Grand Tour del viterbese A.D. 1993: Caprarola,
Sutri, Castel S. Elia, Valle del Treja e Calcata
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Castel S. Elia, chiesa di S. Elia |
Mazzano Romano,Valle del Treja |
Valle del Treja, le cascate di
Monte Gelato |
La rupe tufacea di Calcata sullo sfondo |
Calcata |
L’idea del “Gran
Tour” è stata mia e rispondeva a un’esigenza a lungo avvertita e
sempre rinviata: conoscere, anzi “vedere” luoghi, edifici,
monumenti del nostro territorio più o meno noti ma poco visitati e
ancor meno valorizzati.
Mi venivano in mente
certi poster, stampe, riproduzioni appesi alle pareti di
ristoranti, alberghi, uffici pubblici o scuole raffiguranti
monumenti, palazzi, chiese cento volte sfiorati, di passaggio, con
lo sguardo ma mai visitati. Certo, fin da piccolo mi avevano
portato ai “mostri” di Bomarzo e, da ragazzo, una pasquetta a Vulci
o Civita di Bagnoregio non mi era mancata; ma erano mete
occasionali o sfondi di altre attività: insomma il turista, in giro
per il viterbese, non lo avevo mai fatto.
In fondo cosa ci
voleva: un pò di tempo, mettersi in macchina e via.
Non è stato
difficile coinvolgere G. in questa trovata. Anche perché la cosa
aveva un sapore più che ironico: il “grand tour” era il viaggio
iniziatico che i rampolli della nobiltà europea facevano in Italia
per completare la loro formazione, non solo culturale. E con loro
una falange di artisti, poeti, scrittori, aristocratici,
appassionati di storia e archeologia che scendevano in Italia alla
ricerca del sole, dell’antico, del bello...in tutte le sue
declinazioni.
Immaginare un “gran
tour” in un territorio, in fondo, così ristretto poteva sembrare
una cosa da ridere, tanto per passare una giornata estiva. Le cose,
evidentemente, non stavano così: tant’è che il nostro “gran tour”
non solo non si è esaurito in quella giornata d’agosto ma si è
protratto negli anni a venire al punto che... non si è ancora
concluso. Certo, a qualcuno può bastare uno sguardo frettoloso; ma
se solo ti fermi a osservare da vicino quell’affresco, a riflettere
su quella iscrizione, a considerare quel particolare architettonico
potrebbe prenderti una voglia non contenibile di saperne di più, di
vedere di più...
Il territorio
viterbese si presta, in questo senso, a molti gran tour tematici:
il gran tour delle necropoli etrusche, delle chiese romaniche, dei
borghi medievali, dei palazzi rinascimentali... tanto per citare
gli itinerari più celebrati e per non parlare delle bellezze
ambientali e paesaggistiche: i colli, i lidi marini, i laghi, le
macchie.
Tutto questo lo
sapevamo, quel giorno d’agosto del 1993, quando siamo saliti in
macchina per il nostro primo gran tour, ma non ne eravamo
pienamente consapevoli. Siamo andati un pò a caso, senza seguire
un filo preciso, che non fosse quello di visitare luoghi non troppo
distanti tra di loro. Non ci siamo portati appresso guide o
pubblicazioni: cercavamo un impatto emozionale non mediato da
riflessioni altrui. L’approfondimento è venuto dopo, nei tempi
dovuti, a casa.
Ricordo quella
mattina, alla partenza, ci veniva un pò da ridere, perché neanche a
noi poteva sembrare una cosa seria quella di girare con macchina
fotografica al seguito per i nostri paesini alla ricerca di scorci,
monumenti, vedute. Male che vada, ho pensato, è comunque prevista
una sosta per il pranzo in un buon ristorante, e quindi la giornata
non può considerarsi sprecata.
La macchina l’ha
presa G., perché aveva l’aria condizionata; la benzina divisa in
due. La prima tappa del nostro viaggio è stata Caprarola con
il suo possente e al tempo stesso elegantissimo Palazzo Farnese. La
prima cosa che ti viene in mente, quando sei di fronte a tanta
magnificenza, è a chi poteva venire in mente di costruire proprio a
Caprarola un Palazzo così. L’onore va al card. Alessandro Farnese,
nipote di Paolo III, che trasformò la rocca iniziata dal nonno in
uno splendido palazzo rinascimentale: il più bello del mondo,
verrebbe voglia di dire. Non è un caso se Carlo Borromeo,
arcivescovo di Milano, nel visitarlo abbia esclamato attonito:“Ma
allora come sarà il Paradiso?”. Irrinunciabile anche una visita ai
bellissimi giardini. Partiamo quindi per Sutri, a soli dodici
chilometri di distanza. Qui si è inevitabilmente rapiti dai resti
dello straordinario anfiteatro romano, interamente scavato nel
tufo. Trascuriamo la pur vasta necropoli perché è nostra intenzione
visitare la chiesa rupestre della Madonna del Parto, con i suoi
suggestivi affreschi votivi. La grotta, perché di ciò si tratta, è
chiusa. Fortunatamente troviamo in zona il custode che ci consente
la visita. In epoca romana era forse un mitreo, ma l’ambiente ha
tutto l’aspetto di una grande tomba etrusca, come forse era in
origine.
Altri quattordici km. e siamo a Castel S.
Elia: qui visitiamo luoghi tanto poco conosciuti quanto ricchi di
fascino: il Santuario di S. Maria ad Rupes con la Grotta di S.
Anastasio; scendiamo quindi a valle per vedere la chiesa romanica
di S. Elia, purtroppo chiusa ma con gli interni “a vista” grazie a
feritoie nella porta. Pausa per il pranzo, meno brillante di quanto
previsto, ma i tempi incalzano. Ripartiamo per la Valle del Treja,
a venti chilometri da Castel S. Elia. Una salutare escursione
all'ombra dei boschi del parco regionale è quanto ci voleva per
sconfiggere l’afa e ancor più una sosta sulle rive del fiume Treja,
dove le cascate di Montegelato, con il loro fresco fragore, ti
riconciliano con il caldo opprimente, in un ambiente mai visitato
prima ma che ti sembra familiare, avendo fatto da sfondo ad una
quantità di spot televisivi. Ultima tappa del viaggio, sempre
nell'ambito del parco regionale del Treja, il paese di Calcata,
abbarbicato su una spettacolare rupe tufacea. Pressoché abbandonato
in anni passati, sta rinascendo a nuova vita grazie al richiamo
turistico del borgo antico e alla bellezza paesaggistica in cui è
inserito. Quando arriviamo non c’è nessuno. Giriamo per le vie e i
vicoli; su una piazzetta ci sediamo in grandi troni di tufo, messi
lì, chissà, proprio per offrir riposo ai viandanti...
Il nostro primo Gran Tour finisce qui. Sono
passati sedici anni... e forse sono pochi per intitolare queste
note “la Tuscia com’era”, ma sicuramente sufficienti per renderci
consapevoli che molto c’è ancora da lavorare per valorizzare come
merita il nostro grande patrimonio storico, artistico, ambientale e
archeologico.
Giuseppe Moscatelli
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