A Castro, a piedi. Da Cinquecento anni.
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Venticinque km. a piedi nel cuore della notte, percorrendo faticosi sterrati e asfalti insidiosi. Per pregare ai piedi della sacra icona del S.S. Crocifisso.
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Vai a parte:
1 | 3 |
Parte Seconda |
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di
Giuseppe Moscatelli |
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Prosegue quindi la marcia
e ciascuno riprende la sua posizione. Ci inoltriamo in un
canalone, una vera e propria tagliata: alte pareti tufacee
incupiscono il nostro itinerario, una fitta boscaglia delimita
il già circoscritto orizzonte. La strada è umidiccia, quasi
fangosa. Qualcuno alza gli occhi a scrutare i movimenti del
cielo. Il muro compatto di nuvole nere si è un pò diradato e
sotto la coltre velata traspare la luna. Pioverà? Il tempo è
rimasto coperto l’intera giornata, ma nessuno ha preso in seria
considerazione l’eventualità della pioggia, tant’è che nessuno è
provvisto d’ombrello. La temperatura è mite, tutti indossano
abiti leggeri, qualcuno è addirittura accaldato. Vicino a
Farnese un imprevisto: una gazzella dei Carabinieri in servizio
di perlustrazione notturna ci chiede ragione del nostro
“corteo”. “Siamo diretti a Castro” è la nostra i risposta. Ci
guardano perplessi: “Non potete muovervi così, è pericoloso,
dovete essere scortati. La prossima volta rivolgetevi prima ai
carabinieri... Sentite se sono disposti.... Ora però fate molta
attenzione, è pericoloso”. La prossima volta, intanto
proseguiamo. |
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Anna e Pia (ai lati) sono veterane,
per Agnese (al centro) è la prima volta |
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Si riprende la
marcia.
Il gruppo di testa recita il rosario |
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La vista delle prime case di Farnese ci
ispira una certa (seppur contenuta) euforia: la pausa è
vicina. Allunghiamo il passo – il gruppo è nuovamente
assai sfilacciato – e percorriamo con veloce andatura il
lungo stradone che scende verso il paese, fino a
raggiungere sulla destra la fontana del giglio. E’ l’ora
della colazione (anche se siamo nel cuore della notte):
si afferrano gli zaini e si estraggono i panini e poi
bibite, acqua, dolci, frutta e caffè. Siamo tutti seduti
in duplice fila sui gradini della fontana circolare, si
ride e si scherza. Qualcuno si allontana nel buio,
ripreso da un’anziana: “Non in quella direzione, quello
è il posto delle donne.... Gli uomini devono andare di
là!”. Tutti ridono di gusto. Alcune macchine si fermano
incuriosite: offriamo pasticcini e caffè. Passa una
buona mezz’ora, sono ormai le quattro della notte: è ora
di andare. Si stenta: la stanchezza, dopo la pausa,
comincia a farsi sentire. E i prossimi dieci chilometri
sono i più faticosi: quasi tutti in salita.
Il gruppo di testa – solo di donne – ricorda a tutti che
è il momento di unirsi nella preghiera. In effetti già
dopo Valentano le “avanguardie” avevano iniziato a
recitare preghiere e a cantare litanie. Ora è il momento
per tutti di partecipare. Recitiamo il rosario, con tono
basso, quasi impercettibile. |
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Eppure le nostre voci, fuse in un unico
suono, aleggiano nella notte e ci rincorrono, come una
scia. I misteri (recitiamo quelli gloriosi, essendo
ormai domenica) si alternano ad inni mariani:
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“Dell'aurora Tu
sorgi più bella,
coi Tuoi raggi a far lieta la terra,
e tra gli astri che il cielo rinserra,
non c'è stella più bella di Te.
Bella Tu sei qual sole,
bianca più della luna,
e le stelle più belle,
non son belle al par di Te...”
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Dopo Farnese la stanchezza
comincia a farsi sentire |
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Quasi l’alba.
Comincia a cadere
qualche goccia di pioggia |
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Esili voci femminili fendono il silenzio
della notte nella strofa, irrobustite da qualche voce
maschile nel ritornello. Quasi evocata dai canti, muta
testimone del nostro cammino, dal cupo del cielo emerge
la luna, in tutto il suo luminoso pallore. Rischiara i
nostri profili, rincuorando i primi incerti vagiti del
mattino.
Ormai la strada è per noi: di macchine non se ne vedono
più, e possiamo allargarci nella carreggiata. Tutt’intorno
il paesaggio, che tenta di liberarsi dalle spire del
buio, ci accoglie con la sua umida ed aspra bellezza: un
rigoglio di fratte, di sterpi e di fronde fogliose
cingono la strada come in un abbraccio.
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Vai a parte:
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