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L’antico complesso
industriale della “Ferriera” (1)
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Terminata la visita a Castellardo proseguiamo il nostro itinerario
visitando uno dei monumenti di archeologia industriale più
importanti del Lazio:
la Ferriera. Da Castellardo prendiamo la strada che
riporta a Canino e costeggiamo il corso del fosso Timone. Ad un
certo punto, sulla destra, ci appaiono una serie di edifici che
un tempo costituivano un importante complesso siderurgico.
Bisogna far risalire l’impianto del forno fusorio al periodo del
Ducato di Castro (1537-1649), e di ciò ne fa cenno Benedetto
Zucchi nella sua nota “Informatione…”. Attorno al 1672 fu
ricostruito, per conto della Camera Apostolica, dagli allora
affittuari dello Stato di Castro Pier Filippo e Giuseppe Nerli.
Il forno fusorio di Canino traeva l’energia idraulica necessaria
al suo funzionamento dalla cascata del “Pellico”, che
assicurava una forza stimata in circa 50 cavalli vapore. Il
minerale da fondere proveniva soprattutto dalle miniere
dell’isola d’Elba, e trasportato per via mare fino ai porti di
Palo, Montalto e Tarquinia, veniva poi fatto proseguire a dorso
di mulo verso Canino. Per l’industria siderurgica pontificia il
forno fusorio di Canino aveva un’importanza strategica, infatti
insieme all’impianto di Bracciano erano gli unici a produrre la
ghisa che alimentava le diverse “ferriere” dello Stato.
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Il “forno” di Canino era molto importante anche per l’economia del
paese e del circondario; attorno ad esso lavoravano molte
persone, stimate in circa 200 unità: dagli operai
dell’altoforno, a quelli che si occupavano del taglio delle
macchie e preparavano le “carbonaie”, da coloro che
trasportavano il minerale ferroso dai porti sulla costa
all’impianto, agli altri che trasportavano la ghisa verso le
ferriere di Viterbo, Vetralla, Sutri, Ronciglione. Una vasta
attività produttiva si era organizzata attorno a questo
complesso industriale, che conservò la sua vitalità fino alla
prima metà dell’800, dopo di che iniziò una inesorabile
decadenza. Nel 1770 l’intero complesso fu sottoposto ad
importanti lavori di manutenzione, commissionati da un altro
affittuario dello Stato di Castro, Filippo Stampa, ed eseguiti
da Filippo Prada, un capo mastro muratore assai noto nella zona.
Tali lavori portarono alla costruzione di un imponente
acquedotto in mattoni e ad una parziale ricostruzione della
struttura che sosteneva l’altoforno; furono anche rinnovate le
abitazioni per gli operai.
Il complesso oggi esistente corrisponde assai bene alla pianta
del 1770, e testimonia come a Canino sia sopravvissuto un intero
complesso industriale settecentesco, con chiesa, magazzini e
case per i lavoranti. |

Resti dei carbonili (depositi
di carbone)
all'interno della Ferriera (1)
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La cascata del “Pellico”
formata dal torrente Timone forniva l'energia necessaria al
funzionamento del forno fusorio.
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Le principali differenze rispetto alla pianta del 1770 sono
l’esistenza di un forno di pre-arrostimento in più ed il fatto
che il magazzino della ghisa è pressoché sparito, molto
probabilmente a causa dell’erosione delle sponde del torrente
Timone. Un’altra variante è l’aggiunta, in epoca imprecisata, di
una condotta forzata in ferro che azionava la turbina di un
frantoio, installata dopo la fine produttiva dell’altoforno. Nel
complesso non è presente alcuna “ferriera” (edificio nel quale
si affinava e lavorava il ferro fuso), anche se è riportato
nella pianta antica. Si sa che alla fine del XVIII secolo ne fu
edificata una, non molto distante da qui, su terreni comunali.
L’intero complesso fu acquistato da Luciano Bonaparte nel 1808,
in quanto parte integrante delle proprietà cedute dalla Camera
Apostolica al fratello del grande Napoleone. L’impianto,
ereditato da Carlo Bonaparte, figlio di Luciano, fu da questi
venduto insieme alle altre proprietà alla famiglia Torlonia nel
1853. Oggi le strutture sono molto rovinate e in molti punti
coperti da una fitta vegetazione; quasi tutti i tetti sono
crollati, anche se le opere murarie non sembrano correre
immediati pericoli. |
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(1) Foto di Leonardo
Mancini |
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