LE DONNE DEI PAPI:
OLIMPIA MAIDALCHINI,
LA PIMPACCIA DI
PIAZZA NAVONA |
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di Giuseppe Moscatelli |
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Olimpia Maidalchini, ritratto di anonimo
romano |
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Roma, il Palazzo Pamphili a Piazza Navona |
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I papi e le donne: una storia antica e
ricca di malcelati segreti quanto di piccanti aneddoti. Siamo
uomini e il fascino femminile - che si porti il saio, la cotta o
i pantaloni – costituisce da sempre un richiamo potente,
talvolta irresistibile. Lo sanno bene le donne, abili nel
volgere a loro profitto l’ascendente spirituale non meno
dell’attrattiva sensuale che esercitano sugli uomini.
Olimpia Maidalchini, vissuta in un secolo
- il XVII - che nessuno spazio concedeva alle donne, mise
pienamente a frutto questa regola per ritagliarsi un posto da
protagonista nella Roma aristocratica e papalina del seicento,
lasciandosi alle spalle due mariti e un papa, semplici pioli
della sua scalata sociale. Intelligente, cinica, spregiudicata,
non consentì mai ad un uomo di decidere per lei: a partire da
suo padre, capitano d’industria viterbese, che la voleva monaca
- al pari delle altre sue sorelle - per salvaguardare il
patrimonio familiare a vantaggio dell’unico figlio maschio.
Ma non aveva fatto i conti con il
carattere ribelle e volitivo della ragazza che, sebbene
quindicenne, aveva già le idee molto chiare, una su tutte: mai e
poi mai avrebbe indossato il velo. E siccome il fine giustifica
i mezzi ricorse alla calunnia per scampare il pericolo,
accusando il suo direttore spirituale di aver tentato di abusare
di lei. Naturalmente il sant’uomo, dopo i rigori di un’inchiesta
ecclesiastica, fu scagionato e riabilitato, ma intanto la
sedicenne Olimpia era convolata a nozze con un anziano e ricco
borghese, Paolo Nini, che ebbe il buon gusto di lasciarla vedova
(e ricca) dopo appena tre anni di matrimonio.
Potremmo definire questa serie di pur
notevoli eventi come il prologo alla storia di Olimpia, poiché
se la sua vicenda umana si fosse limitata a questo noi oggi non
saremmo qui a ricordarla. Fu il suo secondo matrimonio a far di
lei la “Pimpaccia di Piazza Navona”: la donna più odiata, temuta
e riverita della Roma secentesca. Olimpia è giovane, non ancora
ventenne, seppur non particolarmente bella; ricchissima, grazie
al patrimonio ricevuto in dote e a quello ereditato dal marito;
ambiziosa e determinata. Cosa le manca? forse solo un pò di
sangue blu che nobiliti le sue origini borghesi. Ma a questo,
con le suddette premesse, si può porre rimedio. Fu così che nel
1612 si unì in matrimonio con Pamphilio Pamphili, di
antichissima nobiltà, seppur nel contingente a corto di contanti
e più vecchio di lei di trent’anni. Olimpia andò a vivere a
Roma, nel palazzo Pamphili a piazza Navona, insieme al marito e
ad un cognato che aveva abbracciato la carriera ecclesiastica:
Giovan Battista Pamphili, il futuro papa Innocenzo X.
Olimpia amava Pamphilio? non si fa grande
fatica ad escluderlo, ma forse la medesima cosa potremmo anche
dire del maturo consorte, distratto da altri interessi e in
primo luogo dalle sue collezioni. Fatto sta che "Trascorso
poco tempo dalle nozze", come scrive un cronista del tempo,
"andava la giovane sposa più spesso in carrozza col cognato
che col marito; si tratteneva molto più nello studiolo con
quello che nel letto con questo". Nasce cioè tra Olimpia e
Giovan Battista quella straordinaria intesa umana e
intellettuale che li accompagnerà per tutta la vita. Tra i due,
è evidente, la personalità più forte è quella di Olimpia, ma ciò
non indurrà lei alla prevaricazione, né lui alla sudditanza
psicologica. Vi era, casomai, una compenetrazione di anime, un
volere comune: Olimpia perseguiva genuinamente il bene e
l'interesse di Giovan Battista e lui ne era consapevolmente
convinto, al punto da accettare quasi con abbandono la sua
guida. "Senza di te mi sento come una nave senza timone",
le scrisse una volta dalla Spagna quando era ancora cardinale.
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Una tale unione spirituale presuppone forse una profonda
e intima complicità fisica? In altre parole Olimpia e Innocenzo
furono amanti o il loro fu soltanto un grandissimo, seppur
trattenuto, amore platonico? Noi saremmo propensi per la prima
ipotesi, non ci vedremmo niente di strano: da sempre relazioni
sessuali con uomini potenti costituiscono (talvolta) una
scorciatoia per realizzare inconfessabili ambizioni. E non era
certo un tabù, nella Roma del seicento, per un ecclesiastico
avere un’amante. Le fonti ci dicono però che il loro fu soltanto
un amore spirituale e platonico, senza cedimenti sul piano
fisico, se non su quello emotivo.
E’ a questo punto tuttavia che inizia la “leggenda nera”
di Olimpia che agli occhi del popolo di Roma, in virtù della sua
soverchiante influenza sul cardinal Pamphili prima e su papa
Innocenzo X poi, diventa per sempre “la Pimpaccia di Piazza
Navona”. Non è del tutto pacifica l’origine di questo
soprannome, che a noi appare come una storpiatura in senso
dispregiativo del nome Olimpia. Altri ritengono sia mutuato dal
nome, Pimpa, della intrigante protagonista di una commedia
allora in voga. Anche Pasquino ci mise del suo, con un pungente
gioco di parole: “Olim Pia” (ovvero: una volta pia, devota),
“Tunc impia” (ora empia, sacrilega), condito da ulteriori
motteggi per più facili palati.
Fatto sta che Olimpia con pazienza e lungimiranza
sostenne, anche economicamente, la carriera ecclesiastica del
cognato, fino alla nomina a cardinale, fino alla conquista del
soglio di Pietro. Era notorio che chi volesse avvicinare il
cardinale Pamphili per richieste, suppliche o favori dovesse
preventivamente omaggiare Olimpia, il cui intervento era
tutt’altro che disinteressato. Quando poi il cognato assurse al
papato il potere di Olimpia divenne tale che il popolo, con
soggezione mista a spregio, cominciò a chiamarla la “papessa”.
Sembra infatti che il pontefice, soggiogato dalla sua influenza,
fosse incapace di prendere decisioni di un qualche rilievo senza
l’avallo, più che il consiglio, di Olimpia. Questo le consentì
di acquisire un ruolo di assoluta preminenza nella corte papale,
come pure di accumulare grandi ricchezze, mettendo a frutto i
capitali investiti per favorire la carriera del cognato e la sua
ascesa al papato.
Innocenzo X, la cui memoria iconografica è legata allo
splendido ritratto di Velazquez reinterpretato nel novecento in
modo visionario dall’artista inglese Francis Bacon, mostrò la
sua riconoscenza alla “Pimpaccia” con atti di smaccato
nepotismo: Camillo Pamphili, figlio di Olimpia e nipote del
pontefice, dopo esser stato nominato Generale della Chiesa,
Comandante della flotta e Governatore di Borgo ebbe nel 1644 la
porpora cardinalizia, realizzando così una grande aspirazione
della madre che aveva lungamente brigato per spingere il figlio
ad intraprendere la carriera ecclesiastica. Non solo, riuscì ad
Olimpia, grazie al suo ascendente sul papa, di far posare la
berretta cardinalizia anche sulla testa del nipote Francesco
Maidalchini. Per sé ottenne il sospirato titolo nobiliare di
Principessa di San Martino al Cimino che onorò ricostruendo
l’antica abbazia in rovina, il grande Palazzo Pamphili e
ristrutturando il borgo secondo il caratteristico disegno di
impronta militare che ancora lo distingue.
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Ritratto di
Innocenzo X, Velazquez |
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Busto di Olimpia
di Alessandro Algardi |
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