Sono cosa nostra, i Farnese.
La famiglia che per oltre due secoli ha
recitato da protagonista sul palcoscenico della storia d'Italia,
imparentandosi con i più bei nomi dell'aristocrazia
e della nobiltà nazionale ed europea, ha avuto le sue origini, la sua
culla neonatale, nelle campagne tra Ischia e Farnese ; ha dispiegato le
sue prime fortune tra Latera, Valentano, Canino; ha visto crescere la sua
prosperità, la sua fama, il suo potere e la sua influenza affacciandosi
alle finestre delle sue residenze, maestose e imponenti, a Gradoli,
a Caprarola, a Capodimonte.
Brutta gente, i Farnese.
Soldataglia, mercenari, briganti.
Pronti ad offrire la propria spada e il proprio petto a servizio di questo
o quel signorotto, di questa o quella città, pur di riscuoterne il
prezzo. Violenti, attaccabrighe, arroganti. Disposti alla rissa,
all'oltraggio, al saccheggio.
Questa attitudine e inclinazione
guerresca fu un dato costante che accomunò le generazioni
Farnese sin dalle origini (che qualcuno fa risalire a prima
dell'anno mille) e le accompagnò fino alla
estinzione del casato, avvenuta nel 1731 con la morte di Antonio,
ottavo duca di Parma e Piacenza, l'ultimo Farnese.
Furono guerrieri, condottieri, capitani
di ventura: talvolta impegnati su fronti opposti, ma sempre con un forte,
preminente e radicato senso
di appartenenza familiare. Non è un caso se la loro onomastica vede il
susseguirsi, nei secoli, di una rete inestricabile di Pietro, Ranuccio,
Alessandro, Ottavio, Orazio. Non è un caso se i loro ecclesiastici, a
cominciare dal papa Paolo III, praticarono uno nepotismo sfrenato. Non è
un caso se le loro donne, a cominciare da Giulia "la bella", si
prestarono a sacrificare la loro volontà e, talvolta, la loro dignità
sull'altare dell'ascesa del casato.
Intanto, però, dalle native campagne
della Tuscia si erano trasferiti, per seguire la vocazione militare, in
quel di Orvieto. Qui, intorno al 1100,
troviamo Pietro (Petrus Farneto), capitano di ventura e fondatore di Orbetello, che
viene dai più considerato il capostipite della dinastia.
Il richiamo del
natio borgo selvaggio, tuttavia,
non doveva essersi spento, se nel 1368 ritroviamo i nostri ben insediati
nella signoria di Valentano, concessa loro da Urbano V per servizi di
guerra.
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