La storia degli oliveti di Canino a partire dal 1800 (prima parte)

Estratto dal numero di Marzo 2016 di Canino 2008

 

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di Arturo Archibusacci

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Pianta del territorio di Canino

 

Parto con le date abbastanza certe dei miei ricordi che risalgono ai discorsi di mio padre Giovanni e degli amici di età più grandi di lui, discorsi che io ascoltavo con molto interesse.

Agli inizi dell’800 fino agli anni trenta/quaranta del secolo scorso, la coltivazione dell’olivo a Canino era cosi distribuita: a nord del paese, sulla strada statale che porta verso Cellere e Valentano lato destro la zona denominata “Pian delle Pozze”, era quasi tutta coltivata fino al confine dei comuni di Cellere e Tessennano. ln questo lato i proprietari erano i Marcelli con oliveto in zona di San Francesco, i Brenciaglia nella zona del “Vallone”, a seguire i Tattoni, i Conti , i Simoni, e i Mariotti tutti in zona “Pian delle Pozze". Sul lato sinistro , quasi a ridosso l’abitato di Canino, i Frigola e i Marcelli nella zona chiamata del “Casalaccio” e i Conti Valentini nel poggio di fronte denominato “Poggio Fallito,” così chiamato perché precedentemente, nel’70O , era un bosco di scarsissimo valore; furono i Conti Valentini nell’800 a disboscarlo in pane ed impiantarci l’oliveto. In quella zona la coltivazione dell’olivo terminava a confine con la tenuta di Cerro Sughero di proprietà della Curia Apostolica di Canino e successivamente venduta alla famiglia De Parri di Piansano, in seguito ad un finanziamento fatto da questa alla Curia per la costruzione del campanile della Chiesa Collegiata. Il territorio nord est del comune era ed è tuttora alternato da boschi e oliveti, quasi tutti risalenti alla fine del ‘700 e i primi dell’ 800, le proprietà allora appartenevano ai Brenciaglia, che avevano ereditato dalla famiglia De Andreis (commercianti di olio genovesi) venuti a Canino alla fine del ‘700. Le proprietà avevano ed hanno ancora oggi i nomi di “Santa Lucia", “Sette Camini", quelle dei Conti Valentini con i nomi di “Castellardo”, “Ponton di Castrato” ed il già citato Pian delle Pozze, l’oliveto più importante era quello delle “Capoccette", già campo sperimentale prima degli anni trenta, di proprietà della famiglia Caporioni. Il lato ovest del nostro territorio, quello per intenderci sulla strada che porta alla zona della ”Bonifica“ e prosegue poi per Ponte San Pietro e Manciano, era coltivato a oliveto per circa tre chilometri. La zona e denominata “Pian della Spina”, era in gran parte di proprietà dei Pompei e dei Marcelli; a seguire, la zona denominata “Doganelle" era di proprietà dei Mariotti, altri appezzamenti olivetani di circa un ettaro erano di coltivatori caninesi a cui il Comune di Canino aveva concesso in enfiteusi quei terreni alla fine degli anni venti, dopo che erano stati disboscati. Anche questa zona, per la composizione del terreno in gran parte costituito da banchi tufacei nonché per l’altitudine e per la cultivar caninese presente, è considerata una delle migliori del nostro territorio. La zona Sud est e sud ovest è quella con il maggior numero di oliveti impiantati. In quel periodo, alla metà degli anni cinquanta, il paese di Canino era circondato per circa tre chilometri da oliveti secolari, per il resto era piena Maremma con boschi e pascoli. Sulla strada che porta a Montalto, gli oliveti terminavano nella zona delle “Mosse”, così detta perché da quel punto, per tutto l‘800, la Compagnia Bovattieri di Canino lasciava liberi gli armenti per il pascolo allo stato brado nei boschi di proprietà della Curia Apostolica. Gli armenti erano contrassegnati con marchi a fuoco riportanti le iniziali del nome e cognome dei vari proprietari, per poterli riconoscere dopo il periodo dei pascoli. Gli oliveti di questa zona hanno i nomi delle Mosse e delle Mossette, già di proprietà dei Conti Valentini, dei De Andreis   poi passati ai Brenciaglia) il “Podere" di proprietà degli Alessandri. Su quel tratto di strada, dalle Mosse a Musignano, gli oliveti esistenti erano di proprietà del Principe Torlonia e si estendevano fino a Musignano; era una striscia di terra che lambiva il bosco, a destra denominata “Parco Superiore" e a sinistra “Le due File". Le altre zone a sud dell‘abitato di Canino prospicenti il mare, sono quelle storiche; partendo proprio dall’abitato dei paese il “Mausoleo” della famiglia Pala, così chiamato perché si narra che lì si trovi la tomba ed il mausoleo della potente famiglia romana ”Gens Caninia" originaria dell’etrusca Vulci, città distrutta dai romani. Famiglia che sembra abbia fondato e dato il nome a Canino. A seguire gli oliveti della Chiusaccia, del Podere (già appartenuti alla famiglia Pala) posti sulla via di Tarquinia o via di Corneto, dove alla fine dell’oliveto “II Podere”, terminavano gli oliveti storici. Sul lato destro della stessa strada c’erano gli oliveti dei Marcelli, a seguire quello dei Conti, imparentati poi con i Pala, gli appezzamenti dei Conti Valentini di Laviano con l’oliveto il “Buisonne” ed il celeberrimo oliveto della Morgantina", che insieme a quello di Santa Lucia dei Brenciaglia hanno rappresentato il fiore all’occhiello dell’olivicoltura caninese: per questi oliveti si parla di piante che erano capaci di produrre ben oltre sette qli di olive. Per la maestosità delle piante di questi oliveti bisognerebbe scrivere un libro apposito, anche se, purtroppo, le secolari piante dell'oliveto della Morgantina oggi non esistono più. Ed é proprio alla Morgantina che fino a metà degli anni venti terminava la coltivazione dell’olivo nel territorio che va verso il mare. Quindi possiamo ben dire che fino a quella data (fine anni ‘20 ) la coltivazione dell’olivo a Canino si estendeva per un raggio intorno al paese di non più di tre, quattro chilometri al massimo. Il resto erano tutti boschi fino a Montalto di Castro, lato destro della strada principalmente sul lato sinistro si estendeva la piana di Canino o più comunemente chiamata “Piana del Diavolo”, dove non esistevano boschi ma solo pascoli, cespugli di ginestra ed acquitrini: il vero volto della nostra Maremma. In quegli anni di metà ottocento vi furono fermenti nel rinnovare i frantoi, per lo più aziendali. Allora i frantoi erano ubicati una parte, quelli con minor produzione, all'interno del paese ed erano azionati da cavalli per quanto concerne il far girare le macine in granito; in genere si trattava di una macina, mentre la pressa, per lo più costruita in legno, era azionata manualmente con Ia forza delle braccia degli operai per via di una vite senza fine che stringeva i fiscoli di giunco fatti a tasca, dove, sempre manualmente, gli operai inserivano la pasta delle olive frante. I] giunco é una fibra vegetale che veniva raccolta in zone paludose di canino o di Montalto, per lo più vicino al mare. Questa fibra vegetale è stata utilizzata per tale scopo fin dopo la seconda guerra mondiale, tanto é vero che Titta Giorgi, discendente da una famiglia di fabbricanti di fiscoli, mi ha raccontato che con i fratelli ed il padre, nel periodo primavera/estate, andavano a raccogliere il giunco nella zona adiacente alla marina di Montalto di Castro, nella tenuta dei Nobili Monti Guarnieri, oggi terreni quasi tutti edificati. Altri frantoi, quelli di maggior produzione, invece erano ubicati sulla riva del fosso di S. Moro, nella parte sud del paese. Tanto è vero che i frantoi sia di De Andreis, poi passato ai Brenciaglia, che dei Conti Valentini, erano posizionati in tale tratto di fosso, Il Principe Torlonia, invece aveva costruito il proprio frantoio all'interno della Ferriera andata in disuso, posizionata sul fiume Timone, subito dopo la cascata del Pellico. Ai primi del ‘900, all‘incirca nel 1915, quel frantoio fu dato in affitto per alcune stagioni olearie alla mia famiglia ed in seguito ritornò ai proprietari. Nel 1868, i Conti Valentini, rinnovarono il proprio frantoio sito sul corso del fosso S. Moro ed a fianco vi fecero costruire un Sansificio che in seguito sarà venduto dai proprietari alla famiglia Archibusacci. La costruzione del frantoio e del sansificio era stata affidata ad una ditta toscana di Pietrasanta, in provincia di Lucca, e della ditta facevano parte i fratelli Marroni; gli eredi sono ancora presenti a Canino. I primi nuovi oliveti furono impiantati a metà degli anni ’20 nella zona della “Macchia dei Buoi" nei terreni situati subito dopo la “Morgantina” di proprietà del comune di Canino; fino a quella data c’erano solo boschi. Furono disboscati, vennero impiantati gli olivi, esclusivamente della cultivar caninese, e quelle terre furono assegnate, concedendo non più di un ettaro a famiglia, in enfiteusi ai cittadini caninesi.

Quei terreni hanno i nomi della zona del “Boschetto”, "Macchia dei Buoi", "La Fontanaccia","La Tomba", “San Pierrotto vecchio”; poi seguirà sempre da parte del comune e con le stesse modalità l’assegnazione dei terreni di “San Pierrotto” subito dopo la seconda guerra mondiale, così come i terreni del “Mezzagnone“ e della “Piovosa”, questi ultimi facenti parte della tenuta della “Sugarella”, di proprietà del Sovrano Militare Ordine di Malta, conosciuto con l‘acronimo di SMOM. Negli anni quaranta il Principe Torlonia, per scongiurare un esproprio delle terre da parte del Regime Fascista, inizia il disboscamento e la bonifica di terreni, contigui fra loro, denominati “Macchia di Musignano” e “Macchia della Banditella” per circa 700 ettari, facenti parte della grande tenuta di “Musignano”, già feudo di Luciano Bonaparte fratello di Napoleone I ed ancor prima dello Stato Pontificio. I terreni cosi disboscati furono dissodati con delle grandi macchine a vapore con aratri da scasso trainati da robusti cavi di acciaio. Le macchine provenivano dalla pianura padana e i manovratori erano tre fratelli di Budrio in provincia di Bologna, i Franceschi, uno dei quali, Walter, sposando una ragazza di Canino, si è stabilito per il resto della sua vita nel nostro paese lasciando un ottimo ricordo a tutti coloro che lo hanno conosciuto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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