Luciano Bonaparte, un personaggio inquieto
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di
Gianfranco Landi |
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Mandò
Giuseppe, il maggiore dei fratelli, per farmi ritornare sulle
mie decisioni, Giuseppe mi rimproverò con forza, con tanta forza
che alla fine, gli confidai di essere già sposato. Apriti cielo!
Giuseppe cominciò ad elencarmi tutte le gravi disgrazie che
sarebbero piovute sopra la mia testa e se ne andò adirato. Non
mi sgomentai. Mi sentivo tranquillo e forte della posizione
presa; afferrai carta e penna e scrissi una lettera a Napoleone,
comunicandogli come stavano effettivamente le cose. La lettera
gli venne consegnata mentre stava ascoltando un concerto. Mi
dissero che impallidì appena finì di leggerla, poi balzò in
piedi ed urlò che si smettesse di suonare. Cjiuseppina gd
domandò che cosa mai fosse accaduto, allora Napoleone, rivolto
ai presenti, esclamò a gran voce: «Sappiate che Luciano ha
sposato la sua sgualdrina!».
Oggi, a distanza di anni,
penso proprio che Napoleone, il grande stratega, vincente in
tante battaglie, quella volta ne aveva davvero persa una.
Napoleone comunque, ad ogni occasione osteggiò sempre questa mia
unione, che non intese accettare né riconoscere, anzi, venne da
lui definita una "Méssaliance", "un matrimonio con una persona
di livello sociale inferiore". Su questa linea di durezza, lui
non ha mai voluto riconoscere i figli che ho avuto da
Alexandrine. Tutto, per me non sposato; niente, per me sposato!
(Rifiutando di sciogliere il matrimonio, mi aspettavano
l'oscurità, L'estromissione dalla successione e l'esilio. Quando
ero ancora trentenne mi venne offerta la Corona d'Italia, un
appannaggio enorme, forse anche L'lmpero per i miei discendenti,
ma li rifiutai ostinatamente. (Ricordo che, alla fine del1807,
il grande Imperatore sembrò volermi tendere la mano di nuovo,
quando cercò di combinare un matrimonio politico tra mia figlia
Calotta e Ferdinando, erede al trono spagnolo; ma io non
indietreggiai dai miei propositi di isolamento. (Rifiutai di
entrare nella Famiglia Imperiale alla dura condizione posta da
Napoleone: sciogliere il matrimonio con Alexandrine. Così, come
Giulio Cesare si oppose a Siila, rifiutando di ripudiare la
moglie Cornelia, io mi opposi ancora una volta a mio fratello
Napoleone.
Oh, mia adorata
Alexandrinel Sei al mio fianco da quasi 40 anni e mi hai dato
Ben 11 figli! (Da quando sei diventata principessa di Canino, ti
sei sempre adoperata, senza riserve, in opere di carattere
caritativo e culturale; sei stata sempre il mio sostegno morale
ed il mio conforto... e pensare che mio fratello non ti ha mai
potuto sopportare! Il tuo ospedale, le tue scuole, i tuoi figli
di Canino. alta è la mortalità infantile, nella nostra Canino.
Quando un bambino muore, il parroco scrive sul registro di
morte: "Evolavit ad Coelum ".
Alessandrina De Bleschamp
"E nel cielo di Canino, c'è un gran volo di piccoli angeli morti
di malaria e, aimè, di fame. Anche il mio piccolo Giuseppe, vola
con loro ".
Luciano Bonaparte
Ma poi, quale fu mai, l'origine vera, di tanti contrasti? No,
no, non credo la gelosia, perché io ho sempre ammirato il genio
di Napoleone. Io in quel brumaio avevo piena coscienza di ciò
che stesse accadendo. In quell'occasione, io percepivo di dare
l'avvio alla sua prodigiosa carriera politica, allorché, con il
mio apporto determinante, egli abbatteva il direttorio per
diventare primo Console ed iniziare quell'ascesa, che
malauguratamente culminò, poi, nell'Impero. Certo, rimasi
deluso, per non essere stato prescelto come secondo o terzo
Console; per essere, se non escluso, certamente tenuto lontano
dagli affari politici di più ampio respiro; per non essere
consultato circa l'istituzione dell'Impero, operazione alla
quale io, in verità, ero decisamente contrario. La frattura tra
noi due, prima di assumere la forma acuta di un dramma
familiare, trovò un'altra causa di origine generale prima che
politica.
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La copertina della
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Come Presidente della Camera dei Cinquecento, io occupavo la
seconda poltrona dello Stato. Napoleone, per quanto assai
popolare, non era che uno dei quattro o cinque generali
comandanti, di cui la Repubblica si serviva frettolosamente: né
Moreau, né Joubert gli erano inferiori per grado e per
prestigio. Io sono fermamente convinto che mio fratello dovesse
a me, solo a me, tutta la sua fortuna: il Consolato fu una mia
creatura meditata ed elaborata per molto tempo; fui sempre io a
riparare con abilità gli errori di mio fratello. Ero e sono
ancora persuaso della carenza politica del generale, anche
quando lui toccò il vertice del potere, "l'Impero", e non ebbi
timore nel predirne la caduta.
Ricordo che una sera, era l'inverno del 1804, stavamo a cena con
pochi intimi. A un certo punto mi rivolsi a Napoleone e gli
dissi: «Voi volete uccidere la Repubblica, e sia! Assassinatela
ed ergetevi sul suo cadavere, ma ascoltate ciò che un suo figlio
vi predice: questo Impero, che terrete in piedi con la violenza,
sarà abbattuto dalla violenza!». Si era talmente adirato che,
esimendo dal taschino l'orologio, lo lasciò cadere a terra, lo
calpestò e poi, con piglio severo, mi apostrofò dicendo: «Sarete
stritolato come questo!».Narratore
«Coraggio Prìncipe! Ve ne state zitto zitto, quasi triste» - lo
distolse ancora dai suoi pensieri Pietro Miccinelli, intento a
collocare sulla brace la graticola ripiena di bistecche ben
condite - «ma tra poco si mangia; avrete certamente fame, dopo
la lunga camminata che abbiamo fatto stamattina; vedrete, queste
bistecche vi ricorderanno sicuramente quelle che, da ragazzo, vi
preparava in Corsica Madame Mère».
Luciano Bonaparte
Madame Mère, la dolce mamma Letizia! Sono già trascorsi quasi
quattro anni dalla tua scomparsa, ed ora riposi il sonno dei
giusti nel convento di Corneto. Quante ansie per i tuoi figli!
Soprattutto per Napoleone... per la sua salute! Quando, verso la
metà di aprile del 1821, l'abate Bonavia giunse da Sant'Elena
riferendo brutte notizie sulla salute di Napoleone, mamma
Letizia non riuscì più a darsi pace. Mi scrisse da Roma il14
Luglio, esternandomi la sua angoscia e chiedendomi un parere sul
fatto che lei aveva intenzione di indirizzare una supplica a
Lord Liverpool e al parlamento inglese, e contemporaneamente
voleva invitare l'Imperatrice Maria Luisa d'Austria a scrivere
un'istanza da unire alla supplica. All'afflitta madre non mandai
alcuna immediata risposta, non sapevo che cosa rispondere dato
che io già conoscevo la ferale notizia. Volevo procrastinarla il
più a lungo possibile, e soltanto il 22 Luglio comunicai a mia
madre la morte di Napoleone.
A partire dalla fine dell'uomo che è stato il punto di
riferimento di tutta la nostra famiglia, anche a mia vita entrò
in una fase di stagnazione e di calma che non ha confronto con i
20 anni di tumultuose avventure che mi videro prima a Parigi,
assiso nella poltrona di presidente del Consiglio dei
Cinquecento, poi in altri eventi, fino a questa residenza di
Cenino. Del resto è stato così per tutti i miei parenti
Bonaparte.
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Appena l'alone di gloria di Napoleone cessò di inondare Europa,
sembrò proprio che noi tutti suoi familiari, che vivevamo di
quel riflesso, o che ne soffrivamo per contrasti ideologici,
stipulassimo, volenti o nolenti, un patto con l'oblio più
totale: era il sipario che calava bruscamente su di noi, perché
la vedette principale era uscita di scena; le luci della ribalta
si erano improvvisamente spente; una notte senza scampo, fredda
come una lama, avvolgeva ormai personaggi secondari e comparse,
che si affrettano a riguadagnare silenziosamente le loro dimore
lontane. Gli altri Bonaparte errarono, così, attraverso l'Europa
sotto il peso del nome che li accompagnava: esso divenne ormai
così pesante, così ingombrante, che cercarono di dissimularlo
sotto i titoli più diversi e fantasiosi: Giuseppe, già Re di
Spagna, andò negli Stati Uniti d'America, dove i Filadelfiesi lo
conobbero come il Conte di Sunnilliers; Luigi, già Re d'Olanda,
divenne il Conte di Saint Leu, Girolamo, già Re di Vestfalia, si
chiamò Conte di Montfort, Elisa, già granduchessa di toscana,
morì nel 1820 con il nome di Contessa di Campignano, Carolina,
già Regina di Napoli, si fece chiamare Contessa di Lipona;
Paolina, già duchessa di Guastalla, divenne solo la moglie di
don Camillo Borghese, ex giacobino. I ricordi di quattro regni,
un granducato ed un ducato vennero sepolti sotto pseudonimi
irrisori. Verso la fine del 1821 venni a conoscenza, come del
resto anche gli altri miei famigliari, delle disposizioni
testamentarie dell'Imperatore.
Con sorprendente meticolosità, prima di morire Napoleone aveva
scritto il suo testamento, attraverso le cui disposizioni si
sforzò di esternare, con qualche controsenso, malcelate
preferenze e rancori segreti. Per quanto riguarda fa mia
persona, non mi sembra che io sia stato trattato diversamente
dagli altri fratelli: mi lasciò in legato un braccialetto di
capelli, chiuso da un piccolo lucchetto d'oro, un paio di
fermagli di giarrettiere d'oro ed un mantello ricamato, con
giacca e braghe. Oltre a ciò, l'imperatore formulò un' implicita
raccomandazione per me, senza nominarmi: desiderava che i suoi
nipoti si sposassero tra loro o, se non fosse stato possibile,
negli Stati Uniti d'America, o negli Stati Romani, o nella
Repubblica Elvetica; diceva di essere contrario a matrimoni con
Svedesi e, ancor più, ad apparentamenti con famiglie reali
regnanti in 'Europa; il suo sangue non doveva finire nelle corti
dei Re, a meno che non si verificasse un ritorno di Fortuna per
i membri della nostra Famiglia. Povero Napoleone!
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