A Castro, a piedi. Da Cinquecento anni.
 

Venticinque km. a piedi nel cuore della notte, percorrendo faticosi sterrati e asfalti insidiosi. Per pregare ai piedi della sacra icona del S.S. Crocifisso.


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Parte Terza

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di Giuseppe Moscatelli

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   Macchie inespugnabili coronano le colline e discendono i versanti, sentieri tormentati cavalcano i colli per poi diluirsi sui crinali; fondi accidentati accolgono i pascoli. L’alba incipiente si fa annunciare da un concerto di voci e di odori: muggiti lontani risuonano sospesi nell’aria, fanno loro eco i mesti belati di un vicino ovile; il gorgoglio di una cascatella che salta da un greppo su un lato della strada confluisce nel rumore delle acque che scolano attraverso un passaggio sotterraneo e sfociano sul lato opposto; gli uccelli intrecciano con grande vivacità e varietà di toni i loro allegri dialoghi mattutini: si intuisce che si rincorrono a precipizio tra un ramo e l’altro. L’odore aspro e pungente di una porcilaia, l’umore esalante del fieno tagliato e i vapori acquosi di un ruscello che tra mille bolliccichii ristagna in un fosso prima di riprendere il suo deflusso feriscono e inebriano le nari.
 



I pellegrini affrontano l’ultimo tratto
sotto una leggera pioggia

 
 



Si è fatto giorno. Ormai si è prossimi all’arrivo

 



 

  E’ l’alba: piena, avvolgente, desiderata. Teorie di olivi secolari dalle fitte trame ci affiancano nel viottolo sterrato che stiamo percorrendo: quest’anno si preannuncia un buon raccolto. Siamo quasi arrivati: mancano ormai meno di tre km. e certo non saranno le gocce leggere di pioggia che hanno cominciato a cadere a guastarci l’ultimo tratto di strada. Si ride, si scherza (abbiamo smesso da un pezzo di pregare), c’è un clima di pudica e schietta allegria. Scendiamo a passi veloci, quasi di corsa, il lungo e scosceso canalone che i cretti profondi incisi dalle piene rendono ancor più insidioso: qualcuno teme di perder l’equilibrio.
Ed eccoci in fondo in alla strada, di fronte al Santuario.

 
  Non sono ancora le sei del mattino e lo spiazzo è quasi vuoto: siamo i primi ad arrivare, la messa inizierà alla sette. C’è solo qualche ambulante che dispone le sue merci: il venditore di frutta secca, il banco dei panini e quello dei ricordini. Verso le sei e mezza ecco scendere dalla macchia il gruppo di Canino: anche quest’anno li abbiamo preceduti. Sono meno numerosi di noi, ma più organizzati: il capofila porta una croce. Prendiamo posto nel Santuario, che intanto ha cominciato a riempirsi, e salutiamo sorridendo i nostri conoscenti venuti in macchina in tempo per la messa.
Siamo qui, da dove un tempo fummo cacciati, di fronte a quello che resta della nostra città: un umile crocifisso affrescato in una povera edicola, al centro di uno spoglio casale che chiamiamo santuario. Qui ritorniamo, ogni anno, da cinquecento anni. Per pregare, per non dimenticare.
Inizia la messa. A celebrarla è un piccolo prete dai tratti orientali.
 
 



Davanti al Santuario foto ricordo
per il gruppo femminile

 



La sacra icona del S.S. Crocifisso di Castro

 



 

  Mistero e grandezza del cristianesimo! siamo qui, stanchi ma felici, inginocchiati di fronte a un giovane prete coreano che in perfetto italiano celebra la nostra fede e perpetua la nostra storia. Dopo la messa si svolge la processione simbolica all’antica città: solo poche decine di metri, per salire sull’altura e impartire la benedizione. Proprio di fronte alla pietra infissa al terreno che ancora ci suscita, con il suo cupo e fosco messaggio, pietà e apprensione: “QUI FU CASTRO”.

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