Tamburi nella notte
Non sono mai andato a Marta il 14 maggio alle quattro del mattino.
No, non ci sono mai andato. Ma prima o poi lo farò, perché è lì che
inizia la festa.
A quell’ora, il buio è ancora fitto, torme di uomini e ragazzi,
vecchi, giovani e bambini escono vocianti da garage, rimesse,
cantine e magazzini; quindi, disordinatamente, si avviano verso il
suono dei tamburi e si accodano ai suonatori, gridando in coro a
squarciagola le quattro tradizionali invocazioni alla Madonna
Santissima del Monte, al Santissimo Sacramento, a Gesù e Maria.
Intanto anche la campane della Collegiata dei SS. Marta e Biagio
hanno preso a suonare e si ode ovunque lo scoppio di bombe e
mortaretti.
Tamburi che rombano nel cuore della notte? Campane che suonano a
distesa? Grida di giubilo tra le vecchie case del centro?
Evidentemente nessuno si preoccupa di disturbare il sonno dei
paesani che dormono, anzi l’obiettivo è proprio quello di
svegliarli, tutti, ma proprio tutti, perché la festa è iniziata e
tutti lo devono sapere.
Poco a poco, al tocco dei tamburi e all’eco delle grida, le
finestre si illuminano, i balconi si schiudono, le porte si aprono
e sui davanzali, sui terrazzi e sugli usci si intravedono donne
sorridenti, seppur insonnolite, e non ancora in ordine; ragazze in
pigiama che sporgono la testa per distinguere nel buio e tra la
folla un volto amico; anche qualche bimbetta che si stropiccia gli
occhi e tira alla mamma la vestaglia per farsi prender su. Tutte
donne, solo donne, perché i loro uomini, tutti gli uomini, padri,
mariti, figli, amici, fidanzati, sono giù in strada dietro all’urlo
dei tamburi a gridare la loro fede incomparabile nella Madonna
Santissima del Monte.
Dopo aver fatto il giro delle vie del centro il corteo si scioglie
ma si non torna a casa: una moltitudine di uomini di ogni età si
avvia verso il santuario della Madonna del Monte, appena fuori il
paese, su una collinetta da cui si domina lo specchio azzurro del
lago. Si sale senza solennità, quasi alla rinfusa, in modo allegro
e vociante. Si va a messa. Eh si, anche il vescovo deve farsi una
levataccia per celebrare l’Eucarestia alle sei del mattino. Ma è
meglio celebrarla ora la messa, quando gli animi sono ancora
relativamente pacati e i corpi non ancora agitati, dopo non sarebbe
possibile. E poi è meglio che al sant’uomo (perché è chiaro che un
vescovo, specie se anziano, è sempre un sant’uomo) venga
risparmiato lo scempio che di quel tempio, di quell’altare, di
quelle suppellettili sacre verrà fatto di lì a poche ore, quando
l’onda montante e ingovernabile delle falangi dei devoti martani
con al seguito i carri, le “fontane” e i doni rituali tracimerà
nella chiesa per effettuare le tradizionali “Passate”.
La Madonna del Monte, affrescata sulla parete di fondo del
santuario, proprio sopra l’altare, con i suoi tratti quasi naif e
con il Bambino in grembo, guarda benevola e comprensiva i suoi
indocili figli: da secoli è abituata alle loro intemperanze, alle
urla, agli schiamazzi, ai gesti sconvenienti, alla calca e al
sudore. Anche quest’anno riceverà sorridente il loro esagitato
omaggio; perché – è chiaro – loro la amano, fanno tutto questo per
lei, ogni anno, da centinaia di anni. Scelgono la frutta e i fiori
più belli, i pesci più grossi e pregiati, ogni prodotto che madre
terra in ogni stagione può dare e costruiscono carri, supporti,
fontane; replicano la sua immagine infinite volte, su tele,
lenzuoli, cartoni, compensati; la disegnano a mosaico con semi,
primizie e boccioli e la portano in trionfo invocando
incessantemente il suo nome.
Per intere settimane i fedeli martani passano le loro serate a
preparare i carri, lontani dalle mogli, dalle figlie, dalle
fidanzate. Chiusi in garage e magazzini, talvolta freddi, umidi e
maleodoranti. Tirano fino a tardi a intrecciare rami, arbusti e
canne per realizzare basi, supporti, paratoie; ad elaborare
complesse composizioni vegetali da mettere a punto l’ultima notte
con i fiori appena recisi e la frutta più fresca e ricercata. Tutto
questo al lume fioco di una vecchia lampadina e con le porte
socchiuse, perché il loro carro deve essere il più bello, il più
colorato, il più originale e nessuno lo deve vedere, nessuno lo
deve imitare.
Certo nelle lunghe ore di veglia ci scappa anche la parola grossa,
il discorso faceto e pure qualche bestemmia. Ma che vuol dire? Chi
potrebbe mettere in dubbio la loro fede atavica per la loro
Madonna? I martani ci nascono, ce l’hanno nel sangue: è una fede
che li accompagna per tutta la vita, fino all’estrema vecchiezza,
quando i più sensibili di loro continuano a scrivere poesie e
sonetti a lei dedicati, da diffondere, distribuire, affiggere nel
giorno della sua festa. E’ sempre stato così. Così hanno fatto i
loro padri, i loro nonni, i loro avi. Così faranno i loro figli e i
loro nipoti e pronipoti. Lei, la cui immagine li guarda da ogni
casa, da ogni locale pubblico o privato e anche dalla cantina o dal
magazzino in cui sono intenti a lavorare per onorarla, sorride
benevola ai suoi figli tanto più amati quanto più indocili: non è
lei da sempre il “refugium peccatorum”?
La festa dei maschi
Anni fa Elvira Banotti, fondatrice dello storico gruppo femminista
“Rivolta femminile”, se ne uscì, a proposito della barabbata – nome
con cui da tutti è conosciuta la festa della Madonna del Monte –
con la sorprendente definizione che trattasi di “festa
omosessuale”. Dicendo questo, si immagina, non con l’animo leggero
di chi partecipa ad un talk show, dove devi sempre spararla più
grossa per garantirti il diritto ad esserci e a restarci, ma con la
convinzione - se non la pretesa – di chi ha effettuato una analisi
socio-antropologica.
Naturalmente sbagliava. Come sempre sbaglia chi pretende di
giudicare i fenomeni sociali non dico senza conoscerli, ma senza
viverli. Senza immergercisi. Per questo dicevo che voglio andare a
Marta alle quattro del mattino (e prima o poi lo farò). Quello che
aveva colpito la fantasia della nota studiosa al punto da sviare il
suo giudizio è il fatto, peraltro non contestabile, che la
barabbata è una festa di maschi, solo di maschi. Le donne non vi
hanno alcuna parte. Non esistono.
Mi raccontava una mia amica di Marta che una volta anche le donne,
prese dalla suggestione del momento e dal rullo dei tamburi, si
accodarono al corteo volendo parteciparvi, ma furono bruscamente
allontanate. Si trattò non certo di una reazione di prepotenza o
sessista ma, per quanto forse inconsapevolmente, di un atto
filologicamente corretto di preservazione della purezza
antropologica della manifestazione. E’ stato sempre così, inutile
starsi a chiedere il perché, e così deve continuare.
Le donne in effetti un ruolo ce l’hanno, anche se il solo
ricordarlo potrebbe mandare in bestia qualche residua femminista
anastaticamente corretta, ed è quello di omaggiare i loro uomini
che sfilano. Già, i maschi martani si fanno belli come pavoni agli
occhi delle loro donne: fanno metaforicamente la ruota con i loro
carri coloratissimi e traboccanti di ogni delizia e soprattutto
elevando altissimo il loro “canto”, come i galli sul far dell’alba.
Le donne, vezzose, gettano su di loro da balconi e finestre una
pioggia profumata di fiori di maggio, gialli e radiosi come raggi
di sole. Loro si beano, offrendosi generosi: a piedi, a cavallo,
mentre guidano buoi aggiogati o trasportano a mano o a spalla e
trascinano o spingono i loro carri, le loro fontane e quanto altro
hanno costruito o assemblato in onore dell’unica donna che oggi
occupa i loro cuori e le loro menti: la Madonna Santissima del
Monte.
Però la vezzosità femminile non arretra neanche di fronte ad una
tale genuina e ancestrale manifestazione di religiosità popolare e
allora, se un ragazzo ti piace, quale occasione migliore per
darglielo a intendere che insistere su di lui con il lancio del
maggio, ripagando magari con un sorriso – che è poi una conferma –
il suo sguardo che si volge verso l’alto?
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Il borgo di Marta |
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Si addobba la facciata del
Santuario |
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L'addobbo del santuario è quasi
completo |
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L'affresco della Madonna S.S.
del Monte |
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Ai balconi sono appese immagini
della Madonna S.S. del Monte |
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Le donne lanciano petali dalle
finestre e dai balconi |
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Tutti i balconi sono addobbati |
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Giovani villani portano a spalla
il loro carro |
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Piccoli villani |
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I devoti si tolgono il cappello
per gridare le lodi |
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Piccoli bifolchi |
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Una 'fontana' traboccante di
delizie |
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