VISSI D’ARTE, VISSI D’AMORE

ELENA BALESTRELLI

100 anni dalla nascita di un’attrice e di una grande donna


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di Mauro Ballerini

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Elena Balestrelli, foto ritratto 1938 (Collezione privata M. Ballerini)


 

il coraggio di venire al mondo

Quando ciascuno di noi viene al mondo, è solo grazie al coraggio e all’illusione di qualcuno che spera per noi una vita più felice di quanto la vita non possa poi davvero realizzare. Ogni nascita è figlia di quest’umana – e ingenua – speranza che immagina il futuro sempre migliore del presente e la vita altrui sempre più bella della propria.

20 gennaio 1912. “Venite qua Oreste, Alvaro, venite a vedere. È nata la vostra sorellina. Date un bacio a vostra madre. Sù, forza!” L’emozione del signor Vezio trapela da queste frasi fin troppo sdolcinate sulla sua bocca di uomo di fatica. Tra le braccia stringe il corpicino della sua neonata. “Com’è diversa dai due maschi!” pensa tra sé. Mentre trema dal freddo, sembra già implorare la protezione di un uomo. Lo fissa e, con un lieve tremolio del labbro inferiore, bagna di lacrime il suo vestitino bianco. Che strano! Ai maschi il signor Vezio aveva sculacciato il culo al loro primo pianto. Ma questa volta no: nascosto dietro una tenda spessa, cerca di consolare con carezze lievi il dolore della sua bambina. In fretta ne decide il nome: si sarebbe chiamata Elena, come sua nonna, come la più bella di tutte le donne greche. “Elena… –rimugina tra sé – Sì, suona proprio bene!”

Intanto, con una frenesia inconsueta, continua a scorrazzare su e giù per la stanza. I due bambini si sono addormentati sul pavimento e il camino sta lentamente per spegnersi. Ma il signor Vezio non sembra proprio trovar pace: “Guarda, Ersilia, guarda quant’è bella!” dice alla moglie esausta. “Questa bambina sarà la nostra fortuna, me lo sento. Chi è bello è un benedetto dal Signore”. Poi si siede vicino al tepore del fuoco e, trattenendo il respiro, bisbiglia all’orecchio della sua creatura: “Sei tutta tuo padre, già lo vedo. Hai gli occhi furbi dei Balestrelli”. Un ultimo sussurro e anche il fuoco si smorza. Il padre e la bambina dormono l’uno accanto all’altra la loro prima notte insieme.

Il signor Vezio è un uomo di fatica, senz’istruzione, che si è fatto da solo e che da solo si è costruito un piccolo impero. È un capomastro muratore, uomo benestante, dal cervello bizzarro, un po’ visionario, un po’ goliardico, capace di trasformare anche le situazioni più drammatiche in una sonora risata. La moglie al contrario è una donna austera, rigorosa, senza orpelli, dal sorriso raro, con quella concretezza tipica di chi ha sofferto e si è dovuto arrangiare. Una mamma severa, Ersilia, con i figli maschi così come con le femmine: quando s’arrabbia, serra tutte le finestre di casa e minaccia di impiccarli se non si comportano bene.

Per la forza misteriosa e ineludibile del sangue, Elena eredita la simpatica follia del padre e il temperamento guerriero della madre.

Grazie alla viva intelligenza dimostrata fin da piccola, Elena viene mandata a scuola fino alla sesta elementare, dopodiché Vezio ed Ersilia iniziano a pensare ad una prosecuzione dei suoi studi, per farla divenire maestra, titolo a quest’epoca onorifico e riservato solo a poche ragazze d’agiata condizione.

Ma il paese non offre la possibilità di proseguire negli studi: chi vuole farsi un’istruzione deve andar via, in un collegio di città. È ora che il signor Vezio, prima di prendere qualunque decisione, crede giusto consultare la maestra. Con suo grande stupore, sarà proprio lei a dissuaderlo da tale scelta: essere maestra comportava infatti il rischio di cadere nelle mani di uomini sfaccendati e parassiti. Ed è proprio grazie a questo suo premuroso e cauto consiglio, che la giovane maestra diviene, a sua insaputa, una delle massime fautrici del capriccioso destino di Elena: molte delle vicende successive, infatti, difficilmente sarebbero potute accadere se la bambina fosse entrata dodicenne in un collegio di città.

Ma la vita sembra riservare a tutti noi un tragitto ben preciso e quello di Elena non poteva certo conciliarsi con il moralismo angusto di una “sana” vita borghese, impaurita ed ipocrita. L’animo libero di Elena richiedeva ben altro e la sua spregiudicatezza doveva dare ben altri frutti. E tutto questo – non so come, non so perché – il destino sembrava saperlo.

Ma anche la normalità è un mostro assai tenace: nel giro di poco tempo eccola tornare con una seconda tentazione. La nostra giovane viene infatti mandata a Roma ad imparare l’arte del ricamo, sebbene questa sia l’ultima delle sue aspirazioni. Quei mesi lontano da casa passano veloci e presto Elena è costretta a tornare al paese dove ritrova le amiche di sempre con le quali è cresciuta. È con loro che ora passa controvoglia le sue giornate, cercando di ricreare negli angusti spazi del paese le esotiche atmosfere della Capitale. Per vincere la noia, decide di allestire improvvisati palcoscenici, rifiniti con stoffe rimediate qua e là. Li ha visti tanti, a Roma, di palcoscenici e le sono piaciuti più d’ogni altra cosa. Recitare la entusiasma e così non perde occasione per esibirsi di fronte a qualsiasi pubblico, sia esso quello delle coetanee o quello dei passanti.

Non c’è dubbio: tra le sue amiche Elena è la leader e, sulla scena, è sempre lei la protagonista. L’espressività dei suoi occhi profondi e il suo inconfondibile sorriso sono ingredienti indispensabili per fare di lei una piccola commediante. Il padre, osservandola da lontano, sorride sotto i baffi: lo emoziona immaginare sua figlia come una novella Duse. A dire il vero lui non l’ha mai vista questa famosa Duse, ma ha sentito dire che è stata la donna più bella del mondo, la più corteggiata. Cosa manca a sua figlia per essere come lei? Tranne forse un po’ di fortuna, ha tutto quel che serve per farcela. Ha la grinta dei Balestrelli, la loro furbizia e persino un nome assonante a quello della grande diva. Non sono forse elementi sufficienti? Ma sì! Ce la farà.

 

il coraggio di volare

Aprile, 1927. Qualcosa di completamente inaspettato sta per sconvolgere la vita di Elena. Questo qualcosa ha eccezionalmente un nome: si chiama Raoul Nevastri (in arte Nistri) ed è un giovane di ventidue anni dall’aspetto gradevole e cittadino. È biondo, slanciato, con i lineamenti del viso morbidi e regolari. La prima impressione che suscita è quella di distinguersi nettamente dai giovani che si vedono in paese. Si muove con grazia, quasi come se avesse studiato ogni suo atteggiamento. E il motivo di tanta raffinatezza è presto detto: il ragazzo fa parte di una compagnia teatrale creata e gestita dai suoi genitori. È insomma un “figlio d’arte”: attore figlio d’attori. È sua madre la depositaria di tale eredità artistica: la sua famiglia si dice che calchi le scene già da molte generazioni e che possa vantare importanti personaggi all’interno della scena nazionale.

Nel paese la notizia del loro arrivo passa veloce da una porta all’altra, accresciuta  di volta in volta dalla fantasia dei più vecchi e ascoltata avidamente dalle orecchie dei più giovani. Si raccontano storie mirabolanti sul conto dei nuovi arrivati: storie di tradimenti, di figli illegittimi, di tragiche morti, persino di incesti. Ai piccoli e mori maremmani i Nistri appaiono come gente scesa dal nord, giganteschi nella statura e platinati sui capelli. La loro pelle è stranamente bianca, molto dissimile da quella increspata dei contadini imbruniti dal sole. Anche la loro lingua, priva di qualunque inflessione dialettale e di qualsivoglia detrito regionale, suona strana alle orecchie dei rozzi mancianesi. “Da dove verranno mai? – ci si domanda al paese – Forse da Parigi.  Ho sentito dire che ‘sta gente si trucca e si profuma. Cose da pazzi!”

Ma poi ogni sera, anche i più accaniti denigratori si ritrovano sotto il palcoscenico ad ammirare estasiati quegli strani esseri umani che inscenano drammi e tragedie ambientate in epoche remote, con intrecci inestricabili, suscitando ad ogni spettacolo emozioni nuove e trasportando la fantasia degli spettatori verso “luoghi” ed atmosfere fiabesche. Di sera in sera la Compagnia Nistri, con una maestria oggi impensabile, inscena opere sempre diverse: La cena delle Beffe, Pia de’ Tolomei, La Maestrina, La Nemica, L’Ombra, Otello, Amleto, La figlia di Jorio, La fiaccola sotto il moggio, La Tosca, La Fedora, Il Cardinale, Il padrone delle ferriere...

Non passa sera, non c’è spettacolo, che tra il pubblico non compaia anche lei: Elena. Quando non può pagare il biglietto, spia da dietro le quinte quanto avviene in scena e in quel momento i suoi sogni si confondono con la realtà. Che emozione deve essere stata per lei vedere attori veri che recitavano veri copioni di fronte ad un vero pubblico! Nella sua immaginazione se li era disegnati proprio così gli attori: tanto diversi dalla realtà comune da incutere quasi soggezione e timore.

“Non potrò mai essere una di loro”, pensa delusa tra sé.

Compagnia drammatica Arturo Nistri, locandina teatrale, Manciano 1927, (Collezione privata M. Ballerini)

 

Compagnia drammatica Arturo Nistri, l'unica locandina in cui il nome di Elena Balestrelli compare tra gli interpreti nel ruolo di "Gina" (Collezione privata M. Ballerini)

 

Ma neppure la sua presenza sembra essere passata inosservata. Raoul l’ha notata fin dalla prima sera e subito ha sentito che quella sarebbe potuta essere la sua grande occasione. L’adolescente dai capelli neri e gli occhi verdi inizia ad abitare le sue notti. Convince il fratello Manlio a scriverle una lettera d’amore dai toni quanto mai romantici e lusinghieri. L’ego di Elena esplode di gioia: l’attore l’aveva notata e… immediatamente amata. La prova? Quella lettera così unica, così poetica (che in realtà altro non era che una lettera copiata dal “Segretario Galante”). Chi altri l’avrebbe mai potuta ricevere? Non certo sua sorella, non certo le sue amiche. Lei, lei sola, poteva esserne l’ispiratrice.

E così, per una strana beffa del destino, Elena s’innamora di un giovane grazie ad una lettera che lui non ha mai scritto, di un attore che nella vita tutto avrebbe voluto fare tranne che recitare. S’innamora di un uomo che non conosce.

Dopo soli cinque mesi la Compagnia Nistri ritorna a Manciano (per la festa del Santissimo Crocifisso) e Raoul, superate le iniziali titubanze relative alla loro differenza d’età, inizia a parlare di nozze. Per la madre di Elena questa è una follia a cui  giura d’opporsi fino alla morte. Non è ancora il momento di sposarsi e non è quello l’uomo giusto. È inaudito sposare un forestiero e tanto più un commediante. Quella non è gente affidabile e va tenuta alla larga. Chi lo conosce? Chi sono i suoi genitori?

Ma Elena non vuol razzolare a terra come la madre, lei vuole volare: e così, con uno scandalo senza precedenti, il 20 gennaio del 1928 convola a nozze con Raoul, con l’attore, con il suo sogno: quello stesso giorno Elena compiva sedici anni.

Intanto la Compagnia Nistri era ovviamente ripartita da Manciano per raggiungere altri lidi. Raoul aveva preferito fermarsi, stanco di quella vita nomade e annoiato di vestire ogni sera abiti che non gli appartengono.

 Per vivere e mantenere la moglie si arrangia come può: fa l’autista al notaio del paese e aiuta il suocero e i cognati nella loro attività di costruttori. Ma tutto questo poco gli riesce e poco gli si addice. Per i figli d’arte ottocenteschi e primo novecenteschi, il teatro non era solo un modus vivendi, ma ancor prima rappresentava un modus essendi,  e l’attore non poteva concepirsi in altro luogo e in altra condizione se non nel teatro stesso. Arte e vita erano inscindibili e colui che si poneva fuori dall’arte non riconosceva più se stesso, diveniva un’ombra inadatta alla vita reale.

Con il passare dei mesi, dunque, Raoul viene additato come uno schizzinoso signorino viziato dai miopi e fin troppo pragmatici cognati. Il signor Vezio fa di tutto per insegnargli il mestiere, ma ogni sforzo sembra inutile.

Anche a livello sentimentale, si rivela ben presto timido nel dimostrare il proprio amore, nonché timoroso di compiere qualunque slancio affettivo e passionale. Elena è tutto l’opposto: grande comunicatrice d’affetto qual è, trova indecifrabile questa sua freddezza.

Il passare degli anni poi, nei ritmi lenti del paese, nella banalità del quotidiano, non migliora le cose: Elena mette sempre più a fuoco l’inganno del quale è caduta vittima. Che il suo non sia mai stato vero amore, ma solo l’incarnazione illusoria di un sogno? È questo un dubbio angosciante. Eppure non è l’unico: ha mai saputo lei cosa sia l’amore? Forse no! E cosa ha a che vedere quel ragazzo così normale con il suo eroe immaginifico? È solo quello ciò che la vita può offrirle? Elena non sembra rassegnarsi a quest’idea. Ma ormai! Cosa fare? (continua)