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Ritorno a Castro

In occasione del pellegrinaggio annuale al Santuario del S.S. Crocifisso di Castro facciamo il punto sullo stato di conservazione dei resti dell’antica città

 

 

 

di Giuseppe Moscatelli

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Anche quest’anno nella notte tra il sabato e la prima domenica di giugno non abbiamo voluto rinunciare al pellegrinaggio annuale al Santuario del S.S. Crocifisso di Castro, itinerario di fede che per noi che viviamo nei territori castrensi si arricchisce di molteplici suggestioni storiche e antropologiche.

Partiti all’una di notte abbiamo percorso a piedi i 25 km del tragitto in una bella notte stellata incontrandoci all’alba (è quasi una tradizione) sulla dirittura di arrivo con il gruppo di Canino, quest’anno un pò meno folto del solito. Abbiamo così partecipato alla messa delle 7 in una chiesa gremitissima di pellegrini e devoti.

Dopo la messa ci è sembrata doverosa una visita ai resti dell’antica città, anche per verificarne lo stato di conservazione e tutela. Ci siamo così inoltrati nel bosco per raggiungere il sito. Intanto nei pressi del Santuario un cartello segnala la direzione da seguire, anche se il testo può essere fuorviante: si parla di “antica città di Castro” e non di resti o ruderi...con il rischio di suscitare nel visitatore occasionale (e ne abbiamo incontrati diversi) aspettative che andranno inevitabilmente deluse.

Un altro cartello ci avverte che nell’area è in corso un “progetto pilota recupero e valorizzazione” a cura dell’Amministrazione Provinciale di Viterbo, il che ci fa ben sperare anche perché abbiamo saputo che tutta l’area di riferimento è stata acquistata dal comune di Ischia di Castro ed è quindi ora di proprietà pubblica. In effetti l’accesso al viottolo che conduce al sito è ora ben più agevole che in passato, visto che è stata realizzata una scala sufficientemente comoda per superare il dislivello esistente.

Una prima sorpresa ci accoglie però all’inizio del sentiero di accesso: un cancello chiuso con una catena sbarra l’ingresso, e non si capisce perché, visto che il sito è indicato da un segnale turistico. Poco male, perché, come sempre avviene in questi casi, ci adattiamo ad entrare da un varco attiguo al cancello ottenuto con l’abbattimento parziale della rete.

Arrivati sui luoghi non si sfugge ad un senso di desolante abbandono. I ruderi della Chiesa di San Savino sono quasi avvolti dalla vegetazione e sulle antiche pietre cresce copioso il muschio che ne rende problematica la lettura. Il sito principale, Piazza Maggiore, ha perso in parte quel fascino che tante suggestioni ci aveva evocato in una precedente visita; per i ruderi vale quanto detto per la chiesa di San Savino, ma ancor più precaria è la conservazione della bella pavimentazione di mattoncini in cotto disposti a spina di pesce: in parte sgretolata, in parte attaccata da muschio e infestanti.

Vorremo anche visitare l’emergenza forse più cospicua del sito, vale a dire i ruderi della chiesa di S. Maria intus civitatem, di cui si è conservata parte dell’abside con iscrizioni e affreschi, ma un cartello con scritto che la visita non è possibile in quanto sono in corso dei lavori di recupero ce lo sconsiglia.  Una sola considerazione: quel cartello c’era già due anni fa, solo un pò meno consunto.

 
Il cartello che indica la direzione da seguire e quello che annuncia i lavori di recupero
Il cancello sbarrato con una catena e, a sinistra, il varco che consente l'accesso
 
I resti della chiesa di San Savino
 
La pavimentazione di Piazza Maggiore
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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