La prima volta
che visitai Copenaghen, una ventina di anni fa, rimasi a dir poco colpito dal
modo assai poco formale con cui si presentavano molti di quelli che si
incontravano per strada. Giovani certo, tanti giovani, ma anche persone di mezza
età e anziani. Non si trattava di semplice trascuratezza, che già allora non ci
si faceva gran caso, ma propriamente di trasandatezza; di più: sciattezza,
disordine. Si vedeva in giro gente, uomini e donne, adulti e ragazzi, vestita
letteralmente di stracci; e non si trattava visibilmente di barboni o persone
marginali, ma di comuni cittadini, che evidentemente non davano gran peso a
quello che si mettevano addosso.
Ebbi allora
l’allegra sensazione che Copenaghen fosse la città più “scaciata” del mondo! Il
regno dell’assoluta libertà dell’individuo, della totale assenza di
condizionamenti socio-culturali; il luogo ove ognuno poteva manifestarsi come
veramente era, senza timore di apparire in un certo modo o di essere giudicato.
Questa
sensazione fu acuita da episodi di vero e proprio degrado (così almeno li
giudicai) che ebbi modo di vivere in giro per la città, a partire del Nyhavn, il
canale che si insinua fin nel cuore del centro storico, tutt’oggi il luogo più
suggestivo di Copenaghen. Qui cataste di ubriachi buttati per terra come sacchi
sciolti di iuta tiravano residui di birra da lerce bottiglie mentre un loro
sodale portava a braccio i “rinforzi”, ovvero una cassa di “bionde” tenuta
obliquamente per il manico. Inoffensivi, tranquilli, apparivano come sedati:
nessuno si curava di loro e loro non si curavano che della propria bottiglia.
Attimi di vera
apprensione li provai invece quando un homeless, giovane seppur con il volto
travisato da una lunga e stopposa frattaglia di barba e capelli, fece irruzione
scalzo, sporco e lacero in un supermercato, stringendo al petto alcune bottiglie
vuote. Nessuno gli diede peso ed anch’io mi rasserenai quando vidi che il
giovane si metteva diligentemente in fila presso l’apparecchiatura che ritirava
i vuoti restituendo in cambio qualche spicciolo. Barbone si, ma ben educato.
Rimasi pure colpito dal fatto che sul prato di una delle residenze reali giovani
donne si esponevano in topless ai raggi di un pallido sole...
Venti anni dopo
passeggio nel primo mattino sul Nyhavn: in giro non c’è ancora nessuno, anche le
barche ancorate lungo il canale sembrano assopite. I bar, ristoranti, ritrovi
che numerosissimi si pigiano l’un contro l’altro sulle due sponde cominciano a
tirar su le saracinesche, qua e là camerieri passano un panno sui tavoli posti
all’esterno, spostano sedie per spazzar tutto intorno. Sulle banchine del canale
i resti fin troppo evidenti delle sbornie della sera precedente. Qualcuno è
ancora lì, sdraiato per terra, avvolto in un plaid, una chitarra al fianco.
E’domenica e il mio tour in città avviene quasi in solitudine. In giro si
incontrano solo rare biciclette, non si vede una macchina. Poi apprenderò che la
circolazione stradale è inibita per consentire lo svolgimento di una
manifestazione sportiva. Rivivo ricordi che mi sono cari: le eleganti
architetture liberty che rivestono a festa molti edifici; il Tivoli, parco
divertimenti tra i più antichi del mondo; il Christiansborg, cupa residenza
reale oggi sede del parlamento; lo Stroget, il lungo, lunghissimo vialone
pedonale regno del passeggio e dello shopping... E’ quasi mezzogiorno e la città
comincia ad animarsi: frotte di turisti invadono le vie del centro e affollano i
negozi di souvenirs; gli artisti di strada prendono posizione e avviano le loro
esibizioni... Rimane solo il tempo per una visita quasi liturgica alla
Sirenetta, da un secolo malinconicamente seduta su uno scoglio all’ingresso del
porto. Non ha certo avuto vita facile la signorina: per due volte, dalla mia
ultima visita, le hanno segato la testa... scaciati e burloni questi danesi!
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