Non si deve comunque pensare ai Farnese come padroni amorevoli e ben
disposti verso i propri sudditi. Spesso si è tentato di presentare i
componenti di questa famiglia in un alone oleografico di bontà e
buon governo. Pur con le dovute eccezioni i Farnese ebbero sempre
l’animo dei «padroni» cui tutto era consentito e a cui tutto
spettava.
Un avvenimento particolarmente grave si dovette registrare nel
luglio 1395. Gli abitanti di Ischia insorsero contro la prepotenza
farnesiana e uccisero Angelo, Francesco e Puccio. Bartolomeo, loro
fratello, e il nipote Ranuccio, fatti prigionieri, vennero gettati
in un pozzo granario e solo l’intervento di Nicolò e Pier Bertoldo,
allora a Montalto, con alcuni signori della Cervara, ne consentirono
la liberazione.
«E tutte queste cose -scrive Francesco Montemarte nella sua
Cronaca-
accaddero per
molte sconvenienze, che facevano (i Farnese) agli Huomini loro, di
battergli, e di toglierli il loro, ma in specialità delle Femmine
loro».
Il Quattrocento doveva comunque registrare in ampliamento del potere
farnesiano, cosicché le aree della loro influenza si estesero sempre
più sino a comprendere la sponda occidentale del lago di Bolsena, le
due isole Bisentina e Martana, l’ampia fascia compresa fra i Colli
Vulsini e il mare fino a Montalto.
Fu Ranuccio Farnese, sposo di Agnese Monaldeschi, ad emergere in
questo periodo ed è lui che rafforza la potenza della famiglia con
la partecipazione a numerose e vincenti battaglie fatte a servizio
della Chiesa e di città importanti come Siena e Firenze.
Certamente in Ranuccio crebbe, sempre più vivo, un affetto
sviscerato per le sue terre e la sua gente tanto da essere
considerato il capostipite dei Farnese nel territorio lacuale. Nella
quiete dell’isola Bisentina, all’interno della chiesa di 5. Giovanni
Battista, volle far erigere un sepolcro per sé e per i suoi.
Oggi l’originario tempio non esiste più ma il monumento funebre,
datato 20 maggio 1449, appare ricollocato nella cinquecentesca
Chiesa, dedicata ai Santi Giacomo Apostolo e Cristoforo Martire.
Ranuccio concluderà la sua vicenda terrena il 10 agosto 1450. Il suo
testamento dettato appena qualche mese prima, conferma la volontà di
essere sepolto in questo sepolcro e ricorda le comunità a lui più
care come Ischia, Valentano, Farnese, Latera e Cellere.
Nello stesso documento, ed è la prima testimonianza, è ricordato
anche il palazzo di Viterbo da lui costruito in contrada «Pontis S.
Laurentii», l’odierno Ospedale. Ancora oggi il monumento malgrado le
diverse destinazioni cui è stato soggetto in tanti secoli, appare in
tutta la sua magnificenza tanto da costituire «un’altra tra le
opere più significative del nuovo corso della politica farnesiana,
del distacco della regione orvietana, della discesa verso Roma».
Che Roma e la corte papale, in particolare fossero nelle mire dei
Farnese non è certo cosa nuova ed è in questa direzione che questi
Signori si adoperavano nella ricordata politica dei matrimoni per
affermarsi, sempre più, nell’ambiente nobiliare romano.
Il matrimonio di Pier Luigi, Seniore, figlio di Ranuccio, con
Giovannella di Onorato Caetani, signori di Sermoneta, costituì un
evento esaltante. A questa «gran dama», di famiglia papale,
«fortunata ed abile», sono ascritti i destini dei figli Giulia, «la
bella» e, soprattutto di Alessandro, le cui tappe di avvicinamento
alla porpora cardinalizia prima, e alla tiara pontificia poi,
costituiranno le pietre miliari della sempre più smagliante
«avventura farnesiana».
L’ascesa di una famiglia nell’ambito delle corti italiane del
Rinascimento suscitava invidie, gelosie e maldicenze. Figuriamoci
poi se questo av
veniva a Roma e, soprattutto, quando ad emergere erano i componenti
di una famiglia, i Farnese la cui nobiltà «campagnola» e
«provinciale» si era attestata nell’Alto Lazio, in alcuni «castellacci»
ove, se non altro, «si viveva quietamente, con rusticana
parsimonia».
La ricordata unione fra Pier Luigi, il Seniore, con Giovannella
Caetani aveva rappresentato, per il Farnese, il momento culminante
per imparentarsi non solo con una discendente di Bonifacio VIII ma,
praticamente, con molte famiglie dell’aristocrazia romana.
(1) Foto G.Mazzuoli (2) Dal libro Giulia
Farnese, una donna schiava della propria bellezza di Carlo Fornari, 1995, Silva
Editore
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