Il premio,
finanziato da Samsung, il colosso coreano dell’elettronica,
mette nelle mani del vincitore designato un diploma, una
medaglia d’oro di quasi due etti e un assegno
da 300 milioni di won coreani,
circa 215 mila euro. Vincenzo, nostro conterraneo e gradito
collaboratore (quando il tempo glielo consente), è stato
premiato per la categoria “servizio alla comunità” per i
risultati ottenuti con la sua ventennale attività a favore di
poveri ed emarginati e per aver contribuito alla crescita del
benessere pubblico. Alcuni brevi dati biografici possono essere
utili ad inquadrare la sua figura: missionario OMI
(Oblati di Maria Immacolata) è
stato ordinato sacerdote nel 1987 ed ha conseguito nello stesso
anno il Master in
Filosofia Orientale presso l’Università Gregoriana di Roma,
successivamente alla laurea ottenuta
nel
1981 presso la
Pontificia Università Urbaniana.
Arrivato in Corea nel 1990, per
alcuni anni opera come viceparroco,
per
“acclimatarsi” con una realtà sociale tanto lontana e diversa
rispetto a quella di provenienza e per imparare la lingua. Nel
1992 dà inizio, non lontano da Seul, alla sua attività a favore
dei poveri. Nel 1993 apre il suo primo centro: la “Casa della
Pace”, una mensa dove anziani soli e persone in difficoltà
possono trovare almeno un pasto caldo e una parola di conforto.
L’anno successivo inaugura una piccola scuola per consentire ai
bambini poveri di ricevere un minimo di assistenza ed
educazione.
E arriviamo finalmente al 1998,
un anno fondamentale nella storia di Vincenzo. In Corea, come
pure nel resto del mondo, esplode la grande crisi economica,
evento di cui tutt’oggi avvertiamo le conseguenze e dal quale
molti paesi non sono ancora pienamente usciti. Anche in Corea
sono in molti a perdere il posto di
lavoro e a ritrovarsi in
povertà. Ma un fatto che ha dello straordinario e che Vincenzo
interpreta come un segno della Provvidenza viene a condizionare
gli eventi futuri: alla sua porta si presenta
un ricco ristoratore che, conoscendo il suo attivismo a
favore degli ultimi, si offre per finanziare una grande mensa.
Dichiara di essere cattolico ma assai poco attento alla pratica
religiosa come pure alla preghiera. Vuole però onorare la
memoria della madre, morta da poco, con un’opera a favore dei
meno fortunati. Nasce così la “Casa di Anna”, che prende il nome
proprio dalla madre di questo inaspettato benefattore.
La mensa, che in principio
funzionava solo due volte alla settimana, iniziò subito ad
affollarsi di poveri
e diseredati. Poco a poco tuttavia, consapevole che povertà e
fame non andavano “in vacanza” nei giorni di chiusura e che
semplicemente in quei giorni i suoi ospiti non mangiavano,
Vincenzo decide e soprattutto riesce a fare il grande passo:
apertura continuativa sette giorni su sette. Da allora la “Casa
di Anna” ha avuto uno sviluppo che nessuno avrebbe potuto non
dico prevedere ma neanche sperare: oggi infatti Vincenzo offre
ogni giorno 500 pasti caldi ai poveri e senza tetto che da ogni
dove vi accorrono; si avvale di una struttura organizzativa cui
collaborano ben 600 volontari di entrambi i sessi, in gran parte
studenti, che si alternano in gruppi di venti persone ogni
volta. Non solo: alla mensa è stato affiancato un ampio
programma di tutela sociale grazie al quale i bisognosi possono
disporre di professionisti quali un medico, un consulente
legale, uno psicologo o più semplicemente possono farsi una
doccia, ricevere vestiti, usufruire di un barbiere o di un aiuto
per la ricerca di un lavoro.
Non manca assistenza spirituale, per chi la desidera. Ma
siccome il primo problema di un senzatetto è proprio quello di
un ricovero dove passare la notte e di un giaciglio su cui
poggiare la testa, presso la “Casa di Anna” è stato aperto anche
un dormitorio, per consentire a chi vive in strada di sottrarsi
ai rigori e ai rischi della notte.
Ma
l’attività a cui Vincenzo si dedica con ancor più, se possibile,
passione e entusiasmo è quella a favore dei “ragazzi di strada”,
ovvero giovani sbandati, abbandonati, fuggiti di casa ed orfani.
Per loro ha creato quattro case-famiglia con centri di prima
accoglienza. Qui i ragazzi trovano un rifugio sicuro e
confortevole, il calore umano di una famiglia e ricevono
istruzione e educazione. Questi ragazzi, attualmente una
quarantina, sono tutti per Vincenzo un pò come suoi figli: non
c’è giorno che non si rechi a far loro una visita, a spendere
per loro una buona parola o un consiglio, a tributar loro una
carezza o, se c’è bisogno, un rimprovero, proprio come fa un
padre con i propri figli. Non solo, per poter allontanare
definitivamente dalla strada chi vuole percorrere fino in fondo
il programma di sostegno e reinserimento sociale, Vincenzo ha
creato una fabbrica di buste di plastica per la spesa che
fornisce un lavoro a quanti intendono seriamente impegnarsi su
questa strada.
Concludiamo con una notazione di
carattere ancora strettamente personale ma di cui Vincenzo ha
fatto un vero e proprio cavallo di battaglia: la lotta alla
dislessia. Essendo Vincenzo ben a conoscenza delle problematiche
legate a questa disfunzione per averla affrontata, ha promosso
la conoscenza di questo problema in Corea, dove era pressoché
sconosciuto, traducendo articoli, saggi ed altri materiali in
modo da far crescere la consapevolezza sui problemi da
affrontare e sui
metodi di trattamento. Non
c’è quindi da meravigliarsi se Vincenzo si è dato un nome
coreano col quale è ormai conosciuto in quella terra.
Il nome scelto è, come
dicevamo, Kim Ha Jong vale a dire: Kim, come il primo martire
coreano; Ha Jong ovvero “servo di Dio”.
Che non è solo un nome ma anche un concreto programma
d’azione.
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