Luciano Bonaparte: industriale del ferro
nello Stato Pontificio |
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di
Valeria Cattaneo |
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La "Ferriera" -
Veduta esterna |
Luciano Bonaparte fu uno tra i più importanti
industriali del ferro presenti nello Stato Pontificio nella prima
metà del XIX sec.
Nel primo decennio del 1800 aveva realizzato un complesso a Tivoli
nella Villa di Mecenate di sua proprietà, situata sul colle
Tiburtino presso l’antica via Tiburtina, approfittando dell’immenso
canale che la attraversava [1].
Lo stabilimento comprendeva un forno fusorio, due ferriere, una
fabbrica di pale, una chioderia.
Il materiale ferroso, che proveniva dall’Isola d’Elba, vi subiva
tutte le trasformazioni ed era in parte anche manifatturato. |
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Il
ciclo lavorativo era di sei mesi ogni due anni, lavoravano
nell’intero complesso più di quaranta operai, il forno produceva
500.000 libbre di ferraccio che venivano lavorate nello stesso
stabilimento, i prodotti erano poi smerciati a Roma e nel Regno di
Napoli [2].
Oltre al complesso di Tivoli, assai importante per l’economia dello
Stato Pontificio, in quanto erano pochissimi gli impianti che
potessero rispondere al fabbisogno di strumenti agricoli tanto che
venivano importati dall’estero, Bonaparte gestiva a Sutri quatto
ferriere di proprietà del Marchese Casati.
Queste disponevano complessivamente di sei ruote idrauliche e di
sei forni e vi lavoravano quindici operai. Annualmente lavoravano
circa 700.000 libbre di ghisa e producevano circa 600.000 libbre di
ferro [3].
Tra le proprietà facenti parte del feudo di Canino e Musignano, che
Luciano Bonaparte acquistò dalla Reverenda Camera Apostolica nel
1808, era compresa “la Ferriera”, un forno fusorio per la produzione
di ferraccio (ghisa) con annessa macchia per estrarre legna per la
produzione di carbone.
Risulta dal Catasto Pontificio che al momento dell’acquisto il
forno aveva sei fuochi, che producevano “600 migliara di ferro in
verghe, di buona qualità” e che gli uomini impiegati erano trenta
[4].
Il forno era gestito dalla Famiglia Stampa che pagava un canone
annuo di 1200 scudi per l’enfiteusi, che deteneva dal 1770 e che
era stata trasformata in perpetua nel 1778 [5].
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La "Ferriera" -
Pianta progettuale per i lavori di ristrutturazione eseguiti nel
1770 da Filippo Prada.
L'originale è conservato presso l'Archivio di Stato di Roma
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Il forno di Canino, fino al momento dell’acquisto da parte di
Luciano Bonaparte, era stato di proprietà della Reverenda Camera
Apostolica. Non possediamo documenti riguardanti la sua
edificazione, che è da far risalire agli inizi del XVII sec.,
i documenti più antichi in nostro possesso che lo riguardano
sono relativi ad alcuni lavori di ristrutturazione risalenti
al 1672 realizzati dai fratelli Nerli affittuari del Ducato
di Castro e Ronciglione. La Reverenda Camera Apostolica dava
in affitto i beni appartenenti a tale Ducato per periodi di
nove anni, a loro volta gli affittuari potevano sub affittare
i singoli lotti.
Nel corso del XVIII sec. l’impianto si andò deteriorando; gli
affitti di nove anni non permettevano investimenti importanti
da parte degli affittuari che cercavano di trarne il massimo
utile senza occuparsi troppo degli impianti e le migliorie e
le riparazioni erano a carico della Camera Apostolica.
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Quando Filippo Stampa prese l’affitto dell’impianto,
volendolo riattivare lo sottopose a lavori di
ristrutturazione. Tali lavori furono affidati a Filippo Prada
ingegnere di Viterbo che si occupava di tutte le commissioni
dello Stato Pontificio [6].
Il complesso che esiste oggi è pressoché identico a quello
del 1770 come si nota dal confronto tra la pianta della
ristrutturazione [7] e gli
edifici esistenti.
Il forno fu confiscato nel 1799 dalla Repubblica Romana, ma
venne poi restituito alla famiglia Stampa, fin quando Luciano
Bonaparte non comprò la castellania.
Nel 1853 Carlo Bonaparte, figlio ed erede di Luciano,
vendette tutta la castellania ai Duchi Torlonia, il forno,
non più attivo, fu trasformato in un mulino utilizzato sia
per olive che per grano, e come tale funzionò fino al primo
decennio del 1900. Il complesso rimase proprietà dei Torlonia
fino al 1955 quando fu acquistato dalla Famiglia Ricci,
industriali della carta. Oggi è ancora proprietà degli eredi
di questa famiglia.
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La cascata sul
Torrente Timone. Da qui veniva derivata l’acqua necessaria al
funzionamento della ferriera
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Note
1 Pacifici V. G. ( a cura di ), Documenti dell’inchiesta napoleonica su
Tivoli e circondario, Tivoli, 1971.
2 De Felice R., L’industria del ferro nei dipartimenti romani
dell’Impero Francese, in Studi romani, Gen.-Feb.1961.
3 De Felice R., op. cit.
4 ASVt, Delegazione Apostolica di Viterbo, serie I, Commercio e
Industria, busta 53.
5 ASR, Camerale III, busta 495.
6 Ingegnere di Viterbo fu il direttore dei lavori per l’edificazione di
San Lorenzo Nuovo. Sovrintendente ai lavori dello Stato Pontificio per
la provincia di Viterbo, del suo lavoro, esteso anche al campo della
progettazione, rimangono testimonianze a Viterbo, Montalto di Castro e
altri centri.
7 ASR Camerale III, busta 495.
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