvalorare la propria tesi sulla
contrastabilità o meno del proditorio attacco dei congiurati
che, entrati nella fortezza e sollevato il ponte levatoio,
avevano ucciso e gettato nel fossato quattordici tra guardie e
domestici del Duca, prima di riservare allo stesso il medesimo
trattamento. Inevitabili le ombre sul comportamento del
Tommasoni, sospettabile quantomeno di viltà quando non di vero e
proprio tradimento.
Il secondo gruppo di documenti, proveniente dall’Archivio di
Stato di Roma, concerne gli atti dell’inchiesta promossa da
Paolo III per accertare fatti e responsabilità. Un gran numero
di testimoni, per lo più servitori e famigli del Duca,
descrivono in presa diretta il tragico e convulso susseguirsi
degli eventi: ecco i congiurati che proferendo orribili
bestemmie fanno scempio del corpo del Duca, si danno al
saccheggio e all’oltraggio e in un clima di euforia criminale
portano a termine il macabro rituale davanti agli occhi attoniti
dei tanti che, richiamati da spari e schiamazzi, si sono nel
frattempo adunati sotto la cittadella. La congiura ha raggiunto
il suo obiettivo: due giorni dopo Ferrante Gonzaga entrerà
trionfante in città e ne prenderà possesso in nome
dell’imperatore.
L’inchiesta, così ben documentata, non avrà alcun esito e non
solo per l’intervenuta morte del papa, nel novembre 1549.
Implicazioni di carattere internazionale nei rapporti tra stati
e motivazioni di opportunità politica sconsigliarono ad Ottavio,
figlio di Pier Luigi e suo successore, di coltivare il conflitto
con l’imperatore che tra l’altro era suo suocero, avendo egli
sposato nel 1538 Margherita d’Austria, figlia naturale di Carlo
V, già vedova di Alessandro de’ Medici. Ad Ottavio tuttavia non
fu dato di gustare fino in fondo il sapore della vendetta: per
quanto alcuni dei congiurati furono nel tempo raggiunti dai
pugnali dei suoi sicari, si dà il caso che l’ideatore e
protagonista della congiura, l’assassino di Pier Luigi, assiduo
del Duca e suo apprezzato consigliere, ovvero il conte Giovanni
Anguissola, morirà nel suo letto oltre trent’anni dopo.
Al volume è allegato un CD, autentica manna per gli studiosi, in
cui sono riprodotti in formato digitale tutti gli originali dei
documenti trascritti nel libro.
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La copertina dell'opera |
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