L’accusa di nepotismo
macchiò, in modo evidente, l’operato di papa Farnese. All’indomani
della sua elezione aveva nominato cardinali i giovanissimi nipoti
Alessandro, figlio di Pier Luigi, e Guidascanio Sforza, figlio di
Costanza. Ma il suo cruccio maggiore era costituito dal figlio
prediletto, Pier Luigi, signore di molte terre nel Viterbese, andato
in sposo a Gerolama Orsini di Pitigliano nel 1519.
L’aveva dapprima nominato
Gonfaloniere di Santa Romana Chiesa e, quindi, nel 1537 insignito
del titolo di Duca di Castro che gli conferiva il pieno possesso e
il dominio degli antichi possedimenti compresi fra il mare e il lago
di Bolsena (Castro, Montalto, Musignano, Ponte della Badia, Canino,
Cellere, Pianiano, Arlena, Tessennano, Piansano, Valentano, Ischia,
Gradoli, Grotte, Borghetto, Bisenzio, Capodimonte, Marta, le Isole
Bisentina e Martana) e della Contea di Ronciglione (Ronciglione
stesso, Caprarola, Nepi, Carbognano, Fabrica di Roma, Canepina,
Vallerano, Vignanello, Corchiano, Castel S. Elia).
Castro, antica sede vescovile, sperduta nella Maremma, venne
prescelta quale città capitale del Ducato e, in breve tempo, divenne
un immenso cantiere per la sua trasformazione urbanistica. Quella
città che era apparsa ad Annibal Caro, nel 1532, una «bicocca da
zingari», dopo appena sei anni dalla costituzione del Ducato
(1543) appare rinata e piena di «magnificenza».
Eppure, nel 1527, Castro aveva subito un saccheggio spaventoso con
la morte di tanti cittadini innocenti. Tutto questo perché
Alessandro Farnese aveva fatto occupare la città causando la
reazione di Clemente VII e l’intervento di un altro Farnese,
Galeazzo, per il suo recupero. E’ questa una pagina tristissima
della storia di Castro. Il notaio Domenico Angeli ha lasciato pagine
intensissime e sofferte di questo avvenimento:
«Chi potrebbe ridire il
massacro di quella notte e i lutti del giorno imminente?... Chi
potrebbe contare le ferite inferte, le stragi, gli adulteri, gli
stupri, le rapine e gli inauditi delitti commessi con grandissima
ferocia dagli assalitori? Per le vie si udivano voci, pianti, grida;
salivano al cielo gli incredibili lamenti di tutti: i figli
piangevano la morte crudele dei genitori, i genitori quella immatura
dei figli». Castro ricambiò la scelta farnesiana collocando sul
proprio stemma, costituito da un leone rampante, tre gigli azzurri e
il motto «Castrum Civitas Fidelis».
VERSO PARMA: TRAGEDIA DI PIER
LUIGI
E «GLORIA» PER I FARNESE |
I Farnese tentarono di
ripetere a Castro, con un esteso impegno urbanistico-edilizio di cui
fu artefice soprattutto Antonio da Sangallo il Giovane, quel
miracolo architettonico riuscito a Pio II Piccolomini a Pienza ma,
nel 1545, dal cilindro papale uscì un nuovo e imprevedibile «gioco
di prestigio». Venne creato il Ducato di Parma e Piacenza. Castro,
praticamente, venne abbandonata e Pier Luigi si precipitò nelle
città padane
-già comunque da lui frequentate in precedenza- certamente più
consone a far assurgere la casa Farnese a «onori sublimi di
principato». Si poteva dire, a questo punto, che fossero
esaudite tutte le aspirazioni di Paolo III e di Pier Luigi, ma non
tutto andò secondo i progetti.
Pier Luigi, «cattivo come
uomo e pessimo come principe», -questa valutazione negativa sarà
in parte rivista dagli storici, specialmente per la sua
opera politica- non venne accettato dai nuovi sudditi benché dopo il
suo arrivo nelle città padane avesse iniziato ad operare con una
seria programmazione nell’organizzazione del Ducato sia in termini
sociali che economici con interventi in materia di giustizia,
urbanistica e nel settore agrario.
Una politica tesa a portare dalla sua parte il popolo nell’evidente
scontro con la nobiltà locale che vedeva sempre più ridotta la
propria sfera di comando.
In
questo clima, pur operoso, maturò la congiura di Piacenza conclusasi
il 10 settembre 1547 con l’assassinio di Pier Luigi per mano di un
manipolo di uomini sotto la guida di Giovanni Anguissola. La
tragedia si compì con lo scempio del cadavere sgozzato del Farnese,
gettato nel fossato sottostante al Palazzo.
La
vedova, Duchessa Gerolama, un anno dopo faceva riesumare il
cadavere del marito, lo faceva trasportare a Parma, ove furono
celebrate solenni onoranze funebri e quindi ne curava il
trasferimento presso l’Isola Bisentina e per inumarlo nell’antico
sepolcro di famiglia.
La
notizia della tragica fine di Pier Luigi fu, per il Papa, un colpo
terribile, anche perché si accendeva una seria disputa con Carlo V
circa il dominio su Parma e Piacenza.
Dominio prontamente ribadito dal Duca Ottavio che, insediatosi a
Parma, vi volle restare ad ogni costo.
Il 10 novembre 1549 Paolo III moriva nel Palazzo del Quirinale,
stroncato da una febbre maligna. Lo assisteva il nipote, card.
Alessandro, colui che avrebbe rappresentato, per un altro
cinquantennio, la munificenza della «schiatta farnesiana».
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