Atti del procedimento in morte di Pier Luigi Farnese

In un’opera edita dalla Banca di Piacenza le testimonianze dirette sulle ultime ore del duca


 

Stampa

di Giuseppe Moscatelli

Clicca sull'immagine per corrispondere con l'autore


 
 

Noi che viviamo nella terra d’origine dei Farnese, nei paesi dove la nobile famiglia vide e consolidò le sue prime fortune, spesso dimentichiamo o forse non riflettiamo abbastanza sul fatto che, dopo la conquista del soglio di Pietro, gli eredi di Paolo III per quasi due secoli prosperarono in terra padana, dove ressero il Ducato di Parma e Piacenza dal 1545, anno della sua erezione, fino all’estinzione della dinastia avvenuta nel 1731.

E’ altrettanto vero che tale “amnesia” storica può essere imputata anche ai nostri “cugini” padani che, analogamente, non danno gran peso alle vicende farnesiane e alle problematiche storiche delle origini. Noi e loro produciamo una quantità di pubblicazioni, studi, saggi, articoli, tutti rigorosamente di carattere e impostazione campanilistica... senza che tra questi due mondi si instauri un auspicabile momento di sintesi.

Queste riflessioni ci vengono suggerite dalla pubblicazione ad opera della Banca di Piacenza di un interessantissimo volume curato da Aldo G. Ricci  intitolato “Gli atti del procedimento in morte di Pier Luigi Farnese. Un’istruttoria non chiusa”. Come il titolo ben lascia intendere si tratta di una accurata indagine documentale sulle ultime ore del primo duca di Castro e di Parma e Piacenza (tanto per sottolineare il legame con cui abbiamo aperto questo articolo), figlio di Paolo III e continuatore della stirpe, assassinato nella cittadella di Piacenza il 10 settembre 1547 in seguito ad una congiura ordita da nobili piacentini con la complicità del governatore di Milano Ferrante Gonzaga e il  benestare dell’imperatore Carlo V. Ebbene, questo volume, fondamentale per gli studi di una figura così ambigua e controversa come quella di Pier Luigi Farnese jr., lo abbiamo scoperto quasi per caso, pescando nel mare magnum di internet. Evidentemente gli echi della sua pubblicazione, come in tanti altri casi, non avevano superato le brume della bassa padana.

Ma veniamo al volume. Esemplare il periodo con cui il curatore apre il suo saggio introduttivo: “Questa è la storia di una congiura di nobili  per un’esecuzione condotta con tecniche  di bassa macelleria, portata a termine per interessi privati concretissimi e condizionamenti politici internazionali fortissimi, e spacciata invece per un tirannicidio in nome della libertà...”. Un giudizio netto, perentorio, inequivoco. Un’affermazione che ha come esclusivo fondamento l’evidenza storica al di là di ideologismi e campanilismi di sorta, con buona pace di quanti, sul solco della vulgata storiografica, vedono nel duca Pier Luigi soltanto un mostro di crudeltà e tirannide.

Il libro si fa soprattutto apprezzare per il suo straordinario valore documentario: vi sono infatti trascritti in edizione critica i verbali dell’inchiesta, in ampia parte inediti, che fu condotta a Roma e a Parma in seguito alla morte del Duca. Un primo gruppo di documenti proviene dall’Istituto Prati di Forlì: si tratta di testimonianze raccolte tramite notai da ufficiali del Duca, suoi stretti collaboratori, sulla dinamica degli eventi. Non mancano le discordanze: in effetti erano sorti dissidi tra i capitani Muzio Muti e Alessandro Tommasoni, addetti alla sicurezza della cittadella, sul modo di affrontare l’emergenza. Il primo incitava all’attacco, l’altro - dopo un tentativo fallito – si mostrava rinunciatario, ritirando addirittura i suoi armigeri. Ognuno dei due, attraverso i testimoni, cerca di avvalorare la propria tesi sulla contrastabilità o meno del proditorio attacco dei congiurati che, entrati nella fortezza e sollevato il ponte levatoio, avevano ucciso e gettato nel fossato quattordici tra guardie e domestici del Duca, prima di riservare allo stesso il medesimo trattamento. Inevitabili le ombre sul comportamento del Tommasoni, sospettabile quantomeno di viltà quando non di vero e proprio tradimento.

Il secondo gruppo di documenti, proveniente dall’Archivio di Stato di Roma, concerne gli atti dell’inchiesta promossa da Paolo III per accertare fatti e responsabilità. Un gran numero di testimoni, per lo più servitori  e famigli del Duca, descrivono in presa diretta il tragico e convulso susseguirsi degli eventi: ecco i congiurati che proferendo orribili bestemmie fanno scempio del corpo del Duca, si danno al saccheggio e all’oltraggio e in un clima di euforia criminale portano a termine il macabro rituale davanti agli occhi attoniti dei tanti che, richiamati da spari e schiamazzi,  si sono nel frattempo adunati sotto la cittadella. La congiura ha raggiunto il suo obiettivo: due giorni dopo Ferrante Gonzaga entrerà trionfante in città e ne prenderà possesso in nome dell’imperatore.

 L’inchiesta, così ben documentata, non avrà alcun esito e non solo per l’intervenuta morte del papa, nel novembre 1549. Implicazioni di carattere internazionale nei rapporti tra stati e motivazioni di opportunità politica sconsigliarono ad Ottavio, figlio di Pier Luigi e suo successore, di coltivare il conflitto con l’imperatore che tra l’altro era suo suocero, avendo egli sposato nel 1538 Margherita d’Austria, figlia naturale di Carlo V, già vedova di Alessandro de’ Medici. Ad Ottavio tuttavia non fu dato di gustare fino in fondo il sapore della vendetta: per quanto alcuni dei congiurati  furono nel tempo raggiunti dai pugnali dei suoi sicari, si dà il caso che l’ideatore e protagonista della congiura, l’assassino di Pier Luigi, assiduo del Duca e suo apprezzato consigliere, ovvero il conte Giovanni Anguissola, morirà nel suo letto oltre  trent’anni dopo. 

Al volume è allegato un CD, autentica manna per gli studiosi, in cui sono riprodotti in formato digitale tutti gli originali dei documenti trascritti nel libro.


 

 



La copertina dell'opera