L'accusa di nepotismo mossa a Paolo
III fu, senza dubbio, quella che incise maggiormente sul giudizio dei suoi
contemporanei e questo, lo si è visto, perché il Farnese concesse privilegi e
prebende ai suoi discendenti, conferendo loro, nel 1537, addirittura una grossa
fetta dello Stato della Chiesa, con l'istituzione del Ducato di Castro e della
Contea di Ronciglione.
Un territorio, questo, vasto e
fertile tanto da essere chiamato il "granaio di Roma", era di una notevole
importanza politica e strategica. Basti pensare che le due principali arterie di
collegamento da e per Roma (la Cassia nell'attraversamento di Ronciglione e l'Aurelia
nell'attraversamento di Montalto) erano soggette al controllo
dell'amministrazione Farnese.
Si può così comprendere come i
Farnese, specialmente dopo la scomparsa del "loro" pontefice, fossero
particolarmente invisi a molte casate nobiliari italiane, anche per aver
ottenuto l'altro importante ducato di Parma e Piacenza e come a Roma mal si
digerisse uno stato autonomo all'interno dello stesso Stato ecclesiastico, come
in fondo era il ducato castrense una vera e propria spina nel fianco del papato.
Ogni pretesto era buono per contrastare i Farnese, tra l'altro ormai quasi
stabilmente trasferitisi nella più gratificante sede del ducato parmense.
Si ripercorrono brevemente,
attraverso l'indicazione dei Duchi succedutisi a Castro, i poco più di cento
anni di vita del possesso farnesiano dopo Pier Luigi (1537-1545), anche perché
degli stessi si parlerà più diffusamente nell' illustrazione delle vicende
parmensi.
1545-1547: Ottavio, figlio di Pier Luigi, sposo di Margherita d'Austria, figlia
naturale di Carlo V. Duca di Parma alla morte del padre.
1547-1553: Orazio fratello di Ottavio, sposo di Diana di Francia, figlia li
Enrico II
1553-1586: ancora Ottavio, essendo morto Orazio senza prole. Sotto di lui
vennero emanati gli Statuti ducali.
1586-1592 Alessandro, figlio di Ottavio, sposo di Maria di Braganza del
Portogallo. E' capitano nella battaglia di Lepanto e Governatore dei Paesi
Bassi.
1592-1622: Ranuccio, figlio di Alessandro. Sposo di Margherita Aldobrandini. E'
contemporaneamente Duca di Parma e Piacenza. Durante il trentennio del suo
dominio non degnò Castro neppure con una breve visita.
1622-1646: Odoardo, figlio di Ranuccio, sposo di Margherita de' Medici, sorella
del Duca Ferdinando II. Si scontrò con Urbano VIII e i Barberini nella "prima
Guerra di Castro" conclusasi con la pace di Venezia del 1644.
1646-1649: Ranuccio, figlio di Odoardo succede al padre appena sedicenne. Sarà
lui l'ultimo duca di Castro.
"3 dicembre. Fu dato avviso dallo Spinola a Nostro Signore
(Innocenzo X) della compita demolizione di Castro". Con queste due righe
sibilline un anonimo cronista del 1649 chiudeva il "Giornale dell'assedio e
successiva presa e demolizione di Castro" dopo aver annotato, giorno dopo
giorno, le fasi e gli avvenimenti legati alla fine della città capitale del
Ducato.
Mons. Giulio Spinola, Governatore di
Viterbo e Rettore del Patrimonio di S.Pietro in Tuscia, aveva ricevuto da
Innocenzo X Pamphili un ordine poco gradevole: quello di muovere guerra a
Castro, con l'esercito pontificio posto sotto il Comando di Davide Vidman, di
assediare la città e di raderla al suolo. Il pretesto finale per questa
decisione era nato il precedente 18 marzo allorché, lungo la strada Cassia, nei
paesi di Monterosi, due sicari (poi conosciuti come Domenico Cocchi di Valentano
e Ranuccio Zambrini di Gradoli) avevano assaltato la lettiga con cui il padre
Barnabita Cristoforo Giarda -nominato vescovo di Castro contro il volere
farnesiano- si stava recando a prendere possesso della diocesi assegnatagli. Il
vescovo, ferito dai colpi di due terzarole, morì il giorno seguente e la
sconvolgente notizia aveva messo a rumore il Vaticano.
Innocenzo X, dopo aver emesso la
scomunica contro mandanti ed esecutori dell'efferato delitto, individuò nella
persona di Ranuccio Farnese il responsabile dell'attentato.
L'occupazione dello Stato di Castro fu il primo provvedimento adottato. Era
questa la tanto ricercata occasione per togliere ai Farnese quel Ducato che
aveva creato, con la Chiesa di Roma, non pochi problemi di vicinato anche perché
i Farnese, con l'arroganza dei potenti che non pagano mai direttamente le
proprie colpe, non s'erano fatti certo scrupolo di abbandonare il Ducato di
Castro e ritirarsi nella lontana e più sicura residenza di Parma, utilizzando
anzi le rendite delle terre laziali per garantire gli enormi prestiti contratti
con la creazione di cosiddetti "Monti Farnesiani" che all'epoca di Urbano VIII
Barberini, 1641-1644, avevano causato la "prima guerra di Castro" proprio per il
mancato pagamento delle rate dei debiti da parte farnesiana.
Il triste epilogo di Castro ancora
oggi è un fatto incomprensibile. Come potevano pagare cittadini innocenti le
colpe dei Farnese? Sul comportamento di questi si possono avanzare molte riserve
e gli storici non sono stati certo benevoli nei loro confronti, ma non meno
discutibile appare l'intervento di Innocenzo X che, tra l'altro, in pieno
disprezzo dei patti di resa sottoscritti il 2 settembre 1649 fra Sansone
Asinelli, comandante il presidio di Castro, e il comandante Davide Vidman, di
parte pontificia, disponeva non solo per la prevista demolizione delle
fortificazioni della città ducale, ma addirittura dell'intero abitato, senza
risparmiare nemmeno le numerose chiese, i conventi e i monasteri.
Molte delle responsabilità di questo
tragico "finale" sono attribuite a Donna Olimpia Maidalchini, cognata di
Innocenzo X, da molti ritenuta, forse non a torto, la vera ispiratrice della
grave decisione pontificia.
Colei che venne conosciuta anche come
la "Pimpaccia di Piazza Navona" e definita "Cardinal Padrone", trovò in Pasquino
il pane per i suoi denti:
"Chi dice donna dice danno, / Chi dice femina dice malanno, / Chi dice
Olimpia Maidalchina / Dice danno, malanno, peste e ruina".
Vuole la tradizione che sulle rovine di Castro fosse sparso del
sale e innalzata una colonna infamante con su scritto: "Qui fu Castro". Con la
città di Maremma scomparivano da queste terre anche i Farnese benché dalla
lontana Parma continuassero ad avanzare continue, quanto inutili, pretese di
ritornare in possesso delle terre ducali.
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