|

Pianta del territorio di Canino |
|
|
Parto con le date
abbastanza certe dei miei ricordi che risalgono ai discorsi di
mio padre Giovanni e degli amici di età più grandi di lui,
discorsi che io ascoltavo con molto interesse.
Agli inizi dell’800
fino agli anni trenta/quaranta del secolo scorso, la
coltivazione dell’olivo a Canino era cosi distribuita: a nord
del paese, sulla strada statale che porta verso Cellere e
Valentano lato destro la zona denominata “Pian delle Pozze”, era
quasi tutta coltivata fino al confine dei comuni di Cellere e
Tessennano. ln questo lato i proprietari erano i Marcelli con
oliveto in zona di San Francesco, i Brenciaglia nella zona del
“Vallone”, a seguire i Tattoni, i Conti , i Simoni, e i Mariotti
tutti in zona “Pian delle Pozze". Sul lato sinistro , quasi a
ridosso l’abitato di Canino, i Frigola e i Marcelli nella zona
chiamata del “Casalaccio” e i Conti Valentini nel poggio di
fronte denominato “Poggio Fallito,” così chiamato perché
precedentemente, nel’70O , era un bosco di scarsissimo valore;
furono i Conti Valentini nell’800 a disboscarlo in pane ed
impiantarci l’oliveto. In quella zona la coltivazione dell’olivo
terminava a confine con la tenuta di Cerro Sughero di proprietà
della Curia Apostolica di Canino e successivamente venduta alla
famiglia De Parri di Piansano, in seguito ad un finanziamento
fatto da questa alla Curia per la costruzione del campanile
della Chiesa Collegiata. Il territorio nord est del comune era
ed è tuttora alternato da boschi e oliveti, quasi tutti
risalenti alla fine del ‘700 e i primi dell’ 800, le proprietà
allora appartenevano ai Brenciaglia, che avevano ereditato dalla
famiglia De Andreis (commercianti di olio genovesi) venuti a
Canino alla fine del ‘700. Le proprietà avevano ed hanno ancora
oggi i nomi di “Santa Lucia", “Sette Camini", quelle dei Conti
Valentini con i nomi di “Castellardo”, “Ponton di Castrato” ed
il già citato Pian delle Pozze, l’oliveto più importante era
quello
delle “Capoccette", già campo
sperimentale
prima degli anni trenta, di
proprietà della famiglia Caporioni.
Il lato ovest del nostro territorio,
quello per
intenderci sulla strada che porta
alla zona
della ”Bonifica“ e prosegue poi per
Ponte San
Pietro e Manciano, era coltivato a
oliveto per
circa tre chilometri. La zona e
denominata “Pian
della Spina”, era in gran parte di
proprietà dei
Pompei e dei Marcelli; a seguire, la
zona denominata “Doganelle" era di proprietà dei
Mariotti, altri appezzamenti
olivetani di circa un
ettaro erano di coltivatori caninesi
a cui il
Comune di Canino aveva concesso in
enfiteusi
quei terreni alla fine degli anni
venti, dopo che
erano stati disboscati.
Anche questa zona, per la
composizione del
terreno in gran parte costituito da
banchi tufacei
nonché per l’altitudine e per la
cultivar caninese
presente, è considerata una delle
migliori del
nostro territorio.
La zona Sud est e sud ovest è quella
con il
maggior numero di oliveti
impiantati.
In quel periodo, alla metà degli
anni cinquanta, il paese di Canino era circondato per circa tre
chilometri da oliveti secolari, per
il resto era
piena Maremma con boschi e pascoli.
Sulla strada che porta a Montalto,
gli oliveti
terminavano nella zona delle
“Mosse”, così detta
perché da quel punto, per tutto
l‘800, la
Compagnia Bovattieri di Canino
lasciava liberi gli armenti per il pascolo allo stato brado nei
boschi di proprietà della Curia Apostolica. Gli armenti erano
contrassegnati con marchi a fuoco riportanti le iniziali del
nome e cognome dei vari proprietari, per poterli riconoscere
dopo il periodo dei pascoli. Gli oliveti di questa zona hanno i
nomi delle Mosse e delle Mossette, già di proprietà dei Conti
Valentini, dei De Andreis
poi passati ai Brenciaglia) il
“Podere" di proprietà degli Alessandri. Su quel tratto di
strada, dalle Mosse a Musignano, gli oliveti esistenti erano di
proprietà del Principe Torlonia e si estendevano fino a Musignano;
era una striscia di terra che lambiva il bosco, a destra
denominata “Parco Superiore" e a sinistra “Le due File". Le
altre zone a sud dell‘abitato di Canino prospicenti il mare,
sono quelle storiche; partendo proprio dall’abitato dei paese il
“Mausoleo” della famiglia Pala, così chiamato perché si narra
che lì si trovi la tomba ed il mausoleo della potente famiglia
romana ”Gens Caninia" originaria dell’etrusca Vulci, città
distrutta dai romani. Famiglia che sembra abbia fondato e dato
il nome a Canino. A seguire gli oliveti della Chiusaccia, del
Podere (già appartenuti alla famiglia Pala) posti sulla via di
Tarquinia o via di Corneto, dove alla fine dell’oliveto “II
Podere”, terminavano gli oliveti storici.
Sul lato destro della stessa strada
c’erano gli
oliveti dei Marcelli, a seguire
quello dei
Conti, imparentati poi con i Pala,
gli appezzamenti dei Conti Valentini di Laviano con l’oliveto il
“Buisonne” ed il celeberrimo oliveto della
“Morgantina", che insieme a quello
di Santa
Lucia dei Brenciaglia hanno
rappresentato il
fiore all’occhiello
dell’olivicoltura caninese:
per questi oliveti si parla di
piante che erano
capaci di produrre ben oltre sette
qli di olive.
Per la maestosità delle piante di
questi oliveti bisognerebbe scrivere un libro apposito, anche
se, purtroppo, le secolari piante
dell'oliveto della
Morgantina oggi non esistono più.
Ed é proprio alla Morgantina che fino
a metà
degli anni venti terminava la
coltivazione dell’olivo nel territorio che va verso il mare.
Quindi
possiamo ben dire che fino a quella
data (fine
anni ‘20 ) la coltivazione
dell’olivo a Canino si
estendeva per un raggio intorno al
paese di non
più di tre, quattro chilometri al
massimo.
Il resto erano tutti boschi fino a
Montalto di
Castro, lato destro della strada
principalmente
sul lato sinistro si estendeva la
piana di Canino o
più comunemente chiamata “Piana del
Diavolo”, dove non esistevano boschi
ma solo
pascoli, cespugli di ginestra ed
acquitrini: il vero
volto della nostra Maremma.
In quegli anni di metà ottocento vi
furono
fermenti nel rinnovare i frantoi,
per lo più aziendali. Allora i frantoi erano ubicati una parte,
quelli con minor produzione, all'interno del paese ed erano
azionati da cavalli per quanto concerne il far girare le macine
in granito; in genere si trattava di una macina, mentre la
pressa, per lo più costruita in legno, era azionata manualmente
con Ia forza delle braccia degli operai per via di una vite
senza fine che stringeva i fiscoli di giunco fatti a tasca, dove,
sempre manualmente, gli operai inserivano la pasta delle olive
frante. I] giunco é una fibra vegetale che veniva raccolta in
zone paludose di canino o di Montalto, per lo più vicino al
mare. Questa fibra vegetale è stata utilizzata per tale scopo fin
dopo la seconda guerra mondiale, tanto é vero che Titta Giorgi,
discendente da una famiglia di fabbricanti di fiscoli, mi ha
raccontato che con i fratelli ed il padre, nel periodo
primavera/estate, andavano a raccogliere il giunco nella zona
adiacente alla marina di Montalto di Castro, nella tenuta dei
Nobili Monti Guarnieri, oggi terreni quasi tutti edificati. Altri
frantoi, quelli di maggior produzione, invece erano ubicati
sulla riva del fosso di S. Moro, nella parte sud del paese.
Tanto è vero che i frantoi sia di De Andreis, poi passato ai
Brenciaglia, che dei Conti Valentini, erano posizionati in tale
tratto di fosso, Il Principe Torlonia, invece aveva costruito il
proprio frantoio all'interno della Ferriera andata in disuso,
posizionata sul fiume Timone, subito dopo la cascata del Pellico.
Ai primi del ‘900, all‘incirca nel 1915, quel frantoio fu dato
in affitto per alcune stagioni olearie alla mia famiglia ed in
seguito ritornò ai proprietari. Nel 1868, i Conti Valentini,
rinnovarono il proprio frantoio sito sul corso del fosso S. Moro
ed a fianco vi fecero costruire un Sansificio che in seguito
sarà venduto dai proprietari alla famiglia Archibusacci. La
costruzione del frantoio e del sansificio era stata affidata ad
una ditta toscana di Pietrasanta, in provincia di Lucca, e della
ditta facevano parte i fratelli Marroni; gli eredi sono ancora
presenti a Canino. I primi nuovi oliveti furono impiantati a
metà degli anni ’20 nella zona della “Macchia dei Buoi" nei
terreni situati subito dopo la “Morgantina” di proprietà del
comune di Canino; fino a quella data c’erano solo boschi. Furono
disboscati, vennero impiantati gli olivi, esclusivamente della
cultivar caninese, e quelle terre furono assegnate, concedendo
non più di un ettaro a famiglia, in enfiteusi ai cittadini
caninesi.
Quei terreni hanno i
nomi della zona del
“Boschetto”, "Macchia dei Buoi", "La
Fontanaccia","La Tomba", “San Pierrotto vecchio”; poi
seguirà sempre da parte del comune e
con le
stesse modalità l’assegnazione dei
terreni di
“San Pierrotto” subito dopo la
seconda guerra
mondiale, così come i terreni del “Mezzagnone“
e della “Piovosa”, questi ultimi facenti parte
della tenuta della “Sugarella”, di
proprietà del
Sovrano Militare Ordine di Malta,
conosciuto
con l‘acronimo di SMOM.
Negli anni quaranta il Principe
Torlonia, per scongiurare un esproprio
delle terre da parte del
Regime Fascista, inizia il
disboscamento e la
bonifica di terreni, contigui fra
loro, denominati “Macchia di Musignano” e “Macchia della
Banditella” per circa 700 ettari,
facenti parte
della grande tenuta di “Musignano”,
già feudo di
Luciano Bonaparte fratello di
Napoleone I ed
ancor prima dello Stato Pontificio.
I terreni cosi disboscati furono
dissodati con
delle grandi macchine a vapore con
aratri da
scasso trainati da robusti cavi di
acciaio. Le
macchine provenivano dalla pianura
padana e i
manovratori erano tre fratelli di
Budrio in provincia di Bologna, i Franceschi, uno dei quali,
Walter, sposando una ragazza di
Canino, si è
stabilito per il resto della sua
vita nel nostro
paese lasciando un ottimo ricordo a
tutti coloro
che lo hanno conosciuto.

|