Uomini e donne di casa Farnese

PIER LUIGI JR. , IL PEGGIORE DEI FARNESE

Parte Terza

di Giuseppe Moscatelli

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Il lato oscuro del Duca


La creazione del Ducato di Parma e Piacenza allontanò i Farnese - almeno il loro ramo principale- dalle terre di origine e soprattutto da Roma. Il ducato padano ha una sua storia ed una sua genealogia ben definite: gli otto duchi si succedono  per via ereditaria in un arco di tempo di quasi due secoli. Si tenta anche una "riorganizzazione" dinastica, per cui il quarto duca  prese il nome di Ranuccio I (…e pensare che il fondatore "storico" della dinastia, vissuto due secoli prima, era già il quarto "Ranuccio" della serie!),  il sesto duca Ranuccio II…

Allontanandosi da Roma viene necessariamente meno anche il legame con i grandi artisti che con le loro opere avevano celebrato il casato: Tiziano, Raffaello, Michelangelo, Annibale Carracci, Sangallo, Vignola… Se i Farnese "romani" si facevano ritrarre da Tiziano o da Raffaello, i Farnese "padani" dovranno accontentarsi di Sebastiano Ricci,  Giovanni Evangelista Draghi, Ilario Spolverini…

Tiziano, in particolare, fu il ritrattista ufficiale del periodo "romano" e ci ha tramandato opere assolutamente straordinarie, non solo dal punto di vista artistico - essendo a buon diritto annoverate tra i capolavori della pittura italiana- ma anche per la profonda capacità di introspezione psicologica che l'artista rivela nel cogliere i moti profondi dell'animo dei personaggi ritratti e nel trasfonderli poi sulla tela. Comprendiamo di più Paolo III osservando i ritratti che ne fece Tiziano che leggendo qualsiasi libro di storia. Oltre al papa ritroviamo in questa galleria "dedicata" anche i nipoti Ottavio, Ranuccio, il cardinal Alessandro Farnese Jr. e naturalmente il figlio Pier Luigi.

Il ritratto di Pier Luigi - conservato presso la Galleria Capodimonte di Napoli- oltre che per il notevole impatto visivo, si impone  per la maestria dell'artista nel far trasparire in quel volto sprezzante ed altero il "lato oscuro" che connotò la sua personalità: infatti, pur nelle maglie ristrette di un ritratto su commissione, e quindi celebrativo, l'artista dipana una fitta rete di spunti allusivi che ci sospingono a leggere ben oltre la superficie.

Il ritratto è databile al 1546: Pier Luigi quindi da un anno è già duca di Parma e Piacenza; ciò nonostante scansando ambientazioni aristocratiche e sfarzosi abiti da parata - tanto apprezzati invece dai suoi successori-  preferisce farsi ritrarre nella sua lucente armatura  di guerriero, come su un campo di battaglia: la fronte alta scolpita da un raggio di luce, il naso aquilino, le orecchie aguzze, il viso scarno, emaciato; lo sguardo fiero rivolto lontano, appena venato da un'ombra di malinconia.

Alle sue spalle un armigero sorregge uno stendardo: appare in affanno, come trafelato; ha gli occhi alterati, la bocca dischiusa, l'espressione concitata, come chi sta enunciando qualcosa di grave, forse insanabile: ma nulla potrebbe turbare la quiete perfetta, la calma atarassica  di un dio della guerra.

Tiziano sapeva, come tutti sapevano; o forse, essendo un artista, intuiva la profonda aberrazione della natura del Duca. Della sua crudeltà di guerriero rapace abbiamo già detto; ma, si dirà, la guerra è la guerra…  Nel lato oscuro di Pier Luigi tuttavia si annida qualcosa che con la guerra non c'entra, ma che la guerra può ben esaltare: una smodata, devastante, incontenibile, rovinosa lussuria.

Tale era la sua depravazione da scardinare ogni regola morale o convenzione sociale, al punto da non arretrare nemmeno sulla soglia del sacrilegio, come dimostra la penosa vicenda del vescovo di Fano. Occorre a questo punto chiarire che la sua distorta sensualità era fortemente accesa da  inclinazioni eterodosse: non che disdegnasse le donne  - dalla devotissima moglie Gerolama Orsini ebbe cinque figli, tutti nati nella rocca di Valentano- ma la sua passione erano i ragazzi, come è ampiamente documentato nelle fonti.

Secondo un cronista dell'epoca nobili e gentiluomini di Roma scansavano i loro figli "dalla furiosa libidine di quel signore" di cui per altro era nota la vita disonesta "tenuta nella corruzione di giovanetti". Si potrebbe pensare ad esagerazioni o malelingue, o comunque a testimonianze troppo di parte  per essere attendibili. Ma non è così. Il papa stesso ne era pienamente consapevole (e ne soffriva molto) e del resto Pier Luigi nulla faceva per nascondere o mistificare la sua condotta. Ciò è documentato da una lettera che  Paolo III fece scrivere al figlio nel 1535 e nella quale aspramente lo rimprovera per aver portato con sé  "quelli giovanetti, delli quali li parlò alla partita sua per Perugia", e nella quale fa altresì riferire  al figlio che  "n'ha preso tanto fastidio che non lo potrei mai esprimere".

Il compito redattore prosegue ricordando allo "scapestrato" destinatario che il papa ha motivo di dolersi di ciò per tre motivi: innanzitutto "per servitio di Dio", essendo evidente che "fino che persevera in simile error" non potrà venirgliene mai niente di buono; poi  "per honor della casa Farnese": ecco il richiamo, immancabile, ai destini del casato… come dire: dopo tutto quello che abbiamo fatto per arrivare fin qui (e per lavare i panni sporchi…); ed infine per la scarsa considerazione che Pier Luigi mostra di avere "delli comandamenti di Sua Beatitudine", avendogli detto il padre le stesse cose già tante volte e così pure più volte proibito tali turpitudini. Dopo questa tirata dai toni tra il duro e il paternalistico, ecco la precisa ingiunzione papale: "Vorrà adunque rimandarli indietro, perché andando in corte dell'Imperator che tanto aborrisce simil vitio, è certissimo che non li potrà portar se non grandissima infamia et dishonore".

Non sappiamo se, almeno in questa occasione, Pier Luigi abbia ascoltato l'accorato appello del papa, certo è che  da questo documento traspare con tutta chiarezza che Pier Luigi amava circondarsi di una piccola corte di  "giovanetti " che lo seguivano nei suoi spostamenti, sia che si recasse dal papa che dall'imperatore.  

Il furor di Cupido

     La battaglia di Paolo III per la salvezza dell'anima del figlio doveva comunque rivelarsi alquanto ardua: sono tutt'altro che isolate le notizie storiche e aneddotiche su  questo ed altri analoghi "capricci" del duca.

Da una lettera scritta nel 1540 da un funzionario fiorentino in Roma al suo corrispondente  presso la corte medicea veniamo a conoscenza di un altro episodio decisamente riprovevole, per quanto a lieto fine.  In quel periodo il card. Ippolito d'Este  si trovava a Roma ed "essendo d'un paese che produce assai belli figlioli"  nel suo seguito ve n'era uno che "alli occhi del nostro Ill.mo S.r Duca di Castro, li era et è piaciuto extremamente", tanto che il povero servitore non aveva più pace per le insistenze e le pressioni dei mezzani del duca, avendo "diliberato Sua Ex.tia sfogare questo suo appetito".  

Il giovane tuttavia, dimostrando una ostinazione degna di miglior causa (lascia intendere il redattore…)  non  volle  piegarsi  alle  voglie  del duca,  tanto  che  questi "spinto dal furore di Cupido"

- chiosa elegantemente l'autore - decise di averlo a qualsiasi costo. Potrà  apparire anche ridicolo (se non fosse invece drammatico…) ma pare che Pier Luigi, sostenuto dalla sua ghenga, dopo appostamenti e pedinamenti, "dette la battaglia alla casa" dove il giovane si era rifugiato,  al  punto  che  a questi   - vista la malaparata-  non restò come unica via di fuga che gettarsi dalla finestra: "et così scampò la furia per quella  volta",  conclude in modo assai poco rassicurante il nostro autore.

In effetti ci fu un secondo tentativo, anche questo andato a vuoto!, ma il giovane, a causa di una fuga nuovamente precipitosa , se la vide piuttosto brutta tanto che  "scampato il pericolo tornò a casa mezzo morto".  La ragione di ciò, ci fa intendere l'autore, è che il ragazzo conoscendo le abitudini del duca riteneva preferibile " più presto voler morire di cascata, che come il povero vescovo di Fano" (di cui tra poco diremo).  

Nonostante gli insuccessi, tuttavia,  Pier Luigi non demorde e mette sulle tracce del fuggitivo un piccolo esercito di quaranta persone (!) al fine di catturarlo e  condurlo a  lui con la forza. Al buon giovane non restò che confidarsi con il suo cardinale che, vista la gravità della situazione, lo spedì prontamente in Lombardia per sottrarlo alle insidie del duca. Il buon prelato salvò così la virtù (e forse la vita…) del suo servitore, ma si beccò il biasimo del cronista poiché, a suo giudizio, il cardinale  "doveva pur far compiacere un tanto Signore, se Cupido lho haveva preso" !  

 

L'oltraggio di Fano  

     L'episodio più squallido e sgradevole della biografia del nostro è comunque quello relativo alla vicenda del vescovo di Fano: a questo fatto è anche legata la fama sulfurea e luciferina di Pier Luigi, da allora considerato una specie di diavolo in terra. Gli apologeti dei Farnese  si diedero molto da fare per contestarne la veridicità, attribuendo "la calunnia" ai nemici politici  dei Farnese o a quelli religiosi della Chiesa di Roma (non dimentichiamo che Pier Luigi era il figlio del papa!).

Il fatto, che sembra comunque storicamente accertato, ci è noto per la precisa cronaca fattane da Benedetto Varchi (1503-1565) nella sua "Storia fiorentina". L' Autore inizia il suo racconto riferendo le voci, già note, sulla incontenibile depravazione del duca il quale "ebbro della sua fortuna e sicuro per l'indulgenza del padre" di poter comunque farla franca "andava per le terre della Chiesa stuprando, o per amore o per forza, quanti giovani gli venivano veduti, che gli piacessero"…  (da che pulpito… ci verrebbe da dire: il medesimo Varchi fu arrestato per lo stupro di una bambina ed esaltò nelle sue opere "l'amor socratico"!). Il nostro autore prosegue dicendo che nel 1537 Pier Luigi -che era impegnato in un giro di ispezioni alle fortezze marchigiane- da Ancona si portò a Fano, dove fu accolto con gli onori dovuti al figlio del pontefice e Gonfaloniere della Chiesa dal vescovo della città,  messer Cosimo Gheri.

Il "vescovo" era un ragazzo poco più che ventenne, e suscitò la morbosa lascivia di Pier Luigi, il quale si rivolse subito a lui con "parole oscenissime secondo l'usanza sua, il quale era scostumatissimo" chiedendo come se la spassasse con tutte quelle  belle donne che c'erano a Fano. Il giovane, buono e accorto, conoscendo la fama del duca, rispose  in modo rispettoso ma senza nascondere il suo sdegno  che "ciò non essere ufficio suo"; e per sviarlo da quel ragionamento gli prospettò  la questione politica della necessità di una pacificazione della città, dilaniata dalle opposte fazioni.

  Il giorno successivo Pier Luigi, con il pretesto di trattare la questione che gli era stata prospettata,  si incontrò nuovamente con il vescovo, ma manifestò immediatamente le sue vere intenzioni, e infatti :

" cominciò, palpando e stazzonando il vescovo, a voler fare i più disonesti atti che con femmine far si possano".

Tuttavia, visto che il vescovo era tutt'altro che disponibile, anzi, si difendeva gagliardamente (aveva vent'anni!) non solo da Pier Luigi - il quale essendo già allora divorato dalla sifilide non era certo irresistibile-  ma anche dai suoi scagnozzi "i quali brigavano di tenerlo fermo", volendo Pier Luigi piegare definitivamente la sua resistenza decise di farlo legare.. Non solo: "li tennero i pugnali ignudi alla gola, minacciandolo continuamente, se si muoveva, di scannarlo". E non rinunciarono a sfregiarlo con le punte dei pugnali.

Non sopportando l'umiliazione per l'oltraggio subito, dopo poche settimane il vescovo morì. Vi è anche chi dice  che il giovane fu fatto avvelenare da Pier Luigi, per non far trapelare la notizia dello stupro.  Ma, per quanto l'ipotesi possa apparire plausibile, non ci sembra che Pier luigi potesse nutrire di simili preoccupazioni: la sua fama  di sodomita,  scellerato e corrotto,  era già ampiamente diffusa, e non mostrava di tenerne gran conto.

A questo punto servirebbe a qualcosa ricordare che, nonostante tutto, gli vengono unanimemente  riconosciute qualità e doti di buon e saggio amministratore? che prima nel ducato di Castro e poi in quello di Parma e Piacenza (dei quali entrambi fu primo duca) promosse  l'istruzione e l'educazione, praticò il mecenatismo,   riorganizzò la giustizia, favorì l'agricoltura e il commercio e soprattutto  intraprese una politica di grandi opere e costruzioni, edificando palazzi, migliorando la viabilità, risanando e urbanizzando ampie aree… si distinse cioè in tutto ciò che oggi, in una parola, chiamiamo buon governo? Forse può servire ad aggiungere qualche pennellata di colore in un personaggio in cui prevalgono le tinte fosche.

Pier Luigi fu assassinato, il 10 dicembre 1547  nella sua fortezza di Piacenza.

Fu vittima di una congiura organizzata dai nobili piacentini, su istigazione di don Ferrante Gonzaga, governatore di Milano, con il consenso dell'imperatore Carlo V.

Fu sgozzato da un manipolo di sicari, fatti entrare proditoriamente nella fortezza, che arrivarono a lui dopo aver reso lo stesso servizio alle sue guardie. Poi lo presero per i piedi, lo penzolarono alla finestra e lo gettarono nel sottostante fossato, di fronte ad una folla attonita attirata dal fragore della lotta.

Di lui è stato detto, come di Caravaggio, "morì male così come era vissuto".

Le sue membra straziate furono ricomposte e sepolte a Piacenza, prima in una chiesa, poi in un'altra; poi traslate a Parma a cura della devotissima moglie Girolama Orsini e infine trovarono pace nel sacrario Farnese sull'isola Bisentina, dove dopo la morte lo raggiungeranno anche la moglie e il figlio cardinale Ranuccio.

Cosa dire, in conclusione, di lui? Fu un uomo violento e crudele, per qualcuno anche geniale. A noi tuttavia piace ricordare quella vena di sottile malinconia che pervade il suo volto nel bel dipinto di Tiziano.

Pierluigi Farnese nel famoso ritratto del Tiziano (1546)

 

Paolo III con i nipoti (Tiziano 1546)

 
Paolo III, padre di Pier Luigi (Tiziano, 1543)
 
Ottavio Farnese, figlio di Pier Luigi
 
Ranuccio Farnese, figlio di Pier Luigi (Tiziano, 1542)
 
Ottavio Farnese (Tiziano, 1546)
 
Paolo III, in un ritratto di Sebastiano del Piombo
 
Carlo V, Pier Luigi fu al suo servizio (Tiziano 1548)
 

Paolo III e Pier Luigi (affresco nel Palazzo Farnese di Caprarola)

 
 

Lo storico Benedetto Varchi (1503-1565) raccontò l'oltraggio di Fano

 
 

Il libro (del 1721) che documenta l'oltraggio di Fano

Isola Bisentina, qui fu sepolto Pier Luigi

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