Una storia più vasta


Stampa

di Luigi Volpicelli


 

Clicca per ingrandire l'immagine

La scuola di Mezzaselva

 

Clicca per ingrandire l'immagine

Il maestro Socciarelli insieme ai suoi alunni

  La prima esperienza è un graffio sulla mano, da fargliela a sanguinare, datogli da un ragazzo a cui il giovane maestro voleva fare una carezza. “Tu me si toccato! “.
La seconda è quella di una bambina che viene con un piatto di polenta e di erbe fritte: “Sei arrivato stasera, non ci avrai manco che ti magnare, perchè qui nun vendono gnente, così te so portato questa; ha detto tata che te la magni, che è buona”. Sono già due episodi indimenticabili, e tutto nel libro è indimenticabile, perché con la scuola, coi ragazzi, sullo stesso piano, immediata e vera, appare una intera borgata di contadini che troveranno nella scuola e nell'opera del maestro l'aiuto e il consiglio verso una vita migliore.
Otto anni. L'evoluzione di Mezzaselva sintetizza una storia più vasta, quella del nostro popolo che si fa popolo. Il libro del Socciarelli, collocato nel suo sfondo storico-sociale, acquista, allora, una nuova luce: esso costituisce una pagina fervida della storia della scuola italiana e definisce l'opera vera e la dignità del maestro elementare.
 


Educatore del popolo

  Il maestro non è soltanto maestro di scuola, non solo esperimenta metodi e didattiche; egli si fa educatore del popolo nel senso più concreto e più alto delle parole. Il punto di partenza e ben stagliato, e ben rilevato, è proprio l'interesse didattico: il contrasto tra la teoria e la pratica, tra i presupposti e la realtà, le speranze e gli sconforti della ricerca, il passaggio da quanto è preconcetto e scolastico a quanto è vero, e, soprattutto, la riprova luminosa di una verità che la pedagogia ha affermato solo in tempi relativamente recenti e che non tutti, anzi pochissimi hanno capito: diventa maestro solo chi ha tanta semplicità, tanta umiltà e tanto buon volere di diventarlo, solo chi si acconcia ad accogliere l'insegnamento dei suoi alunni, onde per essi e solo per essi potrà esser Maestro.
  Il significato più particolare di tutto il libro, didatticamente è questo: e c'è un episodio così paradossale che merita di essere riferito. I giovani della serale non volevano saperne di stare attenti e zitti: quando il rimprovero del maestro, sfiduciato ormai, divenne così sincero e accorato da suscitare in loro un sentimento di malessere e di fallo, vera rivelazione di vita morale, uno si alzò: “Sor maè, la colpa è tua te semo portati gli bastoni; si nun ce meni, che ce sei venuto a fa?“.
  Ma appunto perché c'è tutta l'esperienza di un giovane che diventa maestro, il libro supera il piano didattico e acquista più alto significato. Il novizio vuole essere maestro, e annaspa nel principio, ma cerca; intanto, di organizzarsi nell'ambiente nel quale dovrà esercitare il suo magistero, cerca di scoprire e di capire i suoi alunni nel mondo da cui essi vengono, la loro storia, le loro tradizioni, le loro favole, il loro dialetto. L'ansia, anzi, di apprendere quella lingua, è tanto più grande quanto più c'è, sia pure oscuro, il presentimento che lì egli potrà trovare il punto vivo, per entrare in comunicazione con loro.
 

 

Clicca per ingrandire l'immagine

Bambini di Mezzaselva

 

Clicca per ingrandire l'immagine

Bambini di Mezzaselva

Un maestro che vuole sempre imparare
  La storia del nostro maestro si ravviva e s'illumina a grado a, grado che egli impara dai suoi discepoli. Preoccupato dall'idea dei programmi e del lavoro scolastico, una mattina aveva condotto gli alunni ad ammirare il sorgere del sole, per fare loro la sua brava lezione scientifica. Essi erano ammirati: avevano, dunque, un animo? ma il maestro non lo intese e cominciò a spiegare. Ed uno, rapido: «E lasciace guardà, sor maè; queste cose ce le dirai a scuola». L'autore di Michelaccio, il Baldini, l'unico letterato che si sia occupato di questo libro, soprattutto da questo episodio rimase colpito. Ma è molto eloquente anche l'altro, quando questi ragazzi che vivono la vita delle bestie e apprendono che gli uomini fanno parte del regno animale rispondono: «Ah, questo no, sor maè!».
  Ma non è il caso di continuare a spigolare, quando le pagine che seguono offrono una messe ricchissima. Dal lato pedagogico, il capitolo più bello è quello relativo al comporre. Maestro ed alunni assistono meravigliati alla scoperta del discorso, della parola che è pensiero, e che s'articola nella compiutezza di un'idea. Il maestro aveva scritto alla lavagna: "Annunziata non è venuta". Qualcuno guardò il posto dell'Annunziata. Era vuoto. Non era venuta davvero! “La meraviglia, la sorpresa, la gioia, la rivelazione di un gran segreto, brillavano negli occhi, nella voce, nei modi di tutti. La scrittura aveva parlato, aveva detto una cosa vera, aveva riprodotto una realtà, vissuta e vivente".
Credo che in vita mia non avrò più la fortuna di trovarmi davanti ad un gruppo di anime vergini che scoprono per la prima volta la relazione fra le parole scritte e la realtà, il rapporto fra due frasi; che, cioè, scoprono per la prima volta che fra i segni della scrittura circola il pensiero”.
 

La vera scuola
  Il lato didattico e pedagogico non è fondamentale valore o almeno il solo valore di questo volume. Il ricordo di una esperienza magistrale animata da vero amore e da vera comprensione si dilatano, come accadde di quella esperienza, oltre l'aula scolastica, per rivelare la funzione sociale di una, scuola e di un maestro. Il libro, allora, diventa un'opera di storia, di sociologia, di sapienza politica. E' così che il lettore dovrebbe leggerlo. Ci rende pensosi e ci incatena ad una realtà che riconosciamo sempre e che sempre dimentichiamo: che la vera scuola è capace di investire la vita e di riversare in essa le sue categorie e i suoi valori.
  Con l'opera sempre più intensa e appassionata di questo maestro, con la scuola che sempre più diventa una realtà e una necessità del paese, insieme all'ingentilirsi degli animi, allo schiudersi dei cuori, Mezzaselva si arricchisce dell'acquedotto, distrugge le capanne, crea le case in muratura, eleva il campanile della sua chiesa. Il giorno che s'inaugura l'edificio di mattoni destinato alla scuola, la borgata idealmente inaugura alla scuola, agli oscuri maestri che ne sono gli artefici, il monumento della sua riconoscenza per il loro ufficio umano e civile.


 

TORNA SU

(dalla prefazione a "Scuola e vita a Mezzaselva", La Scuola, Editrice. V Edizione)
Foto e articolo tratti dalla rivista “Scuola Italiana Moderna”, Anno LXX, 5° fascicolo monografico, 20 marzo 1961