Il Palazzo Farnese di Gradoli

Alla scoperta del Palazzo


 

di Giuseppe Moscatelli

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"Bellissimo et utile palazzo…"
  Si  racconta che quel sant'uomo di Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, invitato dal cardinal Alessandro Farnese (il nipote di papa Paolo III) a visitare il palazzo di Caprarola abbia esclamato estasiato: "Ma allora come sarà il Paradiso?".
  Non vi è dubbio, in effetti, che quel palazzo sia - come scrisse il Vasari- "cosa meravigliosa": la sua magnificenza, tuttavia, non può sorprendere chi consideri la consolidata tradizione che vede i Farnese - fin dalle origini potremmo dire- grandi costruttori, decoratori e restauratori di ville, rocche e palazzi in tutti i territori sottoposti alla loro signoria.

 

  In questo contesto ben si colloca il Palazzo Farnese di Gradoli: "bellissimo et utile palazzo" secondo la definizione che ne diede il Vasari nelle "Vite", con le sue similitudini e le sue peculiarità rispetto agli altri maestosi edifici che i Farnese edificarono o ristrutturarono nel nostro territorio.
Il palazzo - da qualsiasi direzione, posizione o orientamento lo si guardi- sovrasta e giganteggia con la sua straordinaria imponenza sul borgo di Gradoli, che appare come umilmente prostrato ai suoi piedi, quasi ad invocarne protezione e ausilio. Solo la torre campanaria della adiacente Collegiata di S. Maria Maddalena, con le sue linee slanciate e sobriamente barocche, osa svettare più in alto, come a voler riportare equilibrio tra ciò che è dell'uomo e ciò che è di Dio, tra potere terreno e progetto divino, tra cielo e terra.
  Si dice (e si legge!) comunemente che il palazzo fu il dono di nozze di Paolo III (allora ancora cardinale) per il figlio Pier Luigi in occasione del suo matrimonio con Girolama Orsini, figlia di Lodovico conte di Pitigliano. La cosa può apparire plausibile e suggestiva, ma è senz'altro più corretto affermare che il matrimonio del figlio di Paolo III costituì semplicemente l'occasione per la costruzione dell'edificio: Pier Luigi, in effetti, dopo le nozze si stabilì con la moglie nella rocca di Valentano e seppur frequentò regolarmente il palazzo (com'è documentato), non vi abitò mai a lungo.
 




Il Palazzo Farnese di Gradoli, vista sul lato nord



Il Palazzo Farnese di Gradoli, ingresso principale e piazzetta



Il Palazzo Farnese di Gradoli, vista sul lato sud
 



Antonio da Sangallo il Giovane, progettò il Palazzo nel 1515
 



Gerolama Orsini, moglie di Pierluigi Farnese

 


Pier Luigi Farnese, in occasione del suo matrimonio fu costruito il Palazzo
 
Risponde invece al vero, nonostante la sua parvenza aneddotica, l'attribuzione a Paolo III del famoso detto secondo cui "se vuoi vivere in eterno, vivi a Gradoli d'estate e a Canino in inverno": il palazzo fu infatti concepito fin dall'inizio come luogo di riposo e svago feriale a disposizione di tutta la famiglia.
   Vi soggiornarono, oltre al ricordato Pier Luigi e alla moglie, anche Giulia Farnese detta "la Bella" (sorella di Paolo III) e naturalmente il cardinal Alessandro, committente dell'opera e futuro papa. Successivamente vi dimorarono il cardinal Alessandro Farnese Jr., Odoardo Farnese, anch'egli cardinale, e suo nipote Alessandro, figlio sordomuto del fratello Ranuccio I. Il luogo era particolarmente apprezzato dalle dame del casato: oltre a Giulia, che vi veniva con la suocera Adriana Mila, lo frequentarono regolarmente Vittoria Farnese, duchessa di Urbino, e Margherita Aldobrandini, moglie di Ranuccio, quarto duca di Parma e Piacenza.
Curiosamente, nonostante la sua natura di luogo feriale, l'edificio ha tutto l'aspetto di una solida e massiccia fortezza, carattere accentuato dai poderosi contrafforti che lo premono su tre angoli. Il fatto è che Antonio da Sangallo il Giovane, al quale nel 1515 il cardinal Alessandro Farnese affidò il progetto, si trovò a edificare sui resti di una preesistente fortezza medievale arroccata sul sommo di un colle che guarda la sponda nordovest del Lago di Bolsena: fu quindi fortemente condizionato dalla natura dei luoghi e dalle emergenze architettoniche esistenti. Non solo, a causa della scarsa staticità delle fondamenta, dovuta alla ristrettezza della base della costruzione, dopo qualche anno dalla conclusione dei lavori fu necessario munire l'edificio di adeguati rinforzi, per garantirne la stabilità. Il problema fu brillantemente risolto dal Sangallo con la realizzazione dei possenti contrafforti angolari, che da allora caratterizzano, senza pregiudicarla, l'estetica del palazzo. Anzi, come afferma un viaggiatore e scrittore inglese, l'effetto prodotto "toglie ancor oggi il fiato".
   Altra peculiarità dell'edificio è la mancanza di un cortile o corte interna, che invece troviamo nei palazzi Farnese di Valentano, Capodimonte, Caprarola e Roma. E' molto probabile che all'epoca una tale funzione fosse svolta dalla piazzetta antistante il palazzo, che ancor oggi appare chiaramente come una sua pertinenza. Non vi è altresì traccia non dico di un parco (a differenza di Caprarola, come Gradoli luogo di delizie feriali), ma nemmeno di un giardino (presente invece a Capodimonte). Ciò potrebbe risultare quantomeno insolito in una costruzione concepita fin dall'origine come residenza estiva e di rappresentanza. La motivazione, tuttavia, è sempre la stessa: la natura dei luoghi e la mancanza di spazio. Non si deve poi dimenticare che il cardinal Farnese scelse questo luogo e lo preferì ad altri soprattutto per la purezza e salubrità dell'aria: Gradoli era ai suoi occhi il miglior posto dove trascorrere l'estate.
      Anche la mancanza di un parco, a ben vedere, non doveva costituire un grosso problema per i villeggianti: il palazzo si affaccia a nord su una campagna che all'epoca doveva essere assai boscosa e ricca di selvaggina, ideale quindi come riserva di caccia.
 
Geniale quel Sangallo…



Veduta di un settore del soffitto ligneo del piano nobile



Antico libro dell'archivio farnesiano, esposto nel museo del Palazzo
 


Pianta primo piano nobile
 


Salone piano nobile oggi sala consiliare
 


Pianta secondo piano nobile



Pianta primo, mezzanino
 

  Antonio da Sangallo il Giovane è stato uno dei più importanti architetti del cinquecento. Quando arrivò a Gradoli aveva poco più di trent'anni e un bagaglio di esperienze già cospicuo. Era l'architetto di fiducia del cardinal Alessandro Farnese che lo utilizzò in tutti i cantieri aperti nei territori farnesiani, come pure farà suo nipote il cardinal Alessandro Farnese Jr. Per i Farnese il Sangallo impegnò gran parte della su energie creative, realizzando un gran numero di opere: dalla rocca di Capodimonte alla Rocchina dell'isola Bisentina, dalla chiesa di S. Egidio a Cellere alla chiesetta di Montedoro a Montefiascone (di cui è discussa la committenza farnesiana), dal Palazzo Farnese di Caprarola al Palazzo Farnese di Roma. Un discorso a parte meriterebbe l'impegno creativo profuso dal Sangallo nell'edificazione dal nulla della città di Castro, la sfortunata capitale del ducato farnesiano, di cui ci restano solo i disegni e qualche rudere riconquistato dalla macchia. Si ha invero l'impressione che la sua genialità di artista tra i massimi che il rinascimento abbia espresso non sia stata ancora pienamente percepita e considerata.
A Gradoli il Sangallo ricevette l'incarico di realizzare, nell'area occupata dai ruderi già vecchi di tre secoli della rocca medievale, la più bella e comoda delle residenze estive. Lo splendido risultato è ancora sotto i nostri occhi.
 

  La sua genialità creativa si manifestò non solo nella capacità di adattare magnificamente le emergenze architettoniche preesistenti alle peculiari esigenze, materiali e culturali, proprie di una famiglia principesca rinascimentale, quale i Farnese erano o si avviavano a diventare; non solo nel saper rimodulare tempestivamente le scelte progettuali al fine di arginare errori d'impostazione o imprevisti nell'esecuzione; ma soprattutto nella capacità di elaborare soluzioni originali e innovative a servizio della bellezza dei luoghi e della qualità della vita. Il portone principale, che si affaccia su una piazzetta cinquecentesca un tempo corte privata del palazzo, ci introduce nell'androne che conserva il pavimento originale in spinale di mattoni. Possiamo ora decidere se scendere nel piano seminterrato - dove un tempo si trovavano le cucine e il lavatoio- utilizzando l'ampia e comoda scala che si diparte dinanzi a noi; oppure se salire al piano nobile, percorrendo la scala monumentale situata al centro dell'atrio e affiancata alla precedente. La scala, con bell'effetto prospettico, è delimitata sul pianerottolo di arrivo da una grande luce finestrata. Scegliendola arriviamo al primo piano, o piano nobile.
  Volgendoci a sinistra possiamo ora entrare nel grande salone di rappresentanza, denominato un po’ enfaticamente "sala ducale", attualmente adibito ad aula consiliare. Il vasto ambiente, il cui alto soffitto ligneo a cassettoni è talvolta decorato con scene miniate di tipo votivo e con stemmi farnesiani, percorre l'edificio in tutta la sua profondità: efficace espediente per migliorarne la ventilazione. Il salone, dotato come ogni altro ambiente di rappresentanza di un grande camino, è decorato con affreschi a grottesche, ma di ciò tratteremo in uno specifico articolo
  Torniamo ora sul pianerottolo e riprendiamo la scala nobile per salire al piano superiore. Le sale del secondo piano nobile (come viene anche chiamato) sono oggi occupate dal Museo del Costume Farnesiano, al quale dedicheremo un articolo specifico. L'allestimento museale, con i suoi pannelli e le sue installazioni, non consente di apprezzare pienamente la struttura architettonica dei luoghi, come pure gli affreschi -a monocromo e di tipo tradizionale - che decorano le sale (e dei quali pure tratteremo a parte). Anche l'illuminazione, studiata per valorizzare al massimo gli abiti esposti e talvolta ambientati, penalizza un poco la visione degli affreschi.
  La prima sala che incontriamo entrando è senz'altro la più interessante: è conosciuta come "il loggione" (in virtù della sua antica destinazione) o "la sala dei filosofi" (in considerazione delle figure che vi sono affrescate). L'ambiente oggi appare completamente chiuso, ma al tempo dei Farnese le pareti a nord e ad est erano aperte o parzialmente aperte, tanto da dar forma ad una splendida loggia a servizio del palazzo. Tale struttura, bella e funzionale, era oltremodo utile: essendo infatti l'edificio a pianta chiusa non residuano ulteriori spazi aperti. Qui i nobili padroni di casa e i loro aristocratici ospiti si godevano il fresco e l'aria buona. Oggi, in seguito ai rimaneggiamenti e ai numerosi interventi di ristrutturazione avvenuti nel corso dei secoli, del grande terrazzo coperto non resta più traccia.
  Apprestandoci a tornare sui nostri passi, è il momento di rilevare che oltre alla scala principale o "nobile" l'edificio dispone di altre due scale: quella privata o "segreta", a servizio degli alloggi dei signori; e quella di servizio, riservata alla servitù. Altra importante caratteristica del palazzo è la presenza di due semipiani, chiamati anche piani di "mezzanino", che si estendono nella zona est dell'edificio ed erano destinati agli alloggi della servitù e ad altre attività di servizio. Il primo mezzanino è posto tra il piano terreno e il piano nobile, il secondo tra questo e il secondo piano. Quest'ultimo è attualmente occupato da una sezione del museo del costume farnesiano.
 
Dopo i Farnese

  I Farnese conservarono il palazzo fino al 1649, vale a dire fino alla distruzione del Ducato di Castro, al quale anche Gradoli apparteneva. Con il ritorno dei possedimenti farnesiani allo Stato della Chiesa inizia per il palazzo un lento e malinconico declino. L'austero e imponente edificio che per quasi un secolo e mezzo era stato residenza principesca diverrà deposito e magazzino.
Nel 1716 Clemente XI concesse il palazzo, ormai quasi in rovina, alla congregazione dei Padri Filippini, i quali si faranno promotori di incisivi interventi di ristrutturazione, sia all'interno che all'esterno, per adattarlo alle loro esigenze. Pur tra alterne vicende - al palazzo non fu risparmiato l'oltraggio delle soldataglie francesi che nel 1849 lo trasformarono in bivacco- i Padri Filippini vi restarono fino al 1874, anno in cui l'edificio fu requisito dallo stato italiano e come i beni degli altri ordini religiosi fu trasferito al demanio pubblico. Ne conseguì una ulteriore e definitiva spoliazione da parte di successivi affittuari senza scrupoli.
Nel 1878, tuttavia, sono ancora i Padri Filippini a tornare in possesso dell'immobile, nella figura di due singolari personaggi, uno dei quali - vale a dire Giovan Battista Polverini - era appena rientrato nel seno della Chiesa dopo esperienze al limite dell'eresia. I due, in sostanza, dopo aver ottenuto l'autorizzazione del vescovo, acquistarono l'edificio all'asta, utilizzando allo scopo denaro proprio.




Il cardinal Alessandro Farnese, (futuro papa Paolo III) edificò il Palazzo (Raffaello, 1510)



Stemma Farnese del XVI sec.



Parete affrescata del Loggione del secondo piano del Palazzo
 



Centropiatto - prima metà del XVI sec



Boccale in ceramica del XVI sec
 


Piatto in ceramica del XVI sec
  Nel 1922, nondimeno, il papa Benedetto XV, volendo porre fine alla ambigua situazione che si era venuta a creare dopo la morte di uno dei due Filippini, e che aveva trasformato il superstite Polverini - don Titta per i gradolesi - in proprietario unico del palazzo, riacquistò da questi l'immobile e lo donò finalmente alla comunità di Gradoli. L'edificio divenne così sede delle scuole e degli uffici comunali.
  Oggi nel palazzo, oltre agli uffici comunali, troviamo la biblioteca, il Centro Studi e Ricerche sul territorio farnesiano, l'Archivio storico, il Museo e Centro di documentazione del costume farnesiano: autorevoli istituzioni culturali per la conservazione, lo studio e la divulgazione delle memorie storiche e culturali del nostro territorio.
 

Foto di Giacomo Mazzuoli e Giuseppe Moscatelli

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