Lo Stemma di Castro
Ad oltre trecento anni dalla distruzione di Castro (1649) ricostruito l'emblema della città; un leone bianco rampante sormontato da tre gigli in campo azzurro. Non mancano testimonianze di diverse figurazioni forse usate nel "sigillo piccolo".


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Parte Prima

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di Romualdo Luzi

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  Sin dal Trecento, ma soprattutto dal Rinascimento, i monumenti, i palazzi, le mura e le porte delle città e dei borghi italiani vennero adornati dagli stemmi dei municipi e da quelli di famiglie nobili, di dignitari ecclesiastici o di semplici cittadini in qualche modo assurti a importanti cariche pubbliche.
Nasceva allora l'uso, di riprodurre sugli stemmi le figure apparse dapprima sui sigilli, quindi sulle insegne e sui vessilli. Le città, in particolare, iniziarono ad avere un proprio stemma nel sec. XI, quando, tra montata l'epoca feudale, riuscirono a raggiungere una certa indipendenza e divenire comuni liberi.
Si registrò una fioritura di stemmi con richiami araldici dei più vari, dalle figurazioni semplici ricavate dall'ambiente a quelle più complesse che riflettevano anche aspetti e momenti delle vicende storiche della città. Casi uno stemma nato con una sola figurazione, una torre, un leone, ecc., a poco a poco si arricchisce di altri elementi, quali l'emblema della famiglia dominante o quello di altre terre annesse.
 
 

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Veduta di Castro
[Castrum] lyrae formam imitatur da J. Blaeu, Theatrum civitatum et admirandorum Italiae, Amstelaedami 1663, p.521
 

 
 

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Veduta inedita della città di Castro
(Napoli, Archivio di Stato, Fondo Farnesiano, fasc. 663, fig. 1)
 

  Questa breve premessa «araldica» serve per introdurre le presenti note sullo stemma di Castro, città vanto della famiglia Farnese e dell'omonimo Ducato, distrutta nel Settembre del 1649 per decisione di Innocenza X (G. B. Pamphili) a seguito dell'uccisione del Vescovo, il barnabita mons. Cristoforo Giarda, non gradito a Ranuccio Farnese, che riteneva la nomina del prelato da parte pontificia una inaccettabile intromissione del papato sulle vicende politiche della città e del Ducato.
A monte dell'intera vicenda c'era già un contrasto insanabile a causa della quasi secolare morosità dei Farnese verso la Camera Apostolica, contrasto che, proprio pochi anni prima - nel 1641 -, aveva portato alla nota guerra promossa da Urbano VIII (Maffeo Barberini).
Di questa città restano oggi solo i ruderi coperti da una fitta coltre di arbusti e cespugli. Nel corso di recenti scavi sono stati portati alla luce elementi di edifici pubblici e privati, alla cui realizzazione architettonica, tardo-rinascimentale, lavorò soprattutto Antonio da Sangallo, il giovane.
Proprio durante gli scavi sono -stati rinvenuti molti stemmi in travertino, tutti peraltro raffiguranti le insegne della famiglia Farnese e del Ducato con i sei gigli, mentre non risulta recuperato alcuno stemma della città.
 
  Benedetto Zucchi nell'inedita seconda versione della sua «Informazione...» sul Ducato di Castro, stesa nel 1638 e conservata presso la Biblioteca Vaticana scrive: «Castro... non si curò patir sacco, dishonori, e morte, per la Serenissima casa, che percio nel circolo del sigillo del fortissimo leone, arme della Communità di Castro, merito haverci impresso, circumcirca al detto sigillo, Castrum Civitas fidelis con li tre gilij azuri sopra il leone».
Il «sacco, dishonori, e morte» di cui parla lo Zucchi si riferiscono al saccheggio di Castro avvenuto nella notte del 28 Dicembre 1527 ad opera di alcune decine di soldati còrsi, agli ordini di Galeazzo Farnese, ai quali s'erano poi uniti gruppi di cittadini di Sorano, Pitigliano, Farnese, Tarquinia e Montalto di Castro. Anche questa volta si era giunti a un triste epilogo perché all'occupazione della città da parte di Pier Luigi Farnese, figlio del cardinale Alessandro che nel 1534 sarà eletto pontefice con il nome di Paolo III, s'era opposto Clemente VII (Giulio dé Medici) rifugiatosi ad Orvieto dopo il sacco di Roma.
  Di questi fatti ci fa una cronaca precisa e circostanziata Domenico Angeli nel suo «De depraedatione Castrensium, et suae patriae historia» stesa nel 1575. Lo stesso Angeli, Notaio in Castro, ci ha tramandato lo stemma della sua città nel volume manoscritto delle riforme di quella Comunità (1568-1583) allorché svolgeva la pubblica funzione di «scriba et cancellarius».
Pur se il disegno da lui realizzato non appare troppo ben riuscito a causa dell'inchiostro sparsosi sul foglio I del registro, lo stemma è chiaro e vi risulta rappresentato il leone ritto volto verso sinistra e sormontato dai tre gigli, così come descritto dallo Zucchi, a parte la mancanza, qui, del motto.
  È probabile che l'aggiunta dei gigli farnesiani e del motto alla raffigurazione del leone - elemento ben compatibile per una città di parte gue1fa - sia avvenuto dopo il 1537, allorché Paolo III costituì il ducato di Castro confermandone il dominio a P.Luigi Farnese e suoi discendenti.
La città di Castro andava fiera di appartenere e una famiglia che da «bicocca da Zingari» - come venne definita dal poeta Annibal Caro - l'aveva praticamente fatta risorgere e resa più bella e accogliente.
 

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Stemmi della famiglia Farnese e della città di Castro
( Archivio Storico Comunale di Valentano, registro Deliberazioni di Castro (1573-1595) f.1, vergato dal notaio Domenico Angeli "scriba et cancellarius" della Comunità
 


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