La stagione degli
incendi boschivi è finalmente
arrivata e da tutte le TV
giornalisti accaldati garriscono
striduli snocciolando
quotidianamente i dati degli
ettari di bosco perduti per
colpa dei piromani.
A questo punto
viene da chiedersi se l’Italia,
ed in modo particolare alcune
regioni, siano infestate da
schiere di psicopatici (tale
sono i piromani) armati di
accendino pronti ad appicciar
fuochi per il solo piacere di
veder bruciare boschi e foreste.
Le cose, evidentemente, non
stanno così. Altrimenti qualcuno
dovrebbe spiegarci cosa fanno i
“piromani” per tutto il resto
dell’anno: dico, se uno ha una
psicosi che lo spinge in modo
incontrollato a provocare
incendi non è che una tal mania
in autunno-inverno-primavera va
in vacanza. Poi, chissà perché,
i “piromani” sono tanto più
numerosi ed “efferati” quanto
più la zona è paesaggisticamente
e turisticamente interessante. A
pensar male… si pensa il vero.
La conclusione è
che d’estate gli incendi
scoppiano perché c’è qualcuno
che li spegne. Se nessuno si
affannasse a spegnerli il numero
degli incendi probabilmente
diminuirebbe. E’ di questi
giorni la notizia di un vigile
del fuoco avventizio sorpreso
anzi ripreso da una videocamera
mentre provoca dolosamente un
incendio. Non solo. La pratica
di spegnere gli incendi boschivi
è più dispendiosa che efficace.
Difficile ed anche pericoloso
per gli addetti alla protezione
civile spegnere incendi di ampie
dimensioni, più semplice e
sicuro circoscriverli, evitare
cioè che si propaghino. E’
quanto avviene oltreoceano, dove
ogni anno scoppiano incendi di
dimensioni bibliche che
devastano intere regioni,
villaggi, economie. I nostri a
confronti sono zuccherini.
Eppure là non si avverte il
piagnisteo mediatico a cui noi
siamo abituati.
Proviamo allora a
rovesciare i termini del
problema: evitiamo di spegnere
gli incendi per non invogliare i
disonesti a provocarli;
limitiamoci nel caso a
circoscriverli, per arginare i
danni e i costi. Certo,
inizialmente si correrebbe il
rischio di una qualche
recrudescenza… l’economia che
ruota intorno al business
dell’antincendio non sarà certo
entusiasta di queste nuove
proposte programmatiche… ma nel
medio lungo periodo gli effetti
si vedrebbero.
Un’ultima
riflessione (o “cattiveria”, se
preferite). Qualche estate fa mi
trovavo sdraiato al sole su una
spiaggia della splendida
costiera amalfitana, non ricordo
precisamente dove. Davanti a me
il mare che luccica, alle mie
spalle un costone di montagna
ricco della tipica vegetazione
spontanea mediterranea: piante
basse, sterpi e cespugli.
L’unico elemento di disturbo in
quella pace idilliaca era il
rombo di motore di un canadair
che con ampie volute e ardite
virate scendeva a pelo d’acqua
sul mare e ne risaliva con la
pancia piena d’acqua che poi
disperdeva con minima efficacia
estintiva su focolai d’incendio
che si erano sviluppati tra la
vegetazione del costone
montuoso. E così per un intero
pomeriggio.
Indifferenti
all’incendio, che si sarebbe
probabilmente spento da solo
vista la scarsità di
“carburante” (ovvero vegetazione
significativa) sulla montagna,
noi tutti bagnanti eravamo però
presi dalla spettacolarità delle
evoluzioni aeree che l’abile
pilota, non senza rischi per sé
e per tutti noi, incessantemente
compiva. Tanto rumore per nulla,
pensai. Quanto è costato alla
comunità quel canadair che,
similmente a tanti altri in
analoghe situazioni in tutta
Italia, è servito solo a
disturbare il riposo feriale dei
tanti turisti o, al più, a
inscenare una sorta di
spettacolo acrobatico ad alta
quota, ma certamente non a
spegnere pur insignificanti
focolai di incendio? Il getto
d’acqua generosamente erogato
dal coraggioso pilota si
disperdeva in migliaia di rivoli
prima di toccar terra
solleticando appena le lingue
infuocate.
Dirò di più: ma
in fondo che male c’è se un po’
di vegetazione scarsamente
significativa va a fuoco
consentendo alla natura di
rigenerarla? Cerchiamo un po’ di
rifletterci. |