Anche quest’anno nella notte tra il
sabato e la prima domenica di giugno non abbiamo voluto
rinunciare al pellegrinaggio annuale al Santuario del
S.S. Crocifisso di Castro, itinerario di fede che per
noi che viviamo nei territori castrensi si arricchisce
di molteplici suggestioni storiche e antropologiche.
Partiti all’una di notte abbiamo percorso
a piedi i 25 km del tragitto in una bella notte stellata
incontrandoci all’alba (è quasi una tradizione) sulla
dirittura di arrivo con il gruppo di Canino, quest’anno
un pò meno folto del solito. Abbiamo così partecipato
alla messa delle 7 in una chiesa gremitissima di
pellegrini e devoti.
Dopo la messa ci è sembrata doverosa una
visita ai resti dell’antica città, anche per verificarne
lo stato di conservazione e tutela. Ci siamo così
inoltrati nel bosco per raggiungere il sito. Intanto nei
pressi del Santuario un cartello segnala la direzione da
seguire, anche se il testo può essere fuorviante: si
parla di “antica città di Castro” e non di resti o
ruderi...con il rischio di suscitare nel visitatore
occasionale (e ne abbiamo incontrati diversi)
aspettative che andranno inevitabilmente deluse.
Un altro cartello ci avverte che
nell’area è in corso un “progetto pilota recupero e
valorizzazione” a cura dell’Amministrazione Provinciale
di Viterbo, il che ci fa ben sperare anche perché
abbiamo saputo che tutta l’area di riferimento è stata
acquistata dal comune di Ischia di Castro ed è quindi
ora di proprietà pubblica. In effetti l’accesso al
viottolo che conduce al sito è ora ben più agevole che
in passato, visto che è stata realizzata una scala
sufficientemente comoda per superare il dislivello
esistente.
Una prima sorpresa ci accoglie però
all’inizio del sentiero di accesso: un cancello chiuso
con una catena sbarra l’ingresso, e non si capisce
perché, visto che il sito è indicato da un segnale
turistico. Poco male, perché, come sempre avviene in
questi casi, ci adattiamo ad entrare da un varco attiguo
al cancello ottenuto con l’abbattimento parziale della
rete.
Arrivati sui luoghi non si sfugge ad un
senso di desolante abbandono. I ruderi della Chiesa di
San Savino sono quasi avvolti dalla vegetazione e sulle
antiche pietre cresce copioso il muschio che ne rende
problematica la lettura. Il sito principale, Piazza
Maggiore, ha perso in parte quel fascino che tante
suggestioni ci aveva evocato in una precedente visita;
per i ruderi vale quanto detto per la chiesa di San
Savino, ma ancor più precaria è la conservazione della
bella pavimentazione di mattoncini in cotto disposti a
spina di pesce: in parte sgretolata, in parte attaccata
da muschio e infestanti.
Vorremo anche visitare l’emergenza forse
più cospicua del sito, vale a dire i ruderi della chiesa
di S. Maria intus civitatem, di cui si è conservata
parte dell’abside con iscrizioni e affreschi, ma un
cartello con scritto che la visita non è possibile in
quanto sono in corso dei lavori di recupero ce lo
sconsiglia. Una sola considerazione: quel cartello
c’era già due anni fa, solo un pò meno consunto. |
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Il cartello che indica la direzione da seguire e quello che
annuncia i lavori di recupero |
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Il cancello sbarrato con una catena e, a
sinistra, il varco che consente l'accesso |
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I resti della chiesa di San Savino |
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La pavimentazione di Piazza Maggiore |
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