Uomini e donne di casa Farnese

Giulia "La Bella", la cortigiana pia


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di Giuseppe Moscatelli

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Parte Prima


Alla ricerca di un volto

Nessun personaggio femminile della stirpe Farnese ha mai suscitato tanto interesse e tanta ammirazione da parte di studiosi, scrittori o semplici lettori quanto Giulia, sorella di Paolo III e amante di Alessandro VI:  artefice, nell'opinione comune, delle  fortune del fratello e più in generale di quelle dell'intero casato. Certo, le donne presso i Farnese - al di là della loro funzione familiare di mogli e di madri - non hanno mai avuto un  ruolo o una considerazione particolari. E' pur vero che hanno dato un contributo rilevante   all'affermazione sociale  del casato, unendosi in matrimonio con i rampolli dell'aristocrazia italiana ed europea, e realizzando così una fitta rete di interessi e solidarietà parentali; ma si tratta pur sempre di un contributo "passivo", frutto di  una costante prevaricazione della loro volontà e della loro persona, e ottenuto attraverso matrimoni combinati fin dalla più tenera età.  Giulia, del resto, non ha avuto il destino tragico di sua sorella Girolama, calunniata ed assassinata per motivi di interesse dal figliastro Giovan Battista Orsini; né il destino glorioso di Elisabetta Farnese, regina di Spagna e genitrice di una stirpe reale. Nella biografia di Giulia non si rilevano episodi di particolare rilievo, a parte la lunga relazione con papa Rodrigo Borgia.

 
La sua vita, escludendo la permanenza a Roma e a Pesaro, si consumò tutta tra Capodimonte, dove nacque;  Bassanello (oggi Vasanello) dove seguì malvolentieri il marito Orsino Orsini; Gradoli, luogo di svago feriale; e Carbognano, il suo buen retiro: qui, abbandonata la corte papale, venne a vivere con il secondo marito, il gentiluomo Giovanni M. Capece, cortigiano di papa Borgia, e del quale pure rimase vedova, concludendo in solitudine la sua vita.

Ma allora, se questo è il personaggio, se questa è la sua vicenda umana, perché ancora oggi Giulia suscita tanto interesse, al punto che in questi ultimi anni sono usciti ben due libri dedicati interamente a lei?
La ragione è semplice: perché Giulia era bella, straordinariamente bella.  Chiunque la conoscesse ne restava incantato. La sua era una bellezza che non ammetteva repliche o condizioni; una bellezza persistente che non sfiorì con la prima giovinezza ma  accompagnò rigogliosa la sua maturità di donna. Una bellezza oggetto di invidia e gelosia, talvolta di maldicenza,  pur sempre di ammirazione.

Giulia era semplicemente la più bella.

Un destino bizzarro, o forse previdente,  ha però voluto che di lei non restasse una sola effigie. Non un dipinto, una miniatura, una scultura, un rilievo; non un ritratto; non una sola immagine che la raffiguri con certezza. Noi possiamo solo immaginare, fantasticare la sua bellezza; ma proprio per questo, forse, l'eco del suo fascino è giunta fino a noi.

Molti si sono affannati a ricercare il suo volto e hanno ritenuto di individuarlo nelle varie dame o vergini con liocorno che la pittura rinascimentale ci ha tramandato, da Raffaello a Perin del Vaga, da Domenichino a Luca Longhi; altri hanno creduto di ravvisarlo nella venere armata dipinta da Francesco Salviati nella sala dei fasti farnesiani di Palazzo Farnese a Roma o nello splendido profilo di donna inginocchiata nella Trasfigurazione di Raffaello; i più, conformemente ad una tradizione antica, vedono Giulia nella statua di donna con fascio littorio, allegoria della Giustizia, sdraiata ai piedi della statua di  Paolo III nel monumento funebre di quest'ultimo in Vaticano. Una autorevolissima  fonte storico-letteraria infine (vale a dire il Vasari nelle sue "Vite") identifica Giulia nella Madonna con Bambino dipinta dal Pinturicchio nella Sala dei Santi dell'appartamento Borgia in Vaticano.               

Quest'ultima ci sembra l'ipotesi più credibile, sia per l'attendibilità della fonte, sia per la plausibilità del fatto: Giulia era la favorita del committente (appunto papa Borgia) ed è verosimile che questi abbia voluto effigiarla nel suo appartamento. Tanto più che nella stesso è raffigurata anche Lucrezia Borgia, figlia di Alessandro VI,  e  grande amica di Giulia.

Vi è anche chi ritiene che la mancanza di immagini sia dovuta ad una sorta di "damnatio memoriae" a cui Giulia sarebbe stata sottoposta per volere di Paolo III e del cardinal Alessandro Farnese: al primo ricordava la causa non certo onorevole della sua investitura a cardinale;  al secondo appariva come un possibile ostacolo sulla strada delle  proprie ambizioni; avrebbero così fatto distruggere tutti i ritratti di Giulia, il cui solo ricordo era per entrambi fonte di imbarazzo.  

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Snella, slanciata, elegante, carnagione perlacea, occhi e capelli neri: così ci è stata tramandata l'immagine di Giulia Farnese.
 

(Modella: Daniela Crisostomi)

 

Nel talamo papale

Dunque Giulia era bella. Questo attributo, già a partire dai suoi contemporanei e fino ai giorni nostri, ha costantemente accompagnato la sua persona e il suo ricordo, fino a diventare parte integrante del suo nome.  Giulia Farnese per noi, per tutti, oggi come allora, è e sarà sempre "Giulia la Bella".

          Di questa fantastica bellezza a noi tuttavia sono pervenuti solo pochi e dispersi frammenti, sotto forma di parole, impressioni, giudizi: occasionali messaggi nella bottiglia che hanno attraversato l'oceano del tempo  per giungere fino a noi.

             Sappiamo dunque che i suoi occhi erano vivi e neri: di niger oculus parla infatti un corrispondente di Cesare Borgia  dalla corte di Pesaro, dove Giulia si trovava insieme a Lucrezia Borgia. Neri erano anche i suoi capelli e bellissimi a vedersi : "ha la più bella capigliatura che possa immaginarsi"  scrive Lorenzo Pucci, cognato di Giulia, in una lettera al fratello. La sua carnagione era chiara, dai toni perlacei. Le sue dame di corte riferirono che era solita dormire in lenzuola di seta nera per esaltare il suo incarnato pallido e lucente ed infiammare così la matura sensualità di papa Borgia. Il suo viso era rotondo, le sue gote imporporate prefiguravano il suo ardore ( quidam ardor, riferisce il corrispondente del Borgia). Di corporatura snella e slanciata, Giulia era "la più bella delle dame" (secondo il nostro). E ancora: "si è fatta bellissima cosa", ed anche "nulla di simile vidi mai" per concludere "pareva davvero un sole", scrive il cognato al colmo dell'ammirazione nella missiva citata. Da altre fonti sappiamo che brillava per "gratia" e "allegrezza", unendo così alla prestanza fisica un carattere piacevole e gioviale.


        Questa era Giulia. Una miscela esplosiva di freschezza, garbo e seduzione. 

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"Lenzuola di seta nera e corpo di madreperla"

 

Giulia Farnese nella nostra personale rielaborazione di un nudo di Modigliani

Dunque era bella.

         Ma la bellezza è una merce pregiata che può inebriare i suoi ammiratori, soprattutto quando non teme confronti e i suoi estimatori sono ricchi e potenti. E' un valore che va ben amministrato per trarne il massimo profitto.

         Ben lo sapevano Giovannella Caetani, madre di Giulia, e Adriana Mila, sua suocera: due comari di lungo corso, intriganti e prive di scrupoli. Pensarono bene che un simile tesoro non poteva appassire tra le mura di un castello e nell'intimità di un matrimonio virtuoso.

         Giulia, non ancora quindicenne, fu così offerta su un piatto d'argento al lussurioso Cardinal Rodrigo Borgia, che di anni ne aveva quasi sessanta: un muto patto scellerato dal quale tutti si riproponevano grandi benefici. Il cardinale poteva aggiungere una nuova perla, la più delicata e preziosa, alla sua già ricca collezione muliebre. Le due dame avrebbero usato l'ascendente di Giulia sul cardinale per ottenere onori e privilegi per i rispettivi figli Alessandro e Orsino. A Giulia, vittima consapevole e consenziente, restava almeno la "consolazione" di operare nell'interesse del casato e soprattutto dell'amatissimo fratello Alessandro, che grazie a lei otterrà la porpora cardinalizia, primo gradino per l'ascesa al soglio di Pietro. 

           Adriana Mila, suocera di Giulia, era cugina del Borgia e ben ne conosceva le inclinazioni: è anche da credere che questa non sia stata l'unica volta in cui gli ha fatto da ruffiana.

          Il Cardinal Borgia, che di lì a poco sarebbe diventato papa col nome di Alessandro VI, era - da parte sua- un autentico mandrillo: padre di almeno sette figli, avuti da donne diverse, aveva un impressionante numero di amanti. Fu senz'altro uno dei papi più corrotti della storia della Chiesa: nepotismo, lussuria, simonia e finanche omicidio e incesto, di tanto si fregia il suo curriculum di turpitudini (vere o presunte).

         Ebbene, è singolare notare come un tale uomo, per il quale il papato era più che altro il modo per poter esercitare impunemente un potere personale pressochè illimitato, abbia voluto tramandare di sé ai posteri un'immagine pia e compita, facendosi ritrarre dal Pinturicchio devotamente in preghiera, in ginocchio e a mani giunte, ai piedi di un Cristo risorto, seppur paludato in una pianeta incredibilmente ricca e sfarzosa che lo avvolge completamente, lasciando scoperti  solo il capo e le mani.

         Quella che, tuttavia, avrebbe dovuto essere una semplice storia di letto si trasformò imprevedibilmente per il vecchio papa in una incoercibile passione senile, devastante e ossessiva, la cui fiamma brillò lungamente, alimentata da un desiderio accecante e da una gelosia morbosa e a tratti delirante.

           Un uomo innamorato talvolta si rende patetico, altre volte ridicolo. Rodrigo, il feroce, risoluto, spregiudicato epigono della possente schiatta dei Borgia, ammorbato dalla passione per Giulia,  fu l'uno e l'altro. "Julia ingrata et perfida" scrive Alessandro VI alla sua amata, avendo saputo che "la Bella" non intende raggiungerlo se non con il consenso del marito Orsino (!), "…benché fin qui assai comprendessimo l'animo tuo cattivo et de chi te consiglia" prosegue il papa, alludendo alle due comari Giovannella e Adriana che con un ben dosato dai e prendi manovravano Giulia secondo i loro interessi, eccitando nel contempo la bramosia del Borgia, "… sub pena excomunicationis late sententie et maledictionis eterne te comandamo che non debi partir… ni manco andar a Bassanello per cose concernente lo stato nostro". Con una formula curiosa, che sembra tratta pari pari dal manuale di scongiuri di un mago da baraccone, in un latino maccheronico, fuso e contaminato con un italiano sgrammaticato, il pontefice arriva a minacciare la scomunica a Giulia se avesse osato raggiungere il marito!

           Analoga minaccia e identica formula di scomunica con in sovrappiù "…et confiscationis omnium bonorum vostrum", vale a dire la confisca di tutti i beni, per Adriana Mila: "finalmente el vostro cattivo animo et maligna havite scoperto…"  scrive il Borgia alla cugina, "rea" di voler riportare Giulia al figlio Orsino!

           Ce n'è anche per il cardinal Farnese al quale il papa rinfaccia subito "Domine cardinalis, sapite quanto habiamo fatto per voi…". Non solo, per venire senza equivoci al nocciolo della questione, nella stessa missiva il Borgia scrive al futuro papa Paolo III: "non se haveressimo mai persuaso che così presto ve ne dovevate escordare et preponere Ursino a noi…".

          Sproloqui di un uomo innamorato, appunto.

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Ritratto presunto di Giulia Farnese (dalla Trasfigurazione di Raffaello, 1520).

Tomba di Paolo III, presunta raffigurazione di Giulia

 
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Dama con liocorno (potrebbe essere Giulia, Raffaello 1505).
 
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Alessandro VI, fu a lungo amante di Giulia (Pinturicchio, 1495 )
 
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La Rocca di Capodimonte, qui Giulia Farnese nacque nel 1474 (1)

 
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Copertina del libro del Fornari
 
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Dama con liocorno, presunto ritratto di Giulia ( Luca Longhi, 1507- 1580)
 
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Lucrezia Borgia, grande amica di Giulia (Pinturicchio 1495 )
 
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Copertina del saggio dei coniugi La Bella
 
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La Rocca di Vasanello, qui Giulia visse con il marito Orsino Orsini (2)
 
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La rocca di Carbognano, qui visse Giulia con il suo secondo marito (1)
 
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Rocca di Carbognano, la finestra di Giulia.(2)
 
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Rocca di Carbognano, architrave con iscrizione Iulia Farnesia (2)
 
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Vergine con Liocorno, per alcuni Giulia Farnese (Domenichino, 1605)
 
 
 
 
 

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