Luciano Bonaparte, un personaggio inquieto
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di
Gianfranco Landi |
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Eppure io, quasi
quasi, stavo per mostrare segni di tenerezza di fronte a quegli
omaggi espiatori, ma la mia Alexandrine mi rammentò prontamente
le umiliazioni subite nel passato. Mia madre capì il mio stato
d'animo e mi inviò una lettera.
Madame Mère
"Ho vissuto con
pena le vostre afflizioni e le comprendo. Ma non bisogna
perdersi di coraggio...La maggior parte della vita umana è
composta di mali e dispiaceri, e questa consapevolezza deve
darci la forza di resistere, soprattutto quando non dipendono
dai nostri sbagli... Ancora... Vorrei poter rimediare ai vostri
guai... ma questo è al di sopra delle mie forze, figlio mio. "
Luciano
Bonaparte
Ma tutto questo
faceva ormai parte del passato. Ciò che contava era la mia vita
attuale, che venne funestata, qualche anno dopo, nel 1827, da un
dispiacere ancora più crudele, che si abbattè sulla nostra vita
tranquilla di Canino. Appresi dai giornali inglesi la morte di
mio figlio Paolo, avvenuta in Grecia, nella guerra di
liberazione dalla Turchia, durante la quale Paolo, per suo
ardimento, ottenne dai Greci il grado di Luogotenente -
Colonnello. Il suo cadavere venne trasferito dai compagni d'arme
a Navarino, dove venne onorevolmente sepolto.
Dopo questo duro
colpo, tornai melanconicamente ai miei lavori, alle mie
difficoltà economiche; ma la Seconda Rivoluzione Francese del
luglio 1830 risvegliò in me i ricordi e le speranze, traendomi
fuori dall’ ipocondria in cui ero lentamente scivolato. La nuova
ventata liberal-repubblicana mi offrì altre ragioni di
esitazione. Seguii con interesse l'avventura italiana dei miei
Luigi Napoleone e Carlo Luigi Napoleone, i due figli dell’ex Re
d'Olanda Luigi, nella quale il primo perse la vita durante gli
scontri di marzo 1831. Inoltre, mi inquietai moltissimo venendo
a sapere che mio fratello Luigi inviò al papa Gregorio XVI una
lettera, dove emergevano bigotte espressioni di indignata
rozzezza per quel gesto sconsiderato dei due suoi rampolli: "II
mio primo figlio è morto, - scrisse Luigi al Papa - che Dio gli
faccia misericordia! Quanto all'altro, quello lì, grazie a Dio,
non mi è niente e usurpa il mio nome. Ho la disgrazia d'aver
preso per moglie una Messalina che partorisce!"
A mia insaputa,
anche mio figlio Pietro si era aggregato ai due cugini. Pietro
era ancora un adolescente, ma si sentiva esaltato dalla morte
del fratello Paolo ed il suo sguardo torbido lasciava presagire
una vita di avventure e di violenza. Non solo, ma a sua volta,
Pietro coinvolse nei suoi ideali anche il figlio maggiore di
Girolamo, il giovane Conte di Montfort, appena sedicenne. Questa
cospirazione di scolaretti scriteriati, subito sventata,
progettava di occupare nientemeno che lo Stato Pontificio!
Mentre Carlo Luigi Napoleone fu minacciato di espulsione, l’
ambasciatore di Russia riuscì ad intercedere per il figlio di
Girolamo, apparentato con lo Zar. Quanto al mio Pietro, venne
imprigionato a Livorno, dove rimase per sei mesi prima di
riacquistare la libertà. |

La copertina della
pubblicazione |
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Uscito di là, poi,
la gendarmeria pontificia lo riaccompagnò a Canino, dove io lo
redarguii, ma, confesso, non senza una punta di segreto
orgoglio. Pietro, però, fu costretto a lasciare l’Italia e venne
mandato negli Stati Uniti, presso mio fratello Giuseppe, dal
quale si allontanò nel 1833, per arruolarsi volontario in
Colombia, lanciandosi nella mischia delle guerre sudamericane.
In questi frangenti, io non abbandonai del tutto la speranza di
giocare ancora un mio ruolo politico. Evidentemente le mie
ansietà erano destinate a non aver termine, perché due nuovi
episodi giunsero a portarmi ancora amarezza. Mi trovavo a
Londra, quando ricevetti inaspettata la notizia della fuga di
mia figlia Maria con Vincenzo Valentini, e ne sono ancora assai
addolorato.
Il secondo
dispiacere me lo ha inflitto il mio Pietro, quando tornò
improvvisamente dal Sud America e lo ospitai a Canino insieme
all'altro mio figlio Antonio. Pietro ebbe la malaugurata sorte
di affrontare i gendarmi pontifici in Piazza del Mercato e,
nella rissa che seguì, pugnalò a morte un ufficiale.
Immediatamente arrestati, i miei figli vennero tradotti a Roma e
chiusi in Castel Sant'angelo, al processo, il mio povero Pietro
venne condannato a morte; la pena, però, gli viene commutata
nell'ergastolo, grazie alle mie conoscenze e alle mie insistenze
riuscii a liberarlo dalla prigione, ma Pietro non cambiò. Si
lanciò di avventura in avventura, in Belgio, in Russia, in
Egitto, in Gjrecia, tenendo costantemente in ansia me e la mia
adorata Alexandrine.
Dopo questi duri
colpi il mio ritiro è divenuto definitivo: la mia età avanzata,
la sofferenza e i dissesti finanziari, che di recente si sono
fatti ancora più vivi, mi affliggono giorno dopo giorno: ora,
non esco quasi mai di casa se non in compagnia del fedele
compagno Pietro Miccinelli o di padre Maurizio, il cappellano di
famiglia, mio intimo confidente, con il quale trascorro una
parte delle notti a redigere febbrilmente le mie memorie, delle
quali ho pubblicato con qualche difficoltà, solo il primo
volume.
Ora ho interrotto
le "memorie" ed ho dato alle stampe due opuscoli che ho reputato
essenziali: "II 18 brumaio" e "La verità sui Cento Giorni".
Sono ormai più di
due anni che, afflitto dal mio male, percorro l'Italia da un
luogo all'altro senza trovare una soluzione.
Narratore
«II pranzo è
servito, mio caro Principe!» - La voce allegra di Pietro
Miccinelli riportò Luciano alla realtà, facendolo uscire
definitivamente dai pensieri familiari nei quali era stato
lungamente assorto. Mangiarono con appetito, in attesa della
carrozza che li avrebbe ricondotti a Canino. Nel giugno 1840,
temendo l’afosa estate di Canino, decise di trasferirsi a Siena
accompagnato dalla figlia Costanza; ma non riuscì a sopportare i
disagi del viaggio e fu costretto a fermarsi, febbricitante e
sfinito, presso la sua abitazione di Viterbo. I figli, informati
dalla madre Alexandrine che il padre era in reale pericolo di
vita, lo raggiunsero al capezzale. C'erano tutti, figli e
figlie, tra i quali Carlo Luciano, la cui figura emergerà
particolarmente dopo gli anni Quaranta, a Roma.
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E
c'era anche la figlia Maria. Negli ultimi giorni
Luciano ripeteva spesso queste parole:
«Dio, mio Dio, ti
ringrazio di aver voluto nella tua bontà che io esali l'ultimo
respiro tra le braccia della mia consorte e dei cari figli! O
quanto è dolce morire così!».
Dopo che Maria
volle sposare Vincenzo Valentini, senza il preventivo consenso
del padre, i rapporti tra Luciano e Maria divennero assai tesi:
un muto d'amore e di odio fu il tema dominate fra i due in
questi ultimi anni trascorsi. La sera del 29 Giugno 1840,
finalmente Maria venne ammessa atta presenza del padre morente.
Spinta dal naturale affetto filiale, si avvicinò commossa per
abbracciarlo, ma Luciano, tramite il fedele padre Maurizio,
trattenne sul nascere quell'istintivo moto affettuoso.
In un attimo
Luciano ripercorse tutta la sua vita, le sue prese di posizione
verso il fratello Imperatore, la sua ostinata forza nell’
opporsi ai progetti matrimoniali programmati in nome della
"ragion di stato" soprattutto nei confronti dello stesso
Luciano.
In questi fieri
atteggiamenti rivide proiettata, quasi a volerne seguire le
orme, l'immagine della figlia Maria, rivisse l'amore ed i
sentimenti che lo spinsero a sposare, senza il consenso del
fratello, prima Cistina e poi Alexndrine. Tutte queste immagini
in un baleno scaturirono, si inseguirono e con perfetta lucidità
si accavallarono nella mente del moribondo, traducendosi in una
commozione assai intensa.
A quel punto, fece
cenno alla figlia 'Maria di avvicinarsi. Stava sul comodino una
coppa ricolma di un liquido. Luciano la indicò alla figlia,
facendole contemporaneamente cenno di berla. Maria, all’invito
paterno, senza esitazione portò la coppa alle labbra e la bevve
d'un fiato. Era soltanto della semplice acqua, ma quel gesto per
il padre assunse un significato assai profondo: nacque di nuovo
tra i due la reciproca fiducia, tornò intatta come un tempo.
Il padre la invitò
ad avvicinarsi ancora: ora i due erano uno accanto all'altra e
respiravano cadenzati all’ unisono. Dopo qualche attimo di
silenzio, il padre la baciò affettuosamente sulla fronte,
sussurrandole: «Meglio Maria Valentini onorata che Maria
Bonaparte disonorata!».
Trascorre così la notte tra il 29 e il 30 giugno
1840: Luciano seguì attentamente le preghiere degli agonizzanti,
poi si spense, all’età di 65 anni e 30 giorni, tra le braccia
della sua Alexandrine, il cui amore lo aveva incoraggiato sempre
nell’affrontare ogni tipo di avversità ed aveva onorato il
percorso della sua esistenza umana.
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La morte di Luciano Bonaparte, Disegno di Carla Castrini
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