Si racconta che
quel sant'uomo di Carlo Borromeo, arcivescovo di
Milano, invitato dal cardinal Alessandro Farnese (il
nipote di papa Paolo III) a visitare il palazzo di
Caprarola abbia esclamato estasiato: "Ma allora
come sarà il Paradiso?".
Non vi è dubbio, in effetti, che quel palazzo sia - come scrisse il
Vasari- "cosa meravigliosa": la sua
magnificenza, tuttavia, non può sorprendere chi
consideri la consolidata tradizione che vede i
Farnese - fin dalle origini potremmo dire- grandi
costruttori, decoratori e restauratori di ville,
rocche e palazzi in tutti i territori sottoposti
alla loro signoria.
In questo
contesto ben si colloca il Palazzo Farnese di Gradoli: "bellissimo et
utile palazzo" secondo la definizione che ne diede il Vasari nelle "Vite",
con le sue similitudini e le sue peculiarità rispetto agli altri
maestosi edifici che i Farnese edificarono o ristrutturarono nel nostro
territorio.
Il palazzo - da qualsiasi direzione, posizione o orientamento lo si
guardi- sovrasta e giganteggia con la sua straordinaria imponenza sul
borgo di Gradoli, che appare come umilmente prostrato ai suoi piedi,
quasi ad invocarne protezione e ausilio. Solo la torre campanaria della
adiacente Collegiata di S. Maria Maddalena, con le sue linee slanciate e
sobriamente barocche, osa svettare più in alto, come a voler riportare
equilibrio tra ciò che è dell'uomo e ciò che è di Dio, tra potere
terreno e progetto divino, tra cielo e terra.
Si dice (e si legge!) comunemente che il palazzo fu il dono di nozze di
Paolo III (allora ancora cardinale) per il figlio Pier Luigi in
occasione del suo matrimonio con Girolama Orsini, figlia di Lodovico
conte di Pitigliano. La cosa può apparire plausibile e suggestiva, ma è
senz'altro più corretto affermare che il matrimonio del figlio di Paolo
III costituì semplicemente l'occasione per la costruzione dell'edificio:
Pier Luigi, in effetti, dopo le nozze si stabilì con la moglie nella
rocca di Valentano e seppur frequentò regolarmente il palazzo (com'è
documentato), non vi abitò mai a lungo.
Il Palazzo Farnese
di Gradoli, vista sul lato nord
Il Palazzo Farnese
di Gradoli, ingresso principale e piazzetta
Il Palazzo Farnese
di Gradoli, vista sul lato sud
Antonio da
Sangallo il Giovane, progettò il Palazzo nel 1515
Gerolama Orsini,
moglie di Pierluigi Farnese
Pier Luigi Farnese,
in occasione del suo matrimonio fu costruito il
Palazzo
Risponde invece al vero, nonostante la sua parvenza
aneddotica, l'attribuzione a Paolo III del famoso detto secondo cui "se
vuoi vivere in eterno, vivi a Gradoli d'estate e a Canino in inverno":
il palazzo fu infatti concepito fin dall'inizio come luogo di riposo e
svago feriale a disposizione di tutta la famiglia.
Vi soggiornarono, oltre al ricordato Pier Luigi e alla moglie, anche
Giulia Farnese detta "la Bella" (sorella di Paolo III) e naturalmente il
cardinal Alessandro, committente dell'opera e futuro papa.
Successivamente vi dimorarono il cardinal Alessandro Farnese Jr.,
Odoardo Farnese, anch'egli cardinale, e suo nipote Alessandro, figlio
sordomuto del fratello Ranuccio I. Il luogo era particolarmente
apprezzato dalle dame del casato: oltre a Giulia, che vi veniva con la
suocera Adriana Mila, lo frequentarono regolarmente Vittoria Farnese,
duchessa di Urbino, e Margherita Aldobrandini, moglie di Ranuccio,
quarto duca di Parma e Piacenza.
Curiosamente, nonostante la sua natura di luogo feriale, l'edificio ha
tutto l'aspetto di una solida e massiccia fortezza, carattere accentuato
dai poderosi contrafforti che lo premono su tre angoli. Il fatto è che
Antonio da Sangallo il Giovane, al quale nel 1515 il cardinal Alessandro
Farnese affidò il progetto, si trovò a edificare sui resti di una
preesistente fortezza medievale arroccata sul sommo di un colle che
guarda la sponda nordovest del Lago di Bolsena: fu quindi fortemente
condizionato dalla natura dei luoghi e dalle emergenze architettoniche
esistenti. Non solo, a causa della scarsa staticità delle fondamenta,
dovuta alla ristrettezza della base della costruzione, dopo qualche anno
dalla conclusione dei lavori fu necessario munire l'edificio di adeguati
rinforzi, per garantirne la stabilità. Il problema fu brillantemente
risolto dal Sangallo con la realizzazione dei possenti contrafforti
angolari, che da allora caratterizzano, senza pregiudicarla, l'estetica
del palazzo. Anzi, come afferma un viaggiatore e scrittore inglese,
l'effetto prodotto "toglie ancor oggi il fiato".
Altra peculiarità dell'edificio è la mancanza di un cortile o corte
interna, che invece troviamo nei palazzi Farnese di Valentano,
Capodimonte, Caprarola e Roma. E' molto probabile che all'epoca una tale
funzione fosse svolta dalla piazzetta antistante il palazzo, che ancor
oggi appare chiaramente come una sua pertinenza. Non vi è altresì
traccia non dico di un parco (a differenza di Caprarola, come Gradoli
luogo di delizie feriali), ma nemmeno di un giardino (presente invece a
Capodimonte). Ciò potrebbe risultare quantomeno insolito in una
costruzione concepita fin dall'origine come residenza estiva e di
rappresentanza. La motivazione, tuttavia, è sempre la stessa: la natura
dei luoghi e la mancanza di spazio. Non si deve poi dimenticare che il
cardinal Farnese scelse questo luogo e lo preferì ad altri soprattutto
per la purezza e salubrità dell'aria: Gradoli era ai suoi occhi il
miglior posto dove trascorrere l'estate.
Anche la mancanza di un parco, a ben vedere, non doveva costituire un
grosso problema per i villeggianti: il palazzo si affaccia a nord su una
campagna che all'epoca doveva essere assai boscosa e ricca di
selvaggina, ideale quindi come riserva di caccia.
Geniale quel Sangallo…
Veduta di un
settore del soffitto ligneo del piano nobile
Antico libro
dell'archivio farnesiano, esposto nel museo del
Palazzo
Pianta primo piano
nobile
Salone piano
nobile oggi sala consiliare
Pianta secondo
piano nobile
Pianta primo, mezzanino
Antonio
da Sangallo il Giovane è stato uno dei più importanti architetti del
cinquecento. Quando arrivò a Gradoli aveva poco più di trent'anni e un
bagaglio di esperienze già cospicuo. Era l'architetto di fiducia del
cardinal Alessandro Farnese che lo utilizzò in tutti i cantieri aperti
nei territori farnesiani, come pure farà suo nipote il cardinal
Alessandro Farnese Jr. Per i Farnese il Sangallo impegnò gran parte
della su energie creative, realizzando un gran numero di opere: dalla
rocca di Capodimonte alla Rocchina dell'isola Bisentina, dalla chiesa di
S. Egidio a Cellere alla chiesetta di Montedoro a Montefiascone (di cui
è discussa la committenza farnesiana), dal Palazzo Farnese di Caprarola
al Palazzo Farnese di Roma. Un discorso a parte meriterebbe l'impegno
creativo profuso dal Sangallo nell'edificazione dal nulla della città di
Castro, la sfortunata capitale del ducato farnesiano, di cui ci restano
solo i disegni e qualche rudere riconquistato dalla macchia. Si ha
invero l'impressione che la sua genialità di artista tra i massimi che
il rinascimento abbia espresso non sia stata ancora pienamente percepita
e considerata.
A Gradoli il Sangallo ricevette l'incarico di realizzare, nell'area
occupata dai ruderi già vecchi di tre secoli della rocca medievale, la
più bella e comoda delle residenze estive. Lo splendido risultato è
ancora sotto i nostri occhi.
La sua genialità creativa si
manifestò non solo nella capacità di adattare magnificamente
le emergenze architettoniche preesistenti alle peculiari
esigenze, materiali e culturali, proprie di una famiglia
principesca rinascimentale, quale i Farnese erano o si
avviavano a diventare; non solo nel saper rimodulare
tempestivamente le scelte progettuali al fine di arginare
errori d'impostazione o imprevisti nell'esecuzione; ma
soprattutto nella capacità di elaborare soluzioni originali
e innovative a servizio della bellezza dei luoghi e della
qualità della vita. Il portone principale, che si affaccia
su una piazzetta cinquecentesca un tempo corte privata del
palazzo, ci introduce nell'androne che conserva il pavimento
originale in spinale di mattoni. Possiamo ora decidere se
scendere nel piano seminterrato - dove un tempo si trovavano
le cucine e il lavatoio- utilizzando l'ampia e comoda scala
che si diparte dinanzi a noi; oppure se salire al piano
nobile, percorrendo la scala monumentale situata al centro
dell'atrio e affiancata alla precedente. La scala, con bell'effetto
prospettico, è delimitata sul pianerottolo di arrivo da una
grande luce finestrata. Scegliendola arriviamo al primo
piano, o piano nobile.
Volgendoci a sinistra possiamo ora entrare nel grande
salone di rappresentanza, denominato un po’ enfaticamente
"sala ducale", attualmente adibito ad aula consiliare. Il
vasto ambiente, il cui alto soffitto ligneo a cassettoni è
talvolta decorato con scene miniate di tipo votivo e con
stemmi farnesiani, percorre l'edificio in tutta la sua
profondità: efficace espediente per migliorarne la
ventilazione. Il salone, dotato come ogni altro ambiente di
rappresentanza di un grande camino, è decorato con affreschi
a grottesche, ma di ciò tratteremo in uno specifico articolo
Torniamo ora sul pianerottolo e riprendiamo la scala
nobile per salire al piano superiore. Le sale del secondo
piano nobile (come viene anche chiamato) sono oggi occupate
dal Museo del Costume Farnesiano, al quale dedicheremo un
articolo specifico. L'allestimento museale, con i suoi
pannelli e le sue installazioni, non consente di apprezzare
pienamente la struttura architettonica dei luoghi, come pure
gli affreschi -a monocromo e di tipo tradizionale - che
decorano le sale (e dei quali pure tratteremo a parte).
Anche l'illuminazione, studiata per valorizzare al massimo
gli abiti esposti e talvolta ambientati, penalizza un poco
la visione degli affreschi.
La prima sala che incontriamo entrando è senz'altro la più
interessante: è conosciuta come "il loggione" (in virtù
della sua antica destinazione) o "la sala dei filosofi" (in
considerazione delle figure che vi sono affrescate).
L'ambiente oggi appare completamente chiuso, ma al tempo dei
Farnese le pareti a nord e ad est erano aperte o
parzialmente aperte, tanto da dar forma ad una splendida
loggia a servizio del palazzo. Tale struttura, bella e
funzionale, era oltremodo utile: essendo infatti l'edificio
a pianta chiusa non residuano ulteriori spazi aperti. Qui i
nobili padroni di casa e i loro aristocratici ospiti si
godevano il fresco e l'aria buona. Oggi, in seguito ai rimaneggiamenti e ai numerosi
interventi di ristrutturazione avvenuti nel corso dei
secoli, del grande terrazzo coperto non resta più traccia.
Apprestandoci a tornare sui nostri passi, è il momento di
rilevare che oltre alla scala principale o "nobile"
l'edificio dispone di altre due scale: quella privata o
"segreta", a servizio degli alloggi dei signori; e quella di
servizio, riservata alla servitù. Altra importante
caratteristica del palazzo è la presenza di due semipiani,
chiamati anche piani di "mezzanino", che si estendono nella
zona est dell'edificio ed erano destinati agli alloggi della
servitù e ad altre attività di servizio. Il primo mezzanino
è posto tra il piano terreno e il piano nobile, il secondo
tra questo e il secondo piano. Quest'ultimo è attualmente
occupato da una sezione del museo del costume farnesiano.
Dopo i Farnese
I Farnese conservarono il
palazzo fino al 1649, vale a dire fino alla distruzione del Ducato di
Castro, al quale anche Gradoli apparteneva. Con il ritorno dei
possedimenti farnesiani allo Stato della Chiesa inizia per il palazzo un
lento e malinconico declino. L'austero e imponente edificio che per
quasi un secolo e mezzo era stato residenza principesca diverrà deposito
e magazzino.
Nel 1716 Clemente XI concesse il palazzo, ormai quasi in rovina, alla
congregazione dei Padri Filippini, i quali si faranno promotori di
incisivi interventi di ristrutturazione, sia all'interno che
all'esterno, per adattarlo alle loro esigenze. Pur tra alterne vicende -
al palazzo non fu risparmiato l'oltraggio delle soldataglie francesi che
nel 1849 lo trasformarono in bivacco- i Padri Filippini vi restarono
fino al 1874, anno in cui l'edificio fu requisito dallo stato italiano e
come i beni degli altri ordini religiosi fu trasferito al demanio
pubblico. Ne conseguì una ulteriore e definitiva spoliazione da parte di
successivi affittuari senza scrupoli.
Nel 1878, tuttavia, sono ancora i Padri Filippini a tornare in possesso
dell'immobile, nella figura di due singolari personaggi, uno dei quali -
vale a dire Giovan Battista Polverini - era appena rientrato nel seno
della Chiesa dopo esperienze al limite dell'eresia. I due, in sostanza,
dopo aver ottenuto l'autorizzazione del vescovo, acquistarono l'edificio
all'asta, utilizzando allo scopo denaro proprio.
Il cardinal
Alessandro Farnese, (futuro papa Paolo III) edificò
il Palazzo (Raffaello, 1510)
Stemma Farnese del
XVI sec.
Parete affrescata
del Loggione del secondo piano del Palazzo
Centropiatto -
prima metà del XVI sec
Boccale in
ceramica del XVI sec
Piatto in ceramica
del XVI sec
Nel 1922, nondimeno, il papa Benedetto XV, volendo porre fine alla
ambigua situazione che si era venuta a creare dopo la morte di uno dei
due Filippini, e che aveva trasformato il superstite Polverini - don
Titta per i gradolesi - in proprietario unico del palazzo, riacquistò da
questi l'immobile e lo donò finalmente alla comunità di Gradoli.
L'edificio divenne così sede delle scuole e degli uffici comunali.
Oggi nel palazzo, oltre agli uffici comunali, troviamo la biblioteca, il
Centro Studi e Ricerche sul territorio farnesiano, l'Archivio storico,
il Museo e Centro di documentazione del costume farnesiano: autorevoli
istituzioni culturali per la conservazione, lo studio e la divulgazione
delle memorie storiche e culturali del nostro territorio.