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Compagnia drammatica Arturo Nistri, l'unica locandina in cui il nome di
Elena Balestrelli compare tra gli interpreti nel ruolo di "Gina" (Collezione
privata M. Ballerini) |
Ma neppure la sua presenza sembra essere passata inosservata. Raoul l’ha notata fin dalla prima sera e subito ha sentito che quella sarebbe potuta essere la sua grande occasione. L’adolescente dai capelli neri e gli occhi verdi inizia ad abitare le sue notti. Convince il fratello Manlio a scriverle una lettera d’amore dai toni quanto mai romantici e lusinghieri. L’ego di Elena esplode di gioia: l’attore l’aveva notata e… immediatamente amata. La prova? Quella lettera così unica, così poetica (che in realtà altro non era che una lettera copiata dal “Segretario Galante”). Chi altri l’avrebbe mai potuta ricevere? Non certo sua sorella, non certo le sue amiche. Lei, lei sola, poteva esserne l’ispiratrice. E così, per una strana beffa del destino, Elena s’innamora di un giovane grazie ad una lettera che lui non ha mai scritto, di un attore che nella vita tutto avrebbe voluto fare tranne che recitare. S’innamora di un uomo che non conosce. Dopo soli cinque mesi la Compagnia Nistri ritorna a Manciano (per la festa del Santissimo Crocifisso) e Raoul, superate le iniziali titubanze relative alla loro differenza d’età, inizia a parlare di nozze. Per la madre di Elena questa è una follia a cui giura d’opporsi fino alla morte. ‒ Non è ancora il momento di sposarsi e non è quello l’uomo giusto. È inaudito sposare un forestiero e tanto più un commediante. Quella non è gente affidabile e va tenuta alla larga. Chi lo conosce? Chi sono i suoi genitori? ‒ Ma Elena non vuol razzolare a terra come la madre, lei vuole volare: e così, con uno scandalo senza precedenti, il 20 gennaio del 1928 convola a nozze con Raoul, con l’attore, con il suo sogno: quello stesso giorno Elena compiva sedici anni. Intanto la Compagnia Nistri era ovviamente ripartita da Manciano per raggiungere altri lidi. Raoul aveva preferito fermarsi, stanco di quella vita nomade e annoiato di vestire ogni sera abiti che non gli appartengono. Per vivere e mantenere la moglie si arrangia come può: fa l’autista al notaio del paese e aiuta il suocero e i cognati nella loro attività di costruttori. Ma tutto questo poco gli riesce e poco gli si addice. Per i figli d’arte ottocenteschi e primo novecenteschi, il teatro non era solo un modus vivendi, ma ancor prima rappresentava un modus essendi, e l’attore non poteva concepirsi in altro luogo e in altra condizione se non nel teatro stesso. Arte e vita erano inscindibili e colui che si poneva fuori dall’arte non riconosceva più se stesso, diveniva un’ombra inadatta alla vita reale. Con il passare dei mesi, dunque, Raoul viene additato come uno schizzinoso signorino viziato dai miopi e fin troppo pragmatici cognati. Il signor Vezio fa di tutto per insegnargli il mestiere, ma ogni sforzo sembra inutile. Anche a livello sentimentale, si rivela ben presto timido nel dimostrare il proprio amore, nonché timoroso di compiere qualunque slancio affettivo e passionale. Elena è tutto l’opposto: grande comunicatrice d’affetto qual è, trova indecifrabile questa sua freddezza. Il passare degli anni poi, nei ritmi lenti del paese, nella banalità del quotidiano, non migliora le cose: Elena mette sempre più a fuoco l’inganno del quale è caduta vittima. Che il suo non sia mai stato vero amore, ma solo l’incarnazione illusoria di un sogno? È questo un dubbio angosciante. Eppure non è l’unico: ha mai saputo lei cosa sia l’amore? Forse no! E cosa ha a che vedere quel ragazzo così normale con il suo eroe immaginifico? È solo quello ciò che la vita può offrirle? Elena non sembra rassegnarsi a quest’idea. Ma ormai! Cosa fare? (continua)
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