Il
Sesso: le fonti scritte
Teopompo, chi era costui?
Il nome è talmente curioso,
buffo, caricaturale, allusivo, da sembrare inventato.
Invece no. Teopompo è
effettivamente esistito: in Grecia nel IV sec. a.C., per la
precisione. Storico e retore, allievo di Isocrate, fu alla corte
di Filippo il Macedone, di cui divenne l'esegeta. E' una di quelle
fonti di seconda mano a cui abbiamo accennato.
Strano destino quello di Teopompo,
fortunosamente sottratto all'oblio storico e letterario.
Autore di non meno di settanta
libri, di cui non ci restano che pochi frammenti, è ricordato
soprattutto per quelle quattro notiziole che ci ha tramandato sui
costumi sessuali degli etruschi e che ci sono pervenute, per di
più sotto forma di citazione, grazie ad Ateneo, erudito e
grammatico greco attivo a Roma a cavallo tra il II e il III sec.
d.C.
Ateneo, il cui nome a confronto
con "Teopompo" già ispira compostezza e
rispettabilità, è autore di un'opera, "I sapienti a
banchetto", assolutamente straordinaria. Immaginando infatti
di riferire i discorsi avvenuti, sul modello del Simposio
platonico, in un banchetto in cui ventuno dotti commensali hanno
disputato su ogni ramo dello scibile, Ateneo ha modo di
trascrivere e farci conoscere circa 1500 frammenti di opere greche
oggi perdute ed altresì di citare 2700 opere e 700 autori! Uno di
questi è Teopompo.
Se l'accostamento non sembrasse
irrispettoso potremmo anche dire che Teopompo, almeno presso gli
antichi, è stato per gli etruschi ciò che Silvio Pellico con
"Le mie prigioni" fu per gli austriaci: peggio di una
sconfitta militare. E se i Tirreni, come allora venivano chiamati
gli etruschi, ebbero presso i greci e i romani pessima fama, buona
parte del merito è anche sua.
Oggi, invero, la sua
testimonianza non è tenuta in gran conto: si ritiene infatti che
il nostro abbia semplicemente raccolto voci, dicerie, maldicenze,
chiacchiere, malignità, pettegolezzi che nell'antichità già
circolavano sugli etruschi, specialmente presso i greci,
conferendo dignità storica e letteraria a vere e proprie
"leggende metropolitane". A noi tuttavia un tale
giudizio appare troppo ingeneroso: non intendiamo, come si dice
oggi, sdoganare Teopompo, né riconoscergli un rigore storico e
scientifico che probabilmente non ha e che comunque rimane
problematico giudicare, vista la scarsità dei frammenti
pervenutici. Più semplicemente riteniamo che molti suoi giudizi
possano esser frutto di equivoco e travisamento storico-culturale:
in sostanza Teopompo guardava pur sempre le cose etrusche con gli
occhi e la cultura di un uomo greco del suo tempo.
Ma veniamo al merito.
Allora, secondo Teopompo presso
gli etruschi le donne erano "tenute in comune"… come
dire che gli etruschi erano molto in anticipo sui tempi: ciò è
infatti quanto duemila anni dopo (e oltre) sarà ipotizzato da
Marx ed Engels nel loro "Manifesto del partito
comunista": la comunanza delle donne come antidoto
all'ipocrisia borghese. Ma questo, per quanto intrigante, non è
assolutamente vero! Gli etruschi, come vedremo nel successivo
capitolo "L'amore coniugale", avevano in grande
considerazione il matrimonio e il rapporto esclusivo con il
coniuge; non praticavano la poligamia e la struttura dei loro
rapporti familiari non era poi così lontana e dissimile rispetto
a quella odierna. Come spiegare allora questa diceria? La verità
è che la donna aveva nella società etrusca un ruolo ben più
delineato che nella società greca o romana, e godeva di più
libertà e più diritti rispetto alle donne greche e romane sue
contemporanee. Non è nostra intenzione approfondire questo
aspetto: ricorderemo solo che la donna etrusca partecipava con
pieno diritto ai banchetti, distesa a fianco del marito, (come
nelle raffigurazioni tombali di Tarquinia), con grande scandalo
dei greci, che ai banchetti non ammettevano donne, se non le
etere, che in buona sostanza erano prostitute. Quindi… se le
uniche donne ammesse ai banchetti sono le prostitute, e se gli
etruschi accettano di buon grado di farvi partecipare le loro
donne… ciò, agli occhi dei greci, (il sillogismo viene da sé),
vuol dire che le donne etrusche sono prostitute e che gli uomini
ne fanno uso comune. Questo, a nostro giudizio, potrebbe essere il
dato culturale di fondo che ha generato tali dicerie ed altre
analoghe sulla licenziosità, spregiudicatezza ed estrema lussuria
delle nostre antenate.
Teopompo ci dice pure che le
donne etrusche avevano molta cura del loro corpo, e ciò è
senz'altro vero, e non ci vediamo niente di male, essendo anche in
questo molto moderne. Forse presso gli etruschi non troveremo una
Cornelia che dice indicando i figli "questi sono i miei
gioielli": le donne etrusche i gioielli amavano indossarli; e
così pure amavano gli abiti lussuosi, le acconciature importanti
e il trucco vistoso. A ben vedere anche oggi quando incontriamo
una donna che non vuole passare inosservata e che a tal fine
accentua o per meglio dire "carica" le caratteristiche
della sua femminilità, talvolta pensiamo: sembra proprio… Ecco,
questo è anche quello che pensavano i greci guardando le donne
etrusche.
Se Teopompo trovava da ridire per
il semplice fatto che le donne etrusche, per piacere ai loro
uomini, avevano cura di se stesse, possiamo ben immaginare il
resto. Secondo il nostro stavano nude non solo tra altre donne, ma
anche in mezzo agli uomini, perché il mostrarsi nude non era
ritenuto disonorevole. Qui, Teopompo, decisamente prende un
abbaglio: abbiamo visto nel precedente capitolo che ciò è vero,
casomai, per gli uomini, e non per le donne che vengono sempre
raffigurate accuratamente vestite. Se poi il nostro si riferiva
alle danzatrici il discorso cambia: per le ballerine la nudità è
come un abito di scena. E comunque anche le danzatrici preferivano
indossare abiti succinti o tuniche trasparenti piuttosto che
esibire la nudità assoluta.
E veniamo ai banchetti, autentica
pietra dello scandalo: secondo Teopompo le donne etrusche non si
curavano di stare a tavola vicino al proprio marito (il che è
ampiamente smentito dagli affreschi nelle tombe) ma si sistemavano
vicino "al primo che capita" (avvertiamo il richiamo di
inquietanti echi pubblicitari) e, per di più, brindavano
liberamente alla salute, ulteriore dimostrazione del livello di
autonomia ed emancipazione raggiunto, essendo tra l'altro esperte
bevitrici. Anche quest'ultimo aspetto ci appare assai poco
credibile: negli affreschi parietali di Tarquinia qualche donna
appare un po’ ebbra, ma si tratta pur sempre di danzatrici, per
le quali il bere era forse un modo per darsi la carica, ed a
queste probabilmente si riferisce Teopompo. In generale stare a
tavola alla pari con gli uomini, anche nel brindare e nel bere, ci
appare oggi assolutamente naturale, ma evidentemente i greci
avevano una ben diversa sensibilità. Su una cosa possiamo
comunque concordare senza riserve con Teopompo e cioè che le
donne etrusche erano molto belle a vedersi. Evidentemente i greci
abituati a confinare le loro donne in casa, trascurate e dimesse
nel ruolo esclusivo di madri e casalinghe, strabuzzavano gli occhi
alla vista delle donne etrusche!
Anche nel crescere i figli, a
detta di Teopompo, gli etruschi avevano costumi ben poco
edificanti: allevavano tutti i bambini senza conoscere chi fosse
effettivamente il padre di ciascuno, (insomma, una sorta di
"comune" hippy ante litteram), per cui non possiamo
meravigliarci se poi i figli crescevano come i padri: ubriacandosi
e dandosi alla più sfrenata lussuria fin dalla prima giovinezza.
Del resto talis pater… Anche qui Teopompo si fa prendere troppo
la mano dal piacere di stupire. In effetti la paternità
indistinta è tipica (ancor oggi!) di popoli primitivi che vivono
in tribù dai caratteri fortemente centripeti e in condizioni di
isolamento ambientale e culturale… Gli etruschi non erano
affatto un popolo primitivo (anche se qualche storico ancora lo
sostiene) e vivevano in belle città organizzate e aperte a scambi
molteplici di tipo culturale e commerciale. Quanto al resto, gli
affreschi delle necropoli smentiscono decisamente Teopompo: i
soggetti, uomini e donne, raffigurati nell'atto di compiere
pratiche sessuali, come vedremo, sono sempre ed esclusivamente
persone adulte e mature. I bambini e i ragazzi, spesso nudi, come
era per loro naturale (cfr. prima parte), vengono rappresentati in
atteggiamenti e mansioni tipici della loro età: per mano ad una
persona anziana, mentre si tuffano per fare un bagno, quali
servitori o inservienti, o comunque a fianco o sotto la vigilanza
di un adulto… altro che "ragazzi selvaggi": Burroughs
e i suoi Wild boys erano ancora di là da venire.
Un'altra componente dell'eros
etrusco che Teopompo enfatizza è il presunto esibizionismo. A suo
dire gli etruschi non trovavano vergognoso praticare, o subire, in
pubblico atti sessuali ed erano incuranti del fatto di essere
visti, considerando ciò conforme al loro costume. Non solo, se
qualcuno chiedeva di vedere il padrone di casa mentre questi era
impegnato in tali faccende, gli riferivano con tutta naturalezza
ed in modo esplicito la sua effettiva occupazione, senza reticenze
e senza perifrasi… Anche in questo ambito siamo decisamente
sopra le righe. Un conto è avere del sesso una visione di tipo,
per così dire, naturalistico e non vergognosa (come in effetti
avveniva presso gli etruschi), un conto è banalizzare l'atto
sessuale al punto da praticarlo come una qualsiasi altra
attività, al di là di ogni inibizione, al di là di ogni
mediazione. Ciò non è mai avvenuto presso le popolazioni
antiche, e tantomeno presso gli etruschi. E' invece probabile che
esistesse una libertà di linguaggio e di rapporti interpersonali
anche più accentuata rispetto a quella odierna, al punto da
rendere plausibile l'aneddoto del "padrone di casa"; del
resto anche oggi nelle confidenze tra uomini (o tra donne) spesso
si parla con grande libertà e non si guarda certo per il sottile.
In questa accattivante rassegna
delle variegate pratiche sessuali degli etruschi non poteva certo
mancare il sesso di gruppo, lo scambio di coppie e la sodomia. Ed
è qui che Teopompo dà il meglio di sé, con un finale
pirotecnico e spettacolare. Dunque, a suo dire, i nostri cari
etruschi in occasione di incontri conviviali, a sfondo familiare o
di carattere sociale, dopo aver abbondantemente mangiato e
soprattutto bevuto, al momento di coricarsi, si apprestano a
ricevere indistintamente le cortigiane, le mogli o bellissimi
giovani. Dopo aver ampiamente goduto di questi e di quelle, presi
evidentemente da un moto di grande generosità, lasciano il posto
a giovani vigorosi perché possano soddisfarsi, restando,
presumiamo, a guardare. Il tutto avviene in modo promiscuo o, più
frequentemente, al riparo di semplici paraventi di rami
intrecciati sui quali appendono i mantelli. Dopo questo bel quadro
edificante Teopompo non può però fare a meno di sottolineare che
gli etruschi preferiscono comunque le donne, ma
"talvolta" si danno ai piaceri con giovani e ragazzi,
che del resto in Etruria sono bellissimi perché sono abituati al
lusso e usano depilarsi il corpo.
Il primo commento che verrebbe da
fare a queste affermazioni è "da quale pulpito…", in
effetti Teopompo attribuisce agli etruschi "vizi" e
costumi che sono tipicamente greci, e che i greci hanno, per così
dire, "esportato" in Etruria. Il gioco è abbastanza
scoperto: ogni volta che il nostro accenna ai ragazzi etruschi non
riesce a trattenere la sua ammirazione e si profonde in lodi per
la loro prestanza e bellezza. In verità gli etruschi, come
vedremo nel prossimo capitolo, non approvavano l'omosessualità,
ma non è escluso che essendo sensibili e aperti alle esperienze
socio-culturali dei popoli con cui venivano a contatto possano
averla accettata e marginalmente praticata. Di certo non entrò
mai nel costume.
E veniamo, infine, al capitolo
prostituzione. Qui non è solo Teopompo a dire la sua, è un
autentico coro di scrittori greci e latini che elevano lamenti ed
alti lai per l'asserita immoralità delle donne etrusche, talvolta
contrapposta alla virtù e alla castità delle donne greche e
romane. Al punto che in epoca tarda la parola "etrusche"
era quasi sinonimo di prostitute. Timeo, Platone, Plauto, Livio…
per citare i più noti, un vero plotone. Nel richiamare quanto
già detto sulle peculiarità della posizione della donna nella
società etrusca, vogliamo solo aggiungere che certamente presso
gli etruschi la prostituzione è esistita, come presso qualsiasi
altro popolo, in qualsiasi altra epoca (non a caso è il mestiere
più antico del mondo…). Che il fenomeno avesse le dimensioni
paventate è da escludersi, non essendo ciò supportato da alcun
dato oggettivo. Sappiamo da fonti storiche, ed in parte anche
archeologiche, che in Etruria la prostituzione veniva praticata
nella sua forma più "nobile": la prostituzione sacra.
Presso il tempio di Pyrgi le ierodule, vale a dire le prostitute
sacre, offrivano se stesse ai pellegrini e ai viaggiatori per
sostenere le spese del tempio ed incrementarne le ricchezze. Tali
ricchezze dovevano essere evidentemente cospicue se suscitarono
l'avidità di Dionigi I che nel 384 a.C., alla testa della flotta
siracusana, riuscì a impadronirsene, nonostante il soccorso degli
abitanti di Caere in difesa del loro porto.
A ben vedere anche le
"signore", impegnate nello svolgimento di raffinate
pratiche erotiche con una pluralità di partner, raffigurate nella
tomba dei Tori e in quella della Fustigazione nella necropoli di
Tarquinia (cfr. il prossimo capitolo), dovevano senz'altro essere
delle prostitute. Ma dobbiamo fermarci qui, altri dati di
particolare rilievo non ne abbiamo. Un po’ poco per fare dell'Etruria
il luna park della prostituzione.
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