Le piccole comunità ebraiche del Ducato di Castro:
Canino e la storia dimenticata


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Parte Seconda

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di Bonafede Mancini e Maria Bina Panfini

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Nel 1613, per effetto del bando emanato da Valentano dal duca Ranuccio Farnese (1 aprile), agli ebrei fu proibito di abitare in qualunque luogo dello Stato di Castro, fuorché nella capitale. “Item prohibisce che Hebrei di sorta alcuna non possino ridursi ad habitare in terre e luoghi alcuni di questo Ducato, fuorché nella città di Castro, nella quale si concede che possino stare, sotto pena di 200 scudi per ciaschuno che contravverrà, d’applicarsi alla Ser[enissi]ma Camera.” E’ in questo contesto, come ricordato, che al  Podestà di Canino fu intimato di procedere contro due ebrei che,  eludendo il divieto, continuavano ad abitare la città per commerciarvi  l’olio e  il vino. La qualità e il giudizio dei vini d’Italia, e in particolare per quelli provenienti dal Ducato di Castro era stato positivamente espresso da Sante Lancerio, bottigliere di Paolo III.

    In esecuzione dell’ordine del 1613, tutti gli ebrei del Ducato dovettero abitare nella sola Castro. Più che di intolleranza si trattò di una soluzione con la quale Ranuccio I intendeva superare la crisi demografia ed economica della città. Crisi che già alla fine del XVI secolo, con la morte del card. Alessandro Farnese (1589), appariva irreversibile. L’iniziativa fu di per sé inefficace e rese più dura l’esistenza della piccola comunità ebraica castrese che in questa circostanza, dopo alcuni tentativi falliti intorno alla metà degli anni 80  del XVI secolo, fu rinchiusa nel ghetto. Per il rinascimento della città, suggeriva B. Zucchi, la capitale necessitava  “di abitatori e di traffico; e quel che importa di più, di buon governo.

    Nei fatti, con licenza del card. Odoardo Farnese del 1614,  ad Aronne di Samuel  e a Crescentio Gallico fu concesso di aprirvi un banco di prestito della durata di dieci anni.  Per i due banchieri ebrei si trattò del rinnovo della licenza avendovi i due esercitato il prestito già nel decennio precedente. Dall’ Informatione di F. Giraldi sappiamo che nel  1600,  su una popolazione di 900 individui, la capitale contava 67 ebrei, per un totale di 16-18 famiglie,  ma trent’ anni dopo era scesa a 800 anime. La comunità ebraica castrese  in quegli anni, per numero, si avvicinava a quella delle vicine terre medicee di Pitigliano (58)  e di Sorano (61).

     Il bando del 1613, più estesamente, conteneva però altre  limitazioni alla  libertà degli ebrei: “Et acciò gli hebrei che abitano o vengono o pratticano nelli Stati siano conosciuti da Christiani ordina S. S.ria et comanda che debbano portare il segno rosso secondo il solito nel cappello o altrove in maniera palese che sia veduto da tutti, et per d[etto] segno siano distinti da Christiani sotto pena di 25 scudi e di tre tratti di corda. Dechiarando che non saranno scusati, si haveranno   il segno, ma lo terranno col ferraiolo o altrimenti coperto. Per viaggio però non saranno tenuti averlo palese, ma solo giunti alle terre et luoghi. Et sotto la medesima pena saranno tenuti stare, cominciando il mercoledì santo sino a tutto il Sabbato della settimana santa rinchiusi nelle loro case né in quel tempo comparir tra li Christiani.”

  


 

 



Ritratto del duca Ranuccio I

Disegno della città di Castro


Interno della Sinagoga di Pitigliano

 

 

La Rocca Farnese di Valentano



Il portale di Palazzo Farnese a Farnese

        

Quest’ultima limitazione, insieme ad atti più violenti verso persone  e cose di ebrei, è registrata in numerosi Statuti delle Comunità del Patrimonio (Montefiascone,1471; Corneto, 1545). A Castro, durante la settimana Santa, le porte delle abitazioni degli ebrei erano bersaglio di lanci di sassi da parte dei castresi. Per toglierne l’uso, nella Pasqua del 1608, l’Auditore della città (Giulio Zoccolo) emanò l’ ordine di divieto ma non sappiamo quanto poi sia stato osservato ed efficace.

     Nei decenni che seguirono al bando, la comunità ebraica castrese seguì la sorte della capitale del Ducato. Nel  1649, con la capitolazione della città alle truppe pontificie, ha inizio la diaspora di tutti i cittadini castresi, ebrei e gentili. “Tutti li cittadini della città di Castro tanto huomini come donne tanto grandi quanto piccoli ed anco religiosi et hebrei non debbano essere molestati né in vita né in roba né in onore e facendogli portare debiti rispetti dovuti alle loro persone.”

   La famiglia di Eliseo Piazza trovò un’iniziale sistemazione a Valentano mentre altre 6-7 famiglie si portarono a Pitigliano  E come molti degli arredi sacri trovarono la loro collocazione dalle chiese di Castro in quelle di Roma (S. Agnese in Agone), Acquapendente (Basilica del Santo Sepolcro: la pregevole statua lignea della Madonna Immacolata, originariamente in Castro dell’Assunta), Grotte di Castro (Basilica di S. Giovanni), Onano (Santa Croce), Valentano (Collegiata di S. Giovanni Ev.), nella  Sinagoga di Pitigliano, secondo la tradizione orale pervenuta, furono trasferiti l’Haronnot, l’argenteria e le lampade di Castro.  

  

 


 

       

 

Bibliografia.

 Angelo Biondi, Per una storia degli ebrei nel Ducato di Castro, in: I Farnese dalla Tuscia Romana alle corti d’Europa, Viterbo, 1985.

Bonafede Mancini, Le comunità ebraiche nelle terre di rifugio del Patrimonio tra XVI e XVII secolo, in: Biblioteca e Società , Viterbo, 2003.

 



 


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